Da Vittorio a Brusaporto, La Braseria e Stendhal Milano (che di recente ha inaugurato anche a Roma) sono solo alcuni dei ristoranti di alto profilo diventati “clienti affezionati” de La Cigolina, azienda di 100 ettari in provincia di Lodi (nella località di Castelnuovo Bocca D’Adda) che alleva bovini di razza Wagyu 100% italiani. «All’inizio ci rivolgevamo solamente a privati – commenta Vittorio Gaboardi, proprietario della realtà lombarda insieme al fratello Alessandro –. Siamo in primis degli allevatori e nella nostra filosofia c’è sempre stata l’intenzione di trattare l’animale nella sua interezza. Vendere solo il lombo, oltre a non essere conveniente in termini di costi, è uno spreco: perché andrebbero sacrificate parti importanti come il quinto quarto, la coda e la lingua che fortunatamente sono tornati alla ribalta sulle tavole».
Fino a 14 anni La Cigolina era una tradizionale azienda lattifera, di proprietà della famiglia Gaboardi dal 1929, quando il bisnonno acquistò la tenuta. Una conduzione in cui c’è stato un salto generazionale arrivando direttamente ai nipoti, Vittorio e Alessandro – il padre decise invece di diventare medico. La svolta avviene nel 2010, quando si presenta l’opportunità di tornare a seguire l’attività fino ad allora gestita dalla nonna. «Io facevo tutt’altro, lavoravo nel mondo televisivo, al fianco di personaggi come Ezio Greggio – rivela Vittorio –. Quando sono tornato a La Cigolina ho pensato: “O vendo tutto o devo compiere una rivoluzione totale per uscire dal mercato generalista del latte”». Così, insieme ad Alessandro – che invece è laureato in agraria ed economia – hanno intrapreso il primo atto della loro rivoluzione: acquistare degli embrioni di Wagyu e tramite dei lavori di genetica hanno creato i primi incroci con le loro Frisone. «Abbiamo creduto nella razza giapponese perché già quattordici anni fa, nonostante non avesse la fama di cui gode oggi, era considerata una delle carni più pregiate al mondo – spiega Gaboardi –. Dopo i primi incroci siamo arrivati a ottenere anche i primi bovini interamente di Wagyu e conducendo un progetto insieme a un laboratorio di Parma e le Università Cattoliche di Cremona e Piacenza abbiamo analizzato la nostra carne ed è emerso che oltre il 90% dei nostri capi è formato da grassi polinsaturi. Un successo».
Il nome dell’azienda ha cominciato a girare negli ambienti del settore agroalimentare e, se i primi anni sono stati difficili, adesso Vittorio e Alessandro Gaboardi sono felici del loro percorso. «Oggi oltre ai ristoranti, serviamo hotel, gastronomie, macellerie mentre internamente abbiamo la nostra bottega (aperta un anno fa, nda) e lo shop online», continua Vittorio che nel 2023 ha ricevuto un grande riconoscimento: «Abbiamo partecipato alla World Steak Challenge di Londra, la più importante competizione di Wagyu al mondo, dove 60 giudici giudicano la carne sia da cotta sia cruda. Il risultato è stato clamoroso perché siamo stati i primi italiani a vincere ben due ori, nella categoria Controfiletto e Costata». Il segreto del successo e della qualità dei loro animali risiede sia nell’alimentazione, a base di sole materie prime naturali prodotte dall’azienda e coltivate nei loro terreni, sia nell’aver “occidentalizzato” il gusto del tipico Wagyu Japanese black. «La razza giapponese possiede un’importante marezzatura, che non permette di mangiare grammature elevate – confessa Vittorio Gaboardi –. Noi abbiamo mantenuto le caratteristiche del Wagyu rendendo inferiore il livello del grasso che ci permette così di avere una carne più digeribile con la possibilità di degustarne quantità maggiori. Una tecnica a vantaggio sia nostro che del consumatore, perché in questo modo anche il costo al chilo della carne scende vertiginosamente».
Con i suoi 650 capi divisi all’incirca tra 420 Frisone e 230 Wagyu, Vittorio e Alessandro Gaboardi non hanno smesso di produrre il latte. Anzi, anche in questo caso hanno compiuto una piccola rivoluzione ottenendolo con la Beta Caseina A2A2 – in questo caso il progetto è stato portato avanti insieme all’Università Statale di Milano –, la tipica proteina che era presente nel latte nostrano fino agli anni 60, poi progressivamente scomparsa in favore della Beta Caseina A1A1. «Questa proteina proviene dal seme di toro americano-canadese, ed è stata importata in Italia perché meno costosa e più efficiente. Il problema è che degli studi recenti hanno dimostrato come questa Beta Caseina sia stata la causa di intolleranze e patologie, come quelle di tipo cardiocircolatorie – racconta Vittorio –. Noi non abbiamo fatto altro che tornare a produrre il latte come si faceva una volta. Grazie a questa intuizione adesso realizziamo formaggi come Provolone e Grana Padano Dop anche senza lattosio, grazie alla Latteria di Pizzighettone, di cui sono socio». A garantire un prodotto di ottima qualità è poi il laboratorio medico de La Cigolina che attraverso un herd navigator (sistema di gestione della mandria) monitora il latte delle mucche ogni volta vengono munte. Ciò consente di avere aggiornamenti costanti sullo stato di salute dell’animale e agire per la prevenzione; un’attività grazie alla quale l’uso degli antibiotici è stato ridotto di oltre il 50%.