La Campania è sempre più territorio attrattivo come wine destination e secondo molti osservatori le denominazioni della regione sono tra le più dinamiche su scala italiana. Dalla Costiera all’entroterra beneventana, dal casertano al Cilento, fino all’areale vulcanico intorno a Napoli, le esperienze enoturistiche s’intrecciano con una gastronomia di eccellenza – pizza in primis – e sapori straordinari frutto di lavorazioni artigianali.
Non è forse un caso, allora, che quest’anno si sia spostato proprio in Campania — per la prima volta nel Mezzogiorno — l’evento “I 33 d’Italia”. Un momento di festa che unisce da quasi vent’anni 33 cantine di tutta Italia (e 33 famiglie del mondo del vino). Un momento itinerante, che suggella anno dopo anno un’amicizia trasversale e ultradecennale.
Tra calici e sapori campani
Nel 2023 è toccato all’Alta Campania ospitare la festa, e la famiglia Alois ha spalancato le porte della cantina a Pontelatone, nel casertano. Massimo Alois e la moglie Talita, assieme a Fulvio Alifano (Abbazia di Crapolla), Andrea Ferraioli (Marisa Cuomo) e Peppino Pagano (San Salvatore 19.88), hanno saputo orchestrare un evento che ha unito l’arte della pizza con la musica, i sapori del territorio con il live painting, tenendo ben saldo un filo conduttore essenziale: il vino.
Le cantine ospiti – con assaggi dal presente, ma anche qualche etichetta invecchiata – erano Nicola Bergaglio, Paolo Conterno, Giovanni Viberti, Paolo Manzone, Enrico Serafino, Giacomo Bologna e Villa Sparina dal Piemonte, Ferghettina dalla Lombardia; Zenato, Tenuta Sant’Antonio e Cavalchina dal Veneto; Le Monde, La Tunella e Livio Felluga dal Friuli; dal Trentino i Ferrari e dall’Emilia Romagna San Patrignano; Andrea Felici dalle Marche e Cantine Dei dalla Toscana; Sergio Mottura e Casale Del Giglio dal Lazio; Felline dalla Puglia; Elena Fucci dalla Basilicata; Ciro Biondi e I Custodi dalla Sicilia. La rappresentanza più numerosa era, ça va sans dire, quella dalla Campania, con i padroni di casa di Cantina Alois, I Cacciagalli, Marisa Cuomo, Abbazia di Crapolla, San Salvatore 19.88, Donnachiara, Trabucco, Colli Di Lapio, Masseria Piccirillo e Caggiano.
L’accompagnamento ha visto in prima fila la pizza, sfornata senza tregua per tutto il giorno dalla squadra di professionisti della pala capitanata da Simone De Gregorio; ai fornelli si sono invece alternati gli chef Armando Caiazza, Pietro Leonetti, Renato Martino e Lucio Romano.
L’evento ha offerto l’occasione per conoscere e apprezzare Pizza Hub, il progetto ispirato dalla pizza di Franco Pepe che ha portato a far emergere gli artigiani del gusto del territorio, presenti in casa Alois per far scoprire deliziosi formaggi, salumi d’eccellenza, uova, salse, olio, ma anche birra e vino. Accanto ai sapori dell’area di Caiazzo anche le specialità di carne della macelleria Giacomo Buonanno, i formaggi dall’affinatore Peppe Iaconelli e i dolci irresistibili di Stefano Priolo.
Enogastronomia e territorio
L’evento “I 33 d’Italia” – che è stato dedicato in particolare al ricordo di Giovanni Nasta, scomparso durante la pandemia – si è dunque trasformato in una celebrazione del territorio dell’Alta Campania, tra natura e sapori. La festa ha dato anche lo spunto per un confronto tra i protagonisti locali e altri amici da tutta Italia sul valore dell’enogastronomia come strumento per dare forma alle bellezze di una comunità.
Nei calici, poi, hanno concesso qualche momento di stupore i vitigni autoctoni della Campania (grazie anche all’accurato lavoro di narrazione dei sommelier dell’Ais Caserta al servizio) e alcune etichette storiche, che hanno confermato – se mai ce ne fosse bisogno – come il tempo sia galantuomo con (quasi) tutti i vini.
I padroni di casa
Festeggiare in casa Alois è un po’ come celebrare e condividere la profondità della storia. Casertana dalla seconda metà del XV secolo, la famiglia Alois vive il proprio splendore associato all’industria tessile di eccellenza. Il primo Alois a scegliere il mondo del vino è Michele, che dal 1992 avvia le sperimentazioni con microvinificazioni e si afferma tra i protagonisti del Rinascimento dei vitigni autoctoni nel medio-alto casertano. Nel 2002 le varietà autoctone pallagrello bianco, pallagrello nero e casavecchia vengono iscritte nell’albo nazionale dei vitigni. Alle pendici dei Monti Caiatini, Michele Alois realizza il sogno di un vigneto, una cantina e una casa rurale borbonica dei primi dell’Ottocento. La tenuta diviene luogo di accoglienza e oggi il figlio Massimo spinge anche sulla proposta enoturistica, ma in cantina continua sulla strada della ricerca e del lavoro sugli autoctoni. I due unici vitigni a bacca bianca coltivati dagli Alois sono falanghina e pallagrello bianco — quest’ultimo presente nelle vigne borboniche a ridosso della Reggia di Caserta, veniva chiamato “il vino del Re” perché amato da Ferdinando IV. Massimo Alois lo lavora con un più accurato affinamento nel suo Caiatì, ma il vitigno sembra rimanere più teso e affascinante nel meno evoluto Morrone. Tra i vini rossi di Fattoria Alois spiccano il pallagrello nero e l’antica varietà casavecchia. Le uve di entrambi i vitigni oggi vengono lavorate direttamente in legno, con più o meno lunghe macerazioni e affinamenti sempre accurati. Se il pallagrello mantiene dolcezze più spiccate, il casavecchia si mette invece in evidenza per la profondità dell’espressione che concilia frutto e pietra, pepe e tannini. Dopo dieci anni di sperimentazioni, Alois ha deciso di creare tre vini “cru” dalle vigne poste in altura ai piedi del Monte Friento e dai vigneti della località Audelino. Sono Morrone (pallagrello bianco), Murella (pallagrello nero) e Trebulanum Riserva (casavecchia), tre espressioni di territorio dalla personalità intrigante con un ottimo potenziale di invecchiamento.