Nei Caraibi, la cottura lenta e a bassa temperatura, radicata nella forza espansiva dell’affumicatura grazie all’ausilio di legna, è il segno distintivo di un ottimo barbecue. Questa è la teoria illustrata da Ramin Ganeshram, giornalista, chef e autrice del libro di cucina Sweet Hands: Island Cooking from Trinidad & Tobago. L’aroma della carne che si sprigiona durante la cottura, accompagnato dal sapore terroso e avvolgente del pimento, il gusto vivace e i bocconi morbidi dell’escabeche di pesce marinato con l’aceto dipendono dall’affumicatura. Una tecnica di cottura che ha un significato conviviale e sociale, dove amici e familiari si riuniscono intorno al fuoco. I Caraibi sono custodi di una delle più antiche tradizioni di barbecue del mondo e l’affumicatura ne è sempre stata il cuore pulsante.
La maggior parte degli studiosi di alimentazione sostiene che i Taino, un popolo indigeno che abitava diverse isole dei Caraibi, tra cui Porto Rico, Giamaica, Cuba e Repubblica Dominicana, furono responsabili della creazione dei primi esempi documentati della tecnica di cottura che oggi siamo soliti chiamare barbecue. I Taino avevano un sistema ben preciso: scavavano una fossa e costruivano una graticola di legna verde legata con fibre, spiega Ganeshram. Accendevano un fuoco lento e controllato, posizionavano la carne da cuocere sulla struttura di legno sopra il fuoco e chiamavano tale processo barabicu, che tradotto significa “fossa sacra”. I colonizzatori europei furono i primi a documentare alcune di queste usanze, osservando gli indigeni cucinare lentamente pesce, verdure e iguane (una vera prelibatezza) su piattaforme rialzate poste sopra braci ardenti. La parola barabicu dei Taino ha dato origine al termine spagnolo barbacoa, che alla fine è entrato a far parte della lingua inglese come barbecue.
La parola barbecue si diffuse poi negli Stati Uniti d’America continentali, associata a quelle tecniche di cottura effettuate lentamente all’interno di profonde buche nel terreno utilizzate dai nativi americani del continente. In luoghi come la Virginia, infatti, animali interi o di grandi dimensioni – infilzati con un lungo bastone – venivano cotti in una trincea riempita di legna o carboni ardenti. Sebbene il termine barbecue sia stato applicato a entrambi, lo stile di cottura nei Caraibi era diverso, come spiega lo studioso di alimentazione Adrian Miller, autore di Black Smoke: African Americans and the United States of Barbecue. «Le prime forme di tale pratica consistevano in una piattaforma leggermente rialzata posta su un fuoco lento, molto diversa dal metodo di cottura che prevede la creazione di una fossa nel terreno che si sviluppò nell’America del Sud», afferma Miller. Nei Caraibi, le comunità indigene e africane si sono mescolate con i colonizzatori europei che hanno portato con sé nuovi ingredienti e tecniche di cottura. I vari stili di barbecue caraibici si sono poi sviluppati ed evoluti diversamente nella regione, in paesi come Haiti, Repubblica Dominicana e Giamaica.
«Qui nei Caraibi, il cibo racconta la nostra storia, come la tratta atlantica degli schiavi, dove degli esseri umani furono strappati alla loro patria per essere portati con la forza dall’altra parte del mondo – dice Ganeshram –. Insieme a loro giunsero erbe e spezie, metodi di cottura e la capacità di adattarsi con sforzo allo stile di vita delle popolazioni native, creando così qualcosa di nuovo». Ad esempio, la selvaggina in origine era la carne più comune, ma dopo l’introduzione di pollame e maiali nel XVI e XVII secolo ad opera degli europei, queste due divennero le prime scelte.
Tuttavia, molti elementi essenziali della cucina caraibica rimasero costanti nel corso del tempo. Il “jerk”, forse il metodo di cottura alla brace più emblematico della regione, prevede una marinatura della carne a secco particolarmente speziata. Quest’ultimo può essere fatto risalire al popolo dei Taino che, a partire da una miscela di spezie, tra cui il pimento (le bacche dell’albero sempreverde Pimenta dioica, della stessa famiglia del Mirto), realizzava una pasta da usare per la marinatura della carne e delle piante che venivano poi cotte su legna di pimento. Tra gli altri, anche il peperoncino, sia la variante dolce che piccante, è presente nei menu regionali da secoli. Inoltre, ancora oggi, l’affumicatura ricopre un ruolo importante, servendo sia come agente di conservazione degli alimenti che come componente aromatica.
Oggi i sapori dei Caraibi, radicati nella storia, sono anche alla base di alcuni dei più affascinanti piatti in circolazione. Questi ultimi stanno anche acquisendo nuove forme, grazie a persone come Dayana Joseph, nata ad Haiti ma residente ad Atlanta. La chef, infatti, fonde i metodi di cottura tradizionali e gli ingredienti della diaspora afro-caraibica con tecniche e presentazioni dell’alta cucina. Per aggiungere dolcezza e complessità alle verdure, alle carni e al pesce cotti alla brace, Joseph elabora glasse fruttate e, per le sue Code di aragosta con glassa al miele e Scotch bonnet utilizza – come suggerisce il nome della ricetta – il peperoncino originario dei Caraibi. «Questa varietà di peperoncino è molto diffusa nella maggior parte delle tradizioni dell’isola – osserva la chef –. I giamaicani e gli haitiani sono coloro che li usano di più. I primi li impiegano nel loro jerk, mentre i secondi praticamente su tutto». Joseph unisce peperoncini, miele, succo di limone e senape di Digione per ottenere una glassa che viene mescolata a un’emulsione di olio extravergine d’oliva per insaporire le code di aragosta.
A New York, lo chef Osei Blackett s’ispira al barbecue che gustava da bambino a Trinidad e Tobago. «Lo si poteva trovare in ogni angolo della strada, quanto mi manca!», afferma. Ricatturare quei ricordi di affumicatura e carne era l’obiettivo del suo Agnello al barbecue in stile Trinidad. Ma le rivisitazioni e le reinterpretazioni di questi piatti abbondano. A San Juan, a Porto Rico, lo chef Jose Enrique propone la sua versione dell’escabeche di pesce ma alla griglia, mentre a Londra, Melissa Thompson attinge alla sua identità di chef giamaicano-britannica, rifacendosi ai sapori affumicati, fruttati e leggermente dolci del jerk, per far risaltare tutto il gusto di una coscia di tacchino cotta sui rami di alloro che crescono in Inghilterra. Lo chef dominicano-americano Nelson German condivide una ricetta di famiglia dove il frutto esotico della guava si sposa alla perfezione con le costine di maiale glassate.
Ma ciò che rende il barbecue caraibico così particolare va ben oltre il piatto in sé. L’ingrediente segreto è, infatti, la comunità che lo sostiene. Come dice la professoressa di Scienze Gastronomiche dell’Università di Boston, Megan J. Elias, storica culinaria che indaga sulla storia dell’alimentazione negli Stati Uniti: «Non si può pensare di mettere semplicemente la carne sulla brace e lasciar andare, bisogna che ci sia qualcuno a vigilare e assicurandosi che tutto proceda per il verso giusto. È un modo conviviale di cucinare ed è proprio questo che ne ha permesso la sua diffusione in tutto il mondo, rendendolo tanto speciale». Per Ganeshram, la magia del barbecue caraibico va di pari passo con la perseveranza. «Questa tradizione, come del resto tutto il nostro cibo, non è solo il risultato della tratta atlantica degli schiavi e di ciò che abbiamo passato e a cui siamo sopravvissuti – dice –. È anche una bellissima storia fatta di persone che si sono riunite, nelle peggiori circostanze possibili, creando qualcosa di nuovo e duraturo nel tempo».
Frutta
Quando lo chef Nelson German ha avuto la necessità di creare una glassa per un piatto a base di costine di maiale, ha attinto ai suoi ricordi d’infanzia dove la guava era uno degli ingredienti che era solito gustare sia in piatti dolci che salati nella sua casa dominicana. La guava, così come altri ingredienti dolci, è una delle materie prime della cucina caraibica. Nella Repubblica Dominicana e non solo, i maestri del barbecue usano frutti tropicali come il frutto della passione, la guava e l’ananas per aggiungere un gusto dolce al loro barbecue, specialmente nelle salse. Al fine di realizzare la glassa perfetta, German ha rimesso insieme i pezzi dei suoi ricordi d’infanzia e dei suoi viaggi. Lo chef ha sperimentato per la prima volta il barbecue durante una gita al lago nel New Jersey, quando suo padre ha grigliato le costine per tutta la famiglia da gustare insieme agli spaghetti alla maniera dominicana. Da allora, German ha assaporato il barbecue in tutto il mondo, anche a Cuba, dove un piatto di costine di maiale con una glassa al rum e al frutto della passione è stato per lui fonte d’ispirazione. Ma la ricetta di German per le sue costine di maiale glassate al rum e guava si rifà anche alle tradizioni consolidate da tempo nella regione insulare. La salsa barbecue, infatti, affonda le sue radici nella guava, originaria dei Caraibi. La salsa è ravvivata dal rum, proveniente dalla coltivazione della canna da zucchero a cui segue una distillazione artigianale, e viene arricchita da cetriolini sott’aceto all’aroma di aneto, senape e condimento Maggi. «È un modo per rendere omaggio al nostro passato o alle persone che ci hanno preceduto – spiega German –. Per me, pensare ai nostri antenati mentre cucino è molto importante, sono piatti come questi a riportarmi indietro nel tempo».
Pepe della Gamaica
Dolce e intenso, il jerk rappresenta uno stile di cucina caratteristico dei Caraibi. Condimento e preparazione sotto lo stesso nome, è onnipresente in Giamaica, così come il pimento che ne rappresenta l’ingrediente principale: non è un vero pepe ma si tratta delle bacche dell’albero sempreverde Pimenta dioica, il cui gusto ricorda quello dei chiodi di garofano, della cannella e della noce moscata (non a caso in inglese si chiama “allspice”), che si intrecciano con le tradizioni caraibiche del barbecue. Nel XVII secolo, un gruppo di persone di origine africana cercò rifugio dagli schiavisti inglesi e spagnoli nell’entroterra montuoso della Giamaica. Divennero noti come Cimarroni. Questi ultimi si mescolarono con gli indigeni Taino che già vivevano lì, scambiando idee e sviluppando nuove tradizioni. Una di queste era il jerk, una tecnica di preparazione giamaicana in cui la carne viene condita e in seguito grigliata. I Taino insegnarono ai Cimarroni come conservare la carne con spezie e foglie, insieme a un metodo di cottura ancestrale. Alla fine, il condimento jerk – una miscela di peperoncini Scotch bonnet, aglio, timo e pimento – divenne sinonimo dello stesso stile di cottura. Oggi per il jerk si utilizza la legna di pimento per conferire profumi e aromi tipici del barbecue caraibico. «È tutta una questione di sfumature – afferma la chef giamaicana Melissa Thompson –. La presenza di questi elementi così diversi fra di loro lo rende più intenso, in altre parole più gustoso». La chef è cresciuta circondata dai profumi della noce moscata e della cannella caratteristici di questa spezia, di cui usa anche le bacche nel suo barbecue, come nella sua ricetta delle cosce di tacchino marinate al jerk. È un piatto che ama servire durante le feste o per una grigliata domenicale, abbinandolo a contorni semplici come riso e piselli o patate, così da non rubare la scena al vero protagonista della ricetta, il tacchino al jerk giamaicano. Invece di importare la legna di pimento, Thompson opta per un’altra pianta locale dell’Inghilterra: l’alloro. «Mi piace usare l’alloro perché mi permette di rifarmi a una storia passata e al contempo di scriverne una nuova – dice –. Perché l’intraprendenza (così come l’inventiva) è il cuore della cucina giamaicana».
Aceto
«Se guidate lungo la costa di Porto Rico, vi imbatterete sicuramente in questo piatto». È questo il primo commento di Jose Enrique, chef e proprietario dell’omonimo ristorante a San Juan, a proposito dell’escabeche di pesce, un piatto marinato a base di aceto, famoso in tutta l’isola. L’aceto ricopre un ruolo fondamentale nella tradizione del barbecue e nei Caraibi può funzionare sia come conservante naturale che per aromatizzare. L’escabeche di pesce (chiamato anche pesce escovitch in alcune parti della regione), caratterizzato da pesce prima cotto e in seguito marinato nell’aceto, è giunto nei Caraibi attraverso gli spagnoli secoli fa ed è oggi molto apprezzato in tutta la regione. Enrique ha dato un tocco personale al piatto, optando per una versione da barbecue che prevede l’utilizzo di tranci di ricciola alla griglia piuttosto che fritti (come avviene di solito). L’affumicatura smorza il gusto acidulo e piccante dell’aceto usato nella ricetta, mentre la salsa di Enrique a base di aceto di riso e miele conserva, addolcisce e contrasta il grasso dei succulenti tranci di pesce. Lo chef li prepara spesso in anticipo per poi gustarli caldi o freddi in occasione di una gita in spiaggia, un’esperienza che descrive come “portoricanissima”.
Affumicatura
Oggi il barbecue assume molteplici forme nei Caraibi, tra cui una serie di tecniche di cottura alla griglia, come quella diretta o indiretta su una fonte di calore, includendo al suo interno le influenze di diverse culture. Ciò che sta al centro dei vari stili, però, è l’affumicatura. Gli chef che portano avanti la tradizione del barbecue caraibico ancora oggi ricorrono all’utilizzo di diversi tipi di legna, in quanto ciascuno conferisce un sapore diverso. La legna dell’albero teak, che produce le fave tonka, ad esempio, emana un aroma di vaniglia, mentre la legna di pimento è apprezzata per le particolari note speziate che conferisce al jerk giamaicano. Lo chef Osei Blackett ricorda quando da bambino ha gustato un piatto di agnello affumicato alla brace nelle strade affollate e vivaci di Trinidad e Tobago. Entrambe le isole ospitano una consistente comunità siriana – alcuni arrivi sono recenti, altri sono discendenti di immigrati dell’inizio del XX secolo. Lo chef conserva il ricordo di un gruppo di uomini musulmani che vendevano agnello cotto alla brace, precedentemente marinato. La carne veniva servita con patatine fritte o dinner rolls (soffici panini da accompagnamento) e una salsa all’aglio o chadon beni, che deriva dalla pianta verde culantro, anche noto come coriandolo messicano, parte integrante della cucina di Trinidad e Tobago. Blackett era solito chiedere soldi ai suoi genitori per acquistare un piatto di carne ricoperto di quelle gustose salse aromatiche. Oggi, lo chef ricrea una versione di questo prezioso ricordo d’infanzia proponendo un’interpretazione personale. Il suo agnello al bbq in stile Trinidad ha note penetranti di succo di lime fresco, zenzero e timo, perfettamente bilanciate da una salsa dolce a base di birra. Per un’affumicatura in grado di contrastare il sapore selvatico della carne, Blackett utilizza legnetti di quercia. Il tempo di cottura è piuttosto lungo, ma aggiunge al piatto un elemento senza dubbio evocativo che, secondo lo chef, lo rende un degno tributo al cibo di strada di quando era piccolo. «Si tratta forse di uno dei piatti più conosciuti a Trinidad, ma soprattutto è un qualcosa a cui sono particolarmente affezionato», dice.
Scotch Bonnets
I peperoncini Scotch Bonnets sono ricchi di sfumature. Variano nel colore e nel sapore (quelli gialli e rossi tendono a essere più piccanti, mentre i verdi hanno un gusto più erbaceo), ma in generale hanno un sapore definito e fresco che li rende essenziali per la cucina caraibica, così come per la preparazione del barbecue. Da bambina, la chef haitiana Dayana Joseph vedeva sua madre usare questi peperoncini per aggiungere note piccanti e fruttate a pesce, pollo, riso e piselli. «Ad Haiti amiamo costruire i sapori dei piatti gradualmente, bilanciando ogni ingrediente e questa varietà di peperoncino ci dà sempre grandi soddisfazioni», osserva la chef. Ad Atlanta, dove ora vive, trova che pesce e crostacei siano ingredienti perfetti per una continua sperimentazione verso quella direzione. La chef rimane fedele agli insegnamenti della sua educazione haitiana, dove si pesca ciò che si mangia, e secondo lei il pesce merita un posto di rilievo nel barbecue caraibico tanto quanto il maiale, l’agnello o il pollo. Le sue code di aragosta con glassa al miele e Scotch bonnet rappresentano un esempio eccezionale per includere il pescato sulla griglia. Per questa ricetta, Joseph si rifà al boukannen, uno stile di barbecue haitiano in cui il pesce o un pezzo di carne vengono grigliati su un fuoco aperto, lasciando che si formi una leggera crosticina croccante in superficie. L’aragosta viene ricoperta con una miscela di scalogno, aglio e burro che si ispira al tradizionale epis haitiano, un condimento di colore verde intenso a base di erbe, spezie e aromi. Ma la vera protagonista della ricetta di Joseph è la glassa dolce e piccante al miele e Scotch bonnet, una miscela di senape, miele e olio extravergine d’oliva, ravvivata da un po’ di lime e da peperoncini tagliati. Ogni boccone di aragosta glassata si presenta inizialmente dolce e con una texture piacevole per il palato, per poi sprigionare tutta la sua piccantezza.