Oriolo dei Fichi (RA) (1)

Lo stato dell’arte nella Romagna del vino: un mosaico di identità tra gli Appennini e il mare

A fianco dei circuiti gastronomici che hanno reso celebre questa zona, sorprendono le ultime interpretazioni dei vitigni storici, dal Sangiovese all’Albana passando per il Trebbiano. Un piccolo itinerario, calice alla mano, tra nuove espressioni e riscoperte da un patrimonio enologico antico.

In quel fazzoletto verde increspato tra gli Appennini e il Mar Adriatico che è la fiera e accogliente Romagna, fino a non molto tempo fa si sostava soprattutto per godere della generosità della gastronomia. Un punto d’orgoglio, quello del convivio abbondante e caloroso, che in questa terra di campagne, orti e borghi cinti da mura e stretti intorno alle loro rocche rinascimentali non ha mai conosciuto stalli. Lo dimostrano le tante iniziative che continuano a concentrare l’attenzione dei viaggiatori gourmet, come la nona edizione di Al Mèni — sogno rivierasco di Massimo Bottura, andato in scena pochi giorni fa sul lungomare di Rimini — o ancora la tradizionale Festa Artusiana, che Forlimpopoli (FC) tributa fino a domenica 3 luglio al suo cittadino più illustre: Pellegrino Artusi, il capostipite dei ricettari borghesi italiani.

Ci sono itinerari, però, per i quali vale la pena alzarsi da tavola e prepararsi a scoprire, calice alla mano, come questo territorio abbia acquisito una propria, e sempre più stentorea, voce anche in campo enologico. Proattivo e laborioso, il Consorzio Vini di Romagna opera dal 1962 per tutelare e valorizzare una produzione che negli ultimi anni ha spostato il proprio asse dalla quantità alla qualità più misurata, nel segno della consapevolezza del potenziale custodito in questi suoli. Tra le sue varie iniziative spicca Vini ad Arte (l’ultima edizione si è svolta a fine maggio 2022), una rassegna dedicata a quel mosaico di storia e cultura che qui orbita intorno al vino, e che impasta la dolcezza mite del paesaggio a un patrimonio culturale che cinge l’antichità bizantina, la cultura cittadina del Rinascimento e la più raffinata produzione ceramica contemporanea — il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (RA) vanta una delle più complete ed estese collezioni di questo genere.

È infatti un landmark a dir poco storico — per non dire archeologico — quello che traccia i confini della Romagna enoica: parliamo del territorio ritagliato a sud dalla via Emilia, la strada consolare che dal I secondo secolo a.C. collega Piacenza a Rimini, segnando il limitare tra la pianura alluvionale e la banda collinare dei primi calanchi che si arrampicano fin sulla fascia appenninica. La composita natura del suolo è il primo elemento identitario dei prodotti di quest’area, che nascono da vigne che si sviluppano in una forchetta di altitudini contenute tra i 100 e i 300 metri s.l.m. (senza escludere, però, interessanti vini di in pianura, come vedremo). Conformazioni geologiche che si sequenziano dalle zone più basse a salire in terre rosse, brune, argille azzurre, suoli calcarei, marne gessose e infine arenarie, orientate per fasce quasi parallele da nord-ovest a sud-est. Questo ventaglio di base trova espressioni molteplici in ciascuna delle denominazioni protette dal Consorzio, che mappano accuratamente i vini di Romagna, contando 4 Igt, 5 Doc (Romagna Doc— con le tipologie Sangiovese, Pagadebit, Cagnina, Bianco e Rosato Spumante —, Colli d’Imola Doc, Colli di Faenza Doc, Colli Romagna Centrale Doc, Colli di Rimini Doc, Rubicone Igt, Forlì Igt, Ravenna Igt, Sillaro Igt) oltre al primo bianco italiano insignito della Docg nel 1987, il Romagna Albana.

Con le sue 16 sottozone, la produzione del Romagna Sangiovese Doc abbraccia un’ampia area che sfiora ciascuna delle colline che si susseguono da Ozzano dell’Emilia (BO) fino a Cattolica (RN), nell’estrema propaggine costiera della regione. Il rosso, con 6.235 ettari coltivati per un totale di quasi 11 milioni di bottiglie l’anno, si scrolla oggi di dosso i ricordi di un passato legato all’omogeneità delle grandi produzioni per tradursi in una pluralità di voci: dalla rotonda e vellutata morbidezza animata da sentori di ciliegia, frutta matura e infine spezie e cacao del Romagna Sangiovese Superiore Riserva Doc Le Armi” 2016 di Palazzona di Maggio (Ozzano dell’Emilia, BO) — ricavato solo nelle migliori annate, con rese ridotte, e affinato per 24-30 mesi in botti i rovere — al Romagna Sangiovese Modigliana Doc “Le Papesse” 2020 di Villa Papiano (Modigliana, FC). Ci troviamo qui in una piccola enclave ecologica e geologica situata a 530 m s.l.m. sulle alture che segnano il confine tra Toscane e Romagna, con il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi a fondere nei suoi boschi di abeti bianchi i dialetti e la cucina di due regioni limitrofe ma storicamente ben distinte. Le vigne della tenuta sono circondate da macchia boschiva, flora e fauna selvatica, e traggono dal suolo magro di arenaria l’essenza minerale, sapida e fresca che li contraddistingue, nei bianchi come nei rossi. Dal vigneto più alto della proprietà proviene quindi un Sangiovese che perde tannino per guadagnare acidità e inaspettate note verdi ed erbacee, mentre nel Romagna Trebbiano Doc “Strada Corniolo” 2020 a essere esaltata è la natura quasi salina del terreno (gli Appennini, ricordiamolo, sono emersi dal mare milioni di anni fa), che riaffiora tra profumi sottili di fiori di campo e sottobosco.

Ci spostiamo qualche valle più a nord tra la provincia di Ravenna e quella di Bologna per incontrare alcune delle manifestazioni più interessanti dell’Albana, uno degli autoctoni di Romagna. Secondo alcuni “un rosso travestito da bianco”, per via della sua spiccata componente tannica. Ed è stata la sua complessità, insieme all’elevata adattabilità e alla capacità di restituire quasi plasticamente il terroir, ad aver convinto i produttori a realizzare, oltre alle esclusive espressioni dolci e concentrate del passato, versioni secche sempre più affilate. Così, ad alcuni deliziosi vini da dessert — come il Romagna Albana Docg Passito “Domus Aurea” 2019 di Ferrucci (Castel Bolognese, RA), che si apre con aromi di miele, uva passa e confettura per concludersi con un imprevedibile finale acidulo e fresco — si affiancano prodotti eleganti e di grande carattere, come il blasonato Romagna Albana Docg secco “Codronchio” 2020 di Fattoria Monticino Rosso (Imola, BO): un bianco da vendemmie tardive condotte a mano su uve con parziale sviluppo di muffe nobili, succoso e vellutato al palato, che dai sentori minerali e iodati in apertura conduce a fiori e frutta gialla. O ancora esempi più lineari e diretti, come il Romagna Albana Docg secco 2020 di Tenuta Franzona (Imola, BO), dai delicati profumi di salvia e ginestra. Ma su questo vitigno non mancano sempre più frequenti sperimentazioni nell’ambito della macerazione, alla quale l’Albana, con le sue bucce fini e ricche di polifenoli, si presta volentieri. Ne è una dimostrazione brillante il Romagna Albana Docg secco “Vitalba” 2021 di Tre Monti (Imola, BO), un 100% Albana da un unico vigneto a 200 m s.l.m., che a seguito di 90 giorni di macerazione sulle bucce in kvevri georgiani si presenta come un bianco gastronomico dorato e corposo, con un ottimo equilibrio tra ricordi di frutta esotica matura ed erbe aromatiche.

Allontanarsi dai più battuti flussi costieri per addentrarsi sui crinali calcarei che cingono queste valli significa quindi affacciarsi su un repertorio di storie di vino spesso ancora da raccontare. Ma ce n’è una, tra le altre, che è invece ambientata a nord del solco della via Emilia, e che parla del territorio pianeggiante tra Ravenna — l’antica capitale bizantina dell’Impero romano — e l’Adriatico. A Boncellino (RA), in uno dei poderi che punteggiano la pianura aperta, il signor Antonio Longanesi — soprannominato Bursôn — era solito trascorrere le giornate invernali in un capanno di caccia, dove, arrampicata su una quercia, vegetava da anni una singola vite. Incuriosito dalla dolcezza delle sue uve e dalla tenacia della pianta, decise di coltivarla e ricavarne, come tanti da queste parti, un vino fatto in casa. È nato così l’omonimo Bursôn da uve Longanesi, che dal 1999 è promosso e tutelato dal consorzio locale Il Bagnacavallo. Oggi sono una trentina i soci che si dedicano alla vinificazione delle due tipologie Etichetta Nera ed Etichetta Blu, per restituire il ritratto onesto di questo areale che conta un’altro autoctono a bacca bianca. Si tratta del Famoso, citato addirittura nel 1437 su alcuni documenti del vicino mercato di Lugo (RA) come uva da tavola, poi dimenticato per secoli e oggi recuperato e promosso. Se il rosso Bursôn si mostra orgogliosamente rustico e ruspante, con sentori balsamici di erbe di campo e sfalcio a rievocare una passeggiata tra le sue vigne, il Famoso stupisce con interpretazioni à la page, come il Ravenna Famoso Igt Ramba Ancestrale Frizzante 2020 di Randi (Fusignano, RA). Un Pét Nat che più contemporaneo non si può.

Maggiori informazioni

Maggiori informazioni:

Consorzio Vini di Romagna
consorziovinidiromagna.it
cartolinedallaromagna.it

Palazzona di Maggio, Ozzano dell’Emilia (BO)
palazzonadimaggio.it

Villa Papiano, Modigliana (FC)
villpapiano.it

Tre Monti, Imola (BO)
tremonti.it

Fattoria Monticino Rosso, Imola (BO)
fattoriamonticinorosso.it

Tenuta Franzona, Imola (BO)
tenutafranzona.com

Ferrucci, Castel Bolognese (RA)
stefanoferrucci.it

Azienda Agricola Longanesi Daniele, Bagnacavallo (RA)
longanesiburson.com 

Randi, Fusignano (RA)
randivini.it

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