Osservare un’evoluzione dell’Amarone verso una minore concentrazione e una maggiore flessuosità, con un approccio che riduce le pesantezze zuccherose e gioca di eleganza, sembra ormai un luogo comune. Eppure non è facile riconoscere questo new deal negli assaggi dell’annata 2018 presentati a Verona in occasione di Amarone Opera Prima. Probabilmente la degustazione di un numero significativo di campioni da botte non permette di ritrovare nel calice eleganza e finezza, ça va sans dire, per cui disequilibri e scompostezze sono forse comprensibili per vini che vedranno il vetro tra qualche mese (talvolta qualche anno). E anche per chi ha presentato referenze già in bottiglia, il tempo di affinamento era tanto breve da auspicare un riposo di qualche anno prima di esser godute. Detto questo, si comprende come l’anteprima ben condotta dal Consorzio Vini della Valpolicella risulti un appuntamento cruciale per fare il punto sullo stato di salute della denominazione e per (ri)assaggiare le annate sul mercato, mentre la foga della degustazione en primeur non sembra rendere onore al lavoro di vignaioli e produttori. Ecco spiegata l’assenza di alcuni vigneron di pregio o di alcune solide maison in Valpolicella tra i calici più convincenti. Hanno invece potuto giocare di prontezza alcune etichette già in bottiglia con il 2018, facendo valere una buona pulizia stilistica – come l’immancabile Bertani, Casa Vinicola Bennati, Cà la Bionda e Salvaterra – oppure un frutto più materico – come Bronzato, Cantina Valpantena, Massimago e La Collina dei Ciliegi, ma anche Aureum Acinum di Tinazzi. Tra le prove di botte fanno già intravedere sprazzi interessanti Monteci (per densità), Secondo Marco (frutto), Tenuta Santa Maria di Gaetano Bertani (tensione), Santa Sofia (asprezze), Tenute Falezza (linearità). In generale, il legno risulta ancora invadente nel sorso e talvolta copre gli elementi identitari di vitigni e territorio.
“Denominazione in equilibrio”
Se l’anteprima è un’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte in seno a una delle denominazioni italiane di maggior rilievo, un quadro sintetico viene da una battuta del presidente Christian Marchesini: «Denominazione in equilibrio». Tra luci e ombre, infatti, non si può dire che la Valpolicella soffra. Guardando allo spaccato di Nomisma Wine Monitor sul 2022 si rileva infatti un calo nei volumi e una crescita nei valori per le vendite di Amarone in Italia e nel mondo. A fronte di un valore in crescita del 4%, a circa 360 milioni di euro franco cantina, corrisponde una contrazione in volume del 7,2%. Nulla di drammatico, anche se emerge una evoluzione in controtendenza, con il mercato interno (che vale circa il 40% sulle vendite totali) in tenuta sia per volumi (+1,5%) che per valori (7,4%), mentre l’export perde il 13% sui quantitativi pur a fronte di un incremento valoriale dell’1,8%. «Il 2021 è stato un anno eccezionale sul piano delle vendite – chiosa il presidente Marchesini – e il 2022 è servito per consolidare la crescita, con risultati meno eclatanti ma comunque significativi. Lo testimoniano anche gli imbottigliamenti, che registrano un incremento del 12% rispetto al pre-Covid (2019) per un’annata commerciale che è stata comunque la seconda migliore del decennio, con oltre 17 milioni di bottiglie immesse sul mercato. La denominazione si conferma in equilibrio, grazie anche a una stabilizzazione finalmente raggiunta sul fronte della superficie vitata dopo il blocco degli impianti del 2019». Una lettura importante per una denominazione da oltre 2400 aziende (tra viticoltori, vinificatori e imbottigliatori) che lavorano su 8600 ettari di vigneto e generano un giro d’affari di oltre 600 milioni di euro, di cui più della metà riferiti all’Amarone.
Pronto il dossier per la candidatura Unesco
Amarone Opera Prima è stata anche l’occasione per presentare ufficialmente il dossier per la candidatura della tecnica della messa a riposo delle uve in Valpolicella – l’appassimento, un momento chiave per Amarone e Recioto – a patrimonio immateriale dell’Unesco. Sintetizzano il lavoro di studio, analisi, raccolta di documenti e materiale video fotografico anche di archivio, il comitato scientifico coordinato da Pier Luigi Petrillo dell’Università Unitelma Sapienza di Roma ha completato il quadro da presentare alla Commissione nazionale per l’Unesco, l’organismo interministeriale cui spetta il compito di scegliere (entro il 30 marzo) l’unica candidatura italiana da inviare a Parigi per la valutazione. «Il dossier – spiega il professore Petrillo – evidenzia come si tratti di una tecnica che rispecchia la storia sociale, politica, economica di questo territorio e ne manifesti l’evoluzione. Il profondo radicamento culturale e identitario definisce la stessa architettura rurale della Valpolicella: un saper fare che da oltre 1500 anni identifica questa comunità». Se l’obiettivo verrà centrato, la Valpolicella sarà il primo territorio a ottenere iscrizione di una pratica di vinificazione negli elenchi tutelati dall’organizzazione ONU. La presentazione del dossier «è il risultato di un grande lavoro di squadra – commenta Marchesini – che ha messo a fattor comune la valorizzazione della Valpolicella e la sua vocazione all’eccellenza. Una unità di intenti e di visione che ha riscontrato l’appoggio anche delle istituzioni».