Gli impianti della distilleria Puni all’interno dello stabilimento in Val Venosta (BZ)

La nuova geografia del whisky

Dall’Alto Adige alla Sardegna, chi sono i distillatori (di grappa soprattutto) e i mastri birrai pionieri del recente capitolo sul pregiato distillato di malto made in Italy.

Le botti si moltiplicano. Riempite e messe da parte ad attendere, con apprensione e un po’ di segretezza. Tre, cinque, anche otto anni. Perché, si sa, è il tempo il segreto per un grande whisky. E sarà proprio il tempo a dire se la via italiana al whisky è qui per restare. Intanto, questi pionieri di un nuovo capitolo per la distillazione nazionale sono diventati un vero e proprio movimento nel nostro paese. La mappa che abbiamo disegnato, e che è in continua evoluzione, parte dal nord: Alto Adige, Friuli, Veneto, Lombardia, per estendersi in Toscana e Sardegna. Sono distillatori, di grappa soprattutto, ma tra di loro spuntano anche dei mastri birrai. Una rivoluzione partita in sordina quasi dodici anni fa, ma che proprio negli ultimi mesi ha visto una significativa accelerazione, trainata da qualche annuncio di peso che ora fa ben sperare per un ingresso sui mercati globali nei prossimi 3-5 anni del whisky Made in Italy, di nicchia e ricercato. «Siamo sempre stati ai primi posti nelle classifiche dei prodotti premium come consumatori del Single Malt scozzese — dice Davide Terziotti, che con Claudio Riva è l’anima di Whisky Club, la più importante comunità di esperti in Italia di questo distillato —. Ora i paesi produttori si moltiplicano e lo Scotch non è più il solo protagonista. L’Italia si inserisce in questo trend globale. Da noi potrebbe succedere come per la birra, dove, pur non avendo una forte tradizione, ci siamo saputi imporre con prodotti di alto livello», conclude Terziotti.

Una visione nata in Alto Adige

Se il whisky italiano ha un luogo di origine, questo è l’Alto Adige. Siamo nel 2010 e la distilleria Puni, in Val Venosta, è stata la prima ad avviare l’esperimento di una produzione locale. Albrecht Ebensperger voleva un posto speciale nel territorio che esprimesse la sua passione per il whisky. Ha così chiamato l’architetto Werner Tscholl per realizzare una struttura a cubo, in mattoni, ispirata agli antichi fienili, per ospitare gli impianti e i visitatori. Il nome Puni è quello del vicino ruscello e in antica lingua retica indicava la regione. Nel 2012 la prima distillazione e nel 2015 le prime bottiglie: poco più di 1.900 tra Nova e Alba. «Non potevamo contare su nessuno schema esistente per creare il nostro whisky. Ogni attività pionieristica presenta incertezze e difficoltà. Abbiamo puntato sin dall’inizio su una produzione di alta qualità, seguendo i tradizionali metodi scozzesi», dice Jonas Ebensperger, socio fondatore e direttore. Per caratterizzare il prodotto ha voluto invecchiamenti originali, che, oltre alle classiche botti ex bourbon e sherry, avessero un tocco italiano. Come nel Puni Aura Limited Edition 02, invecchiato oltre otto anni esclusivamente nelle botti di Marsala, dall’intenso aroma. Insieme a Puni, un altro imprenditore altoatesino muoveva i primi passi nella stessa direzione: Werner Psenner, dell’omonima distilleria. «Il whisky è un prodotto eretico, si esprime in tanti modi diversi nel mondo, ed è per questo che c’è spazio anche per uno stile italiano. Grazie alla ricchezza di affinamenti possibili e alla nostra lunga esperienza tecnica nella distillazione, e grazie a secoli di produzione della grappa, possiamo fare un grande prodotto», racconta Psenner. Siamo a Termeno, vicino Bolzano, in terra di Gewürztraminer. Tre generazioni di distillatori dal 1947, soprattutto di frutta e in particolare di pere Williams per cui sono famosi nel mondo. Quando ha preso in mano l’azienda, Werner voleva lasciare il segno. Ha adeguato parte degli impianti e cercato una sua personale via al whisky, usando le ex barrique di grappa per invecchiare il primo prodotto che è uscito nel 2016 con l’etichetta di famiglia. Lo ha chiamato eRètico, dall’antico popolo locale dei Reti, ma soprattutto perché è un Single Malt libero, con una personalità un po’ rivoluzionaria. Due anni fa la decisione di continuare a sperimentare con un terzo passaggio, dopo le botti di grappa e di sherry, usando quelle di Gewürztraminer per dare una nota ancora più profonda. Ora sta per uscire con il suo primo “sette anni”, in produzione limitata di un migliaio di bottiglie e che vorrebbe diventasse un must della distilleria insieme al “cinque anni”.

Terroir veneto, italiano e mediterraneo

Era il 1985 e nel primo dei tanti viaggi per distillerie scozzesi Jacopo Poli inizia a coltivare il sogno di produrre un whisky tutto italiano. In oltre 100 anni di storia, la sua famiglia ha sempre fatto grappa a Schiavon, in Veneto, a pochi chilometri da Bassano del Grappa. La esporta con successo in 63 paesi. Da questa esperienza, dall’amore per la distillazione fatta con spirito artigianale, e da una certa dose di coraggio dell’ultima generazione — costituita da Jacopo, Andrea e Barbara Poli — è nato il whisky Segretario di Stato, presentato pochi mesi fa. Ma il progetto è partito nel 2013. Una data significativa per Schiavon, quando il suo cittadino più illustre, Monsignor Pietro Parolin, è diventato Segretario di Stato della Santa Sede. Il nome si ispira a questo e vuole essere un omaggio rispettoso, peraltro autorizzato, grazie a un accordo con la Segreteria di Stato della Santa Sede per l’uso del nome e la pianta di piazza San Pietro sull’etichetta. «Il nostro è un prodotto italiano, frutto di un lavoro fatto con grande cura e investimenti — illustra Jacopo Poli —. Ci sentiamo degli alchimisti, sperimentiamo con la fermentazione del malto, la distillazione e l’invecchiamento. Serve del tempo, ma siamo sulla buona strada». Dopo una maturazione di cinque anni in botti di rovere, il prodotto è affinato per almeno un anno in botti di Amarone. L’acqua è attinta dal Monte Grappa, Riserva della Biosfera Unesco. Un distillato in cui si esprime il terroir veneto, dalle note di malto e legno fresco, fruttato e speziato. Il primo lotto è uscito in edizione limitata di 1.898 bottiglie in eleganti cofanetti. Se Poli ha già la sua bottiglia, sempre in Veneto, un altro sogno attende ancora di essere realizzato e promette di essere un game changer. Da quasi 40 anni, dalle sue prime esperienze di lavoro in Brasile, Sandro Bottega aveva l’idea di realizzare un whisky italiano, dall’acqua ai cereali, fino alle botti di vino. Di Amarone, era il primo pensiero, e poi di Brunello. Ci sono voluti gli ultimi due anni e mezzo di pandemia, per rifletterci davvero. Ora è tutto pronto nel nuovo impianto friulano (a Fontanafredda) della sua azienda, la Bottega Spa, per ampliare la produzione anche al whisky. Per le prime bottiglie bisognerà aspettare il 2025, ma l’investimento è importante, visto che si parla di una delle più conosciute aziende vinicole venete, che esporta in quasi 150 paesi. E il numero di bottiglie si annuncia di impatto: 250mila, per portarle a un milione entro 5-7 anni. Insomma, un ingresso di peso nel mercato. Il modello è quello giapponese, un paese che non aveva una tradizione di whisky, ma che oggi è tra i produttori più pregiati. «Gli italiani sanno fare grandi distillati e liquori, che meritano una fetta di mercato a livello globale, purtroppo con la grappa non siamo riusciti a imporci come avremmo voluto. Io ci credo ancora, ma ora possiamo riuscire con un prodotto più riconoscibile, il whisky. La nostra capacità tecnica è molto alta. A patto di farlo a modo nostro», è il pensiero di Bottega. E quindi spazio all’italianità. Per un’origine certificata. La sua idea è un distillato dai sentori meno legnosi, più fruttati, non troppo invecchiato. Un vero Mediterranean Whisky.

A spasso tra le campagne toscane

È iniziato tutto quasi per gioco nel 2013. Nel 2018 il primo “cinque anni” firmato Nannoni è stato un piccolo successo. E così Priscilla Occhipinti, una delle poche donne master distiller in Italia ha dato alla Toscana, terra di grandi rossi, anche il suo whisky. Non poteva essere altrimenti per un’azienda che, fin dagli anni 70, di primati ne ha raggiunti diversi. In un casolare della campagna maremmana di Civitella Paganico, nel grossetano, il suo fondatore Gioacchino Nannoni ha dato i natali alla Grappa di Brunello, premiata in tutto il mondo, spostandone di fatto l’asse più a sud. Occhipinti ne è stata allieva fin da giovane e poi ne ha ereditato la distilleria. «Oggi abbiamo 46 prodotti a marchio Nannoni, e io sono orgogliosa di aver continuato la tradizione di questa impresa. Il nostro whisky va a completare una gamma di proposte, ma non è il business maggiore. Per questo ne farò una produzione limitata. Voglio che il mio whisky racconti le campagne toscane, che sia un prodotto dalla connotazione locale e di eccellenza». A breve uscirà il “tre anni”, Single Malt, in 800-1.000 bottiglie. «Seguo io tutta la produzione, dalle materie prime, persino il malto, alla distillazione e l’invecchiamento», spiega Occhipinti, il cui impegno e passione non si fermano mai durante l’anno.

Dal mondo birra

La ricchezza del panorama italiano del whisky non si limita ai soli distillatori tradizionali. Mesi fa c’è stato l’annuncio a sorpresa di un whisky firmato dal mastro birraio Agostino Arioli e da Benedetto Cannatelli di Railroad Brewing Co., con il marchio Strada Ferrata. Per il protagonista, nonché iniziatore, della grande stagione delle craft beer in Italia con Birrificio Italiano (Lurago Marinone, CO), si apre così una nuova sfida, in parte già delineata dal lancio del New Make: un distillato di cereali di alta qualità, in cinque versioni e qualche limited edition, che vuole introdurre il progetto whisky vero e proprio in uscita nel 2024. Per l’occasione Arioli ha lanciato con successo la campagna “Founders” e adesso replica con un secondo lancio per chi vuole garantirsi l’acquisto di bottiglie del primo batch. Si parla di 10mila unità. «Prima del 2024 usciremo con un pre whisky — assicura Arioli — e inoltre continueremo con il New Make, che è un prodotto che piano piano sarà capito dal mercato. I nostri whisky saranno “cinque anni” e Single Malt. Avremo anche i Single Cask. Ne vedremo delle belle. Come è successo con le birre, si aprirà una stagione di craft distillery». E che la comunità birraia guardi con interesse al trend, lo proverebbero diversi rumors che coinvolgono nomi di peso. Come il progetto sardo della storica azienda vitivinicola Silvio Carta, insieme a Ichnusa, di cui si vocifera da tempo e che dovrebbe uscire nel 2023. Non è l’unico sull’isola. Il birrificio agricolo e distilleria Exmu di Alessandro Cossu e Simona Ruda, sulla strada tra Sassari e Alghero, è già al lavoro dal 2020 per il “tre anni” in uscita nel 2023, con circa mille bottiglie. L’azienda è anche fattoria, dove è coltivato l’orzo, lavorato, maltato, e i lieviti sono locali. Un prodotto tutto seguito in casa. Un whisky artigianale, autenticamente sardo.

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Foto di copertina: Gli impianti della distilleria Puni all’interno dello stabilimento in Val Venosta (BZ)

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