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Franco Cimini

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L’Emilia Romagna di Franco Cimini

L’orgoglio di un cuciniere di campagna

Testo estratto dal numero speciale Italianissimo: 20 (+1) racconti d’autore per 20 regioni

Sono nato a Villa Santa Maria in Abruzzo. Avevo quattro anni quando la mia famiglia si è trasferita in Emilia quindi sono ormai 51 anni che abito qui: mi sento emiliano a tutti gli effetti. Parlo il bolognese meglio dei bolognesi stessi e mi sento come se vivessi qui da sempre, anzi, come se non avessi potuto vivere in nessun altro luogo che qui.

Nella mia famiglia fare il cuciniere sembrava essere il mestiere naturale. Mio padre era cuoco e io e i miei quattro fratelli siamo finiti a fare i cuochi in città diverse. Ho passato qualche anno a Venezia: erano gli anni Ottanta, si metteva la rucola dappertutto e mi stavo avviando a una carriera nell’hôtellerie e nella ristorazione di lusso, ma poi ho pensato “ehi, qui c’è qualcosa che manca, qualcosa che si sta perdendo”. E sono tornato alle origini, alla campagna di San Giovanni in Persiceto, la cosiddetta “bassa”. Trentacinque anni fa ho aperto l’Osteria del Mirasole. All’inizio giravo le campagne con la Vespa. Andavo a caccia di anziani custodi della tradizione della nostra terra: mi guardavano arrivare come un marziano e già sapevano quanto gli avrei rotto le scatole per sapere, capire, imparare.

C’è chi per il suo ristorante cerca i prodotti migliori, io ho fatto prima e ho sposato direttamente la casara, Anna Caretti, la cui azienda agricola di famiglia è stata fondata nel 1928. Insieme abbiamo costruito una filiera chiusa: facciamo da noi Parmigiano Reggiano, ricotta e altri formaggi, salumi e la lavorazioni di carni fresche bovine e suine.

Se qualcuno mi chiede com’è la cucina emiliana io dico: è dolce. Noi emiliani ci siamo sempre contraddistinti per la peculiarità di mettere una dolcezza estrema sia nella cucina che nell’accoglienza. Basti pensare ai nostri prodotti di punta, il prosciutto di Parma, la mortadella, il Parmigiano: non si possono certo definire salati. Il Centro Sud è sempre alla ricerca di alti gradi di salinità: un prosciutto toscano è straordinario, ma così salato che lo devi mangiare con il pane sciapo. Qual è il primo ricordo di ogni essere umano? Il sapore del colostro. E sapete che sapore ha il colostro? Dicono sappia di vaniglia. È dolce. Il successo del fattore emiliano è questo: il sapore dolce dei piatti tipici e la dolce cordialità che mettono nell’ospitalità dei ristoranti e delle osterie.

Il nostro piatto più famoso sono forse i tortellini alla panna da affioramento, una creazione così ghiotta che ne mangeresti facilmente due o tre piatti di fila. Camuffa bene la sua complessità d’esecuzione e la sua incredibile valenza storico-culturale. Il tortellino alla panna ha avuto tanta fortuna ma ha causato altrettanti dissapori e rappresenta bene quanto sia ambiguo e fallace il concetto di tradizione. Si pensa sempre che sia il tortellino in brodo quello tradizionale. Eppure sono state trovate tracce scritte di un “tortello di carne” già alla corte di Matilde di Canossa: cotto in “ottimo brodo” e “servito con crema di latte da formaggio Grana”. Per restare più vicino nel tempo, mia suocera ha 75 anni e già la sua bisnonna preparava i tortellini alla panna.

Oppure possiamo prendere come esempio il ragù. Noi lo prepariamo “di cortile” come si faceva una volta, un modo per riutilizzare le frattaglie – durelli, cuoricini, creste, bargigli, fegatini… – degli animali da cortile, aggiungendo le ovarine ovvero le uova allo stato embrionale. Una lunga cottura esaltava questi tipi di carne che altrimenti andrebbero buttati via.

Non sono importanti le discussioni su cos’è vera tradizione e cosa no. Non basta dire “Ho tortellini e ragù in carta quindi celebro la tradizione”. Devi sapere cosa c’è dietro, devi conoscere la storia di quello che ti sta intorno. Devi essere capace di accogliere tutti e farli stare bene: chiamarsi osteria non è un vezzo ma un modo di essere. E soprattutto valorizzare quello che viene dalla terra, perché è dalla terra che parte tutto. Le campagne sono cambiate rispetto a trenta, quaranta, cinquant’anni fa. Le aziende sono diventate più grandi e gli agricoltori che lavorano bene, con rispetto e passione, più rari.

Ma se si cerca bene si riesce ancora a trovare un poco di Vero con la V maiuscola. E noi cerchiamo di prendercelo tutto. Ecco perché non mi sposterò mai dalla campagna: perché un fagiolino preso dall’orto e leggermente scottato, mangiato per colazione, è la cosa migliore del mondo e ti fa chiedere “Ma cos’ho mangiato finora?”.

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La ricetta: Ragù del cortile

Nato in Abruzzo, Franco Cimini è emiliano di adozione e devozione. Alla guida dell’Osteria del Mirasole di San Giovanni in Persiceto dal 1989, è tra i più grandi interpreti dell’autentica tradizione gastronomica regionale.

Foto di Alberto Blasetti

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