L’Emilia è un laboratorio pop di leggerezza e il sorso porta un sorriso sulle labbra. La Romagna è finezza e rigore, con i tannini anche nei calici di bianco.
Ecco i due macro-tasselli di un mosaico enologico che in Emilia-Romagna vede quattro “magnifici” alfieri in altrettanti vitigni autoctoni: il Lambrusco e la Malvasia di Candia per l’Emilia, l’Albana e il Sangiovese per la Romagna. Il tutto con un approccio pop e autentico – come hanno sottolineato i referenti Ais di Emilia e Romagna nel tasting “I maginifici 4” tenutosi al Vinitaly 2025.
Parlando bevibilità e snellezza – che trovano nei vini dell’Emilia la sua espressione – si rischia spesso di banalizzarne l’approccio, eppure il sorso snello è capace di profondità quando si associa all’eleganza. E lungo la via Emilia crescono fucine di autenticità che sono nel calice, ma che toccano tutte le 44 Dop e Igp che questo territorio vanta.
Il Lambrusco è un vitigno plurale che passa dal rosaceo fino al rosso impenetrabile che vira al violaceo, con la freschezza acida e l’immediatezza a fare da filo conduttore. I sommelier suggeriscono il Lambrusco Sorbara con carni e crostacei, magari come aperitivo, mentre Grasparossa e Salamino con sughi e ragù di mezza Italia, ma anche con bolliti e hamburger; ci son poi i Lambrusco del Reggiano più solidi (magari con l’aggiunta di Ancillotta) che reggono barbecue e anche piatti etnici con qualche piccantezza.
La Malvasia di Candia è l’aromatico per eccellenza, con profumi capaci di inebriare senza che sia assolutamente un vitigno semplice. All’emozione olfattiva, infatti, corrisponde una grande potenzialità in termini di acidità e profondità del sorso. Molto duttile, nella versione ferma è consigliata per piatti speziati, legumi e cucina giapponese, mentre frizzante si abbina ai salumi grassi (delle Dop piacentine in particolare) così come ai crostacei o ai crudi di mare, senza dimenticare la tradizionale versione dolce che meglio abbinare ai paté o ai formaggi stagionati piuttosto che con biscotti secchi.
In Romagna, invece, emergono come filo conduttore i tannini presenti già nel calice bianco di Albana, ma poi rafforzati nel Sangiovese. Tannini che sorreggono vini capaci di grande longevità, che quando uniscono alla struttura una bella acidità e mineralità possono avere un posto d’onore sulla tavola.
L’Albana – prima Docg italiana – è il vino dai mille stili, spaziando dalla spumantizzazione alle macerazioni, ma da riscoprire anche nella versione dolce. La bolla è perfetta per i crudi di pesce e per i salumi, mentre il secco gioca con pesce e passatelli; i sommelier suggeriscono la versione macerata in abbinamento a piatti etnici e speziati, mentre il passito cerca formaggi erborinati e sfiziosi.
Il Sangiovese è passato nel tempo da un approccio muscolare a una maggiore snellezza, finezza e immediatezza che permette un pairing con carni crude e brasati, con i salumi e – perché no? – con pesci grassi e sughi.