I giapponesi sono così: aspirano solo al meglio e se si mettono in testa di imparare qualcosa vanno dai migliori maestri. Da anni, sono in tanti che dal Sol Levante atterrano a Napoli e dintorni per apprendere l’arte dei pizzaioli proprio lì dove è stata riconosciuta patrimonio dell’UNESCO. Uno dei più lampanti esempi della loro capacità di replicare alla perfezione il modello appreso è per esempio la ormai storica pizzeria “Da Isa” di Hisanori Yamamoto. Nel locale di Naka Meguro, a Tokyo, tutto richiama Napoli: dall’ambiente affollato e chiassoso, con le pareti piene di foto e riconoscimenti, alle pizze “a ruota di carro”. Ma negli anni, i pizzaioli giapponesi – alcuni dei quali si sono formati direttamente in patria – hanno messo a punto anche un loro stile personale, che parte dal prototipo napoletano per assumere tratti peculiari. Qualcuno ha battezzato questa pizza più piccola, con il cornicione alto, gli ingredienti “contaminati” e la cottura perfetta, “Tokyo Neapolitan style”. Ne è un esempio Pizza Studio Tamaki, nuovo luogo di grido con due indirizzi (a Shinbashi e a Roppongi) guidati da Tsubasa Tamaki, che nella scelta degli ingredienti – dalla nduja alla goya, zucca amara di Okinawa – scombina parecchie aspettative. Ma la vera pizza napoletana, in Giappone, si può trovare anche in zone meno centrali. A noi è capitato addirittura sull’isola di Awaji, nella prefettura di Hyogo.
Conosciuta soprattutto per la città di Kobe, merita una visita anche per i meravigliosi scorci naturali, i vivai di fiori e la ristorazione. Qui il turismo europeo non si è ancora affacciato, ma la cucina italiana – molto apprezzata dagli stessi giapponesi, a cominciare proprio dalla pizza – è proposta da diversi locali. Primo fra tutti il Grab Costa Orange, ambiente contemporaneo e vista mare, che utilizza farine e pelati italiani al 100% con un bellissimo forno a legna di ultima generazione. Qui le pizze, di diametro leggermente inferiore rispetto all’Italia, hanno un bel cornicione soffice e sono proposte dal pizzaiolo giapponese – che ha imparato l’arte ad Osaka in una scuola di pizzaioli a loro volta formatisi in Italia – in tante varianti, dalla Margherita Extra alla Scarpariello, tutte con il nome scritto in italiano. Poco distante, sempre sul litorale, al ristorante Miele da Scuola il pizzaiolo Takaaki Yamamoto sforna invece una pizza – più simile alla romana che alla napoletana, a base di un mix di farina italiana e soia e cotta al forno elettrico – conosciuta soprattutto per l’utilizzo dei due ingredienti locali principali: la cipolla di Awaji (dolce e digeribile, protagonista di tante ricette e preparazioni isolane) e i prelibati bianchetti che vengono aggiunti con generosità, insieme al limone sulla pizza rossa con formaggio e basilico, direttamente a tavola.
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