Non serve riferirsi a stornelli romaneschi e strofe da fraschetta per certificare quanto il vino dei Castelli Romani sia il più paradigmatico della regione: ha una storia millenaria che quasi sfocia nella mitologia, amato da imperatori e pontefici, è stato sinonimo di opulenza e sbornia – era quello che sgorgava dalle fontane di Roma “con gran sollazzo del popolo il quale d’ogni sesso et età concorreva con fiaschi e tazze a bevere allegramente”, diceva Marco Porzio Catone – e ha raggiunto le tavole di tutto il mondo. A più riprese bistrattato, oggi rivive un momento luminoso grazie al lavoro di qualità di tante cantine sul territorio che esprimono al meglio le denominazioni locali, anche grazie a un terroir benedetto e generoso.
Oltre alla storica Doc Frascati, nata nel 1966, qui si producono le Docg Cannellino di Frascati (la versione dolce, da vendemmia tardiva) e Frascati Superiore (con 70% di Malvasia del Lazio o Malvasia di Candia, affiancata da altre varietà tipiche a bacca bianca), il cui territorio è circoscritto ai comuni di Frascati, Grottaferrata, Monte Porzio Catone, Monte Compatri e addirittura del Comune di Roma Capitale.
Ma non di soli Castelli Romani vive la viticoltura del Lazio, da considerarsi decisamente bianchista ma con diverse e importanti eccezioni. Quella del Cesanese del Piglio, ad esempio, altra Docg che si riferisce a tre tipologie di vino rosso – “base”, “Superiore” e “Riserva” – e che viene prodotto nella provincia di Frosinone, sulle pendici dei Monti Ernici. Corposo, equilibrato, con intensi sentori fruttati, è un vino ideale da abbinare ai piatti della cucina romana, in particolare l’abbacchio. Interessante è pure la produzione della zona meridionale dell’Agro Pontino con i vini Circeo Doc: qui si coltivano Trebbiano Toscano e Malvasia del Lazio per i bianchi e Merlot e Sangiovese per i rossi.
Curiosa la storia dietro al nome di un altro vino celebre: Est! Est!! Est!!! Leggenda vuole che nell’anno 1111 il vescovo Johannes Defuk – grande intenditore di vini – era al seguito di Enrico V di Germania che stava raggiungendo Roma per ricevere la corona di Imperatore del Sacro Romano Impero. Lungo la via, usava mandare in avanscoperta il suo coppiere, così che scegliesse i vini migliori e scrivesse accanto alla porta delle locande meritevoli la parola latina est (abbreviazione di est bonum). Servì ripetere tre volte il segnale, con ben sei punti esclamativi, per evidenziare la qualità del vino bianco di Montefiascone. Oggi si conferma eccellente la produzione della Tuscia viterbese, in particolare quella della Valle dei Calanchi, con le vigne “con vista” sulla silhouette, unica al mondo, di Civita di Bagnoregio.
Vigne Vista Mare:
Tra le produzioni più singolari della regione c’è senza dubbio quella che riguarda la principale delle isole dell’arcipelago pontino, più conosciuta come destinazione per le vacanze estive che come avamposto enologico.
La domanda è d’obbligo: che ci fanno a Ponza varietà tipicamente campane come biancolella, forastera, aglianico, guarnaccia e piedirosso? Quando Carlo I di Borbone, nel XVIII secolo, colonizzò l’isola – la cui viticoltura risale già all’epoca romana – e assegnò i vari appezzamenti di terra ai coloni partenopei, tra cui Pietro Migliaccio, che portarono con sé i vitigni tipici delle terre natie.
Oggi, su pochi ettari di vigna in mezzo al Mar Tirreno, si fa una vera e propria viticoltura eroica, coltivando e vendemmiando su terrazzamenti a picco sul mare, uno spettacolo che si può ammirare lungo le mulattiere o anche dalla barca. Da queste splendide viti, tutte a piede franco, nascono vini emozionanti, sapidi e grintosi, che profumano di macchia mediterranea.