«Non avevo più voglia di fare fine dining, volevo intraprendere un percorso diverso, alla portata di tutti». È il 2010 quando Luca Brasi divorzia dal prestigioso progetto gastronomico di Devero Hotel a Cavenago – qui è poi approdato un giovane ma già influente Enrico Bartolini che ha condotto l’albergo della Brianza a ottenere due stelle Michelin nel 2014 –, per riprendere e riaprire gli spazi della Lucanda (premiata con un macaron nel 2002) di Osio di Sotto, in provincia di Bergamo.
Dal 2012 questa insegna è diventata La Braseria: «All’inizio eravamo un ristorante di carne nella media, con prezzi contenuti», spiega Brasi che ha voluto alzare l’asticella ogni anno di più, fino a far diventare questo luogo uno dei migliori indirizzi di carne in Italia. «È venuto fuori il mio Dna, la voglia di fare ricerca sulle materie prime, sulle tecniche di cottura e di rinnovarsi costantemente».
La passione e la conoscenza della carne erano già nel tuo background?
«No, le ho sviluppate e apprese durante questo nuovo percorso, che è stato tutto in divenire. Ho cominciato a incontrare gli allevatori, a visitare aziende e ho capito cosa volevo cucinare alla Braseria: solo razze autoctone italiane e se possibile biologiche. Ai nostri clienti diamo solo i (migliori) prodotti di una filiera che conosciamo».
Che tipo di griglia utilizzi?
«Ho sia la brace che il forno a legna e il barbecue con cottura indiretta tramite il fumo. Nel forno a legna cuciniamo carni diverse dalle steak come i piccioni dell’azienda di Carlo Giunti, il gallo nero del Chianti e l’asado di bue grasso».
Nel menu i protagonisti sono wagyu e bue grasso piemontese. Come mai proprio queste due razze?
«Come dicevo selezioniamo solo i prodotti che conosciamo, anche perché non compro solo il lombo: quando ne ho la possibilità acquisto l’animale intero, in modo tale da poter fare un lavoro minuzioso e usarne ogni parte. Nel caso del wagyu italiano, abbiamo conosciuto l’azienda La Cigolina nella zona di Lodi, che ha una qualità eccezionale. Inoltre vorrei sottolineare che mi sono interessato a questa razza nel lontano 2013, quando non era ancora una moda».
Riesci a utilizzare tutte le parti di questi bovini nonostante le loro pezzature possono arrivare anche a 15 quintali?
«La notevole marezzatura del wagyu permette di lavorare a diversi preparazioni, come bresaola, lardo o ragù. Inoltre, da qualche anno parallelamente alla Braseria, ho aperto La Braseria On The Road con due sedi a Bergamo e Dalmine dove propongo pulled beef, hamburger e ribs: non uno street food, ma uno street good, come mi piace dire. E di carne ho bisogno per rifornire tutti e tre gli indirizzi».
Come frolli?
«Premessa: non siamo fanatici del grasso, se la carne è buona te ne rendi conto subito, soprattutto nel mio caso che ho la possibilità di lavorare l’animale intero. Quindi il grasso non è indice di qualità, ma di gusto. Detto ciò, io frollo la carne in funzione dell’animale: se è giovane, come per esempio una Scottona, bastano una trentina di giorni, altrimenti per razze più longeve come una vacca di bue grasso o un castrato servono frollature di 60-90 giorni. Non mi spingo mai oltre i 120 giorni: secondo me andando troppo oltre si snatura il prodotto. Ricordiamoci che dobbiamo fare bistecche, non prosciutti».
Quali sono le tipicità del menu della Braseria, oltre ai tagli di carne?
«Ci piacciono piatti da condivisione come gli stuzzichi, una decina di proposte tra cui il Taco di sottile di angus cotta al bbq con maionese sweet chili e tapioca, il Bao di bue grasso piemontese al bbq con zucca e croccante al parmigiano o il Midollo arrosto, pane croccante e salsa ai ricci di mare. Poi ovviamente ci sono i nostri salumi, le bresaole, i carpacci e le tartare. Infine c’è un piatto a cui sono particolarmente legato, i Tortelli di mandorle amare con tartufo nero bergamasco che mi porto dietro dall’esperienza della Lucanda. La ricetta è nata nel 1998 e ancora oggi ho clienti affezionati che continuano a venire solo per quella».
Lucanda anche nel senso di ospitalità: quando nasce l’idea?
«Abbiamo le camere sin da quando ho ristrutturato nel 2001: sono otto da letto, frequentate da una clientela prevalentemente business o da gourmand che vengono apposta a mangiare da me».
Sei a Milano: qual è il tuo posto preferito dove mangiare una bistecca?
«Per la bistecca non ne ho, ma vado spesso con i miei figli a mangiare da Beef Bar, Iyo o Nobu, abbiamo una passione per la cucina fusion».
Arriva un cliente vegetariano al tuo ristorante, cosa può ordinare?
«I tortelli con il tartufo e le mandorle sono l’ideale, altrimenti le nostre verdure sono una valida alternativa senza rinunciare al gusto, dal momento che le cuciniamo nel forno a legna».