Ci sono vini italiani che sono pensati per i mercati internazionali – uno su tutti, gli Stati Uniti – e altri che, per stile o struttura, si attagliano al gusto di bevitori stranieri. E poi c’è il Gavi, il bianco piemontese adorato in UK e ricercato in USA ma essenzialmente assente dalle tavole e dagli scaffali di enoteca in Italia.
In effetti, lo strano caso del vitigno piemontese che va sotto il nome di Cortese è degno di un’indagine psico-enoica. Perché il vitigno avrebbe tutte le caratteristiche per conquistare, anzi entusiasmare i consumatori italiani più consapevoli: grande duttilità – tra vini fermi, bolle, ancestrali, macerati e pure passiti – e spiccata acidità (che invecchiando si nobilita), la mineralità che tanto sembra à la page non gli manca grazie ai suoli vocati. E come se non bastasse, la gradazione alcolica riesce ad essere contenuta. Qual è stato dunque il freno del vino base Cortese che porta in etichetta la Docg Gavi? Forse la smaccata vocazione bianchista di queste colline in una regione a trazione rossista qual è il Piemonte. O forse proprio quelle caratteristiche oggi di eccellenza, che in passato venivano sottovalutate per privilegiare vini più morbidi, più alcolici, più beverini.
I britannici e pure gli yankee, di solito poco sensibili all’eleganza sofisticata, hanno invece percepito da tempo la bellezza dei vini e infatti nove bottiglie su dieci varcano la frontiera e volano sulle tavole londinesi, scandinave, in Belgio oppure oltreoceano. Certo, viene consumato troppo giovane, mentre il Cortese è un vitigno capace di invecchiare con gran classe, però questa consapevolezza arriverà col tempo. Nel frattempo i calici di Villa Sparina o La Raia o La Scolca sono vere icone fuori dal mercato domestico, facendo di “mister Gavi” una star in terra anglofona, mentre per la grande maggioranza dei winelover italiani rimangono perfetti sconosciuti. Per non parlare dei vini intriganti di Alvio Pestarino o Giordano Lombardo, capaci di concentrare in un sorso la mineralità dei suoli e i profumi dei boschi, ma anche di Terre di Matè, Il Poggio, La Ghibellina o La Mesma, che conquistano nella versione ferma e pure col metodo classico.
Enoturismo e vini per la cucina di confine
Vini eleganti, sapidi, tesi nati a cavallo di un confine che rimescola le carte tra Piemonte e Liguria. Sì, perché tra Gavi e dintorni la cucina scivola verso il mare e la parlata – dall’accento ai proverbi – sembra rubata ai cugini costieri, così come la focaccia che non manca mai in tavola e in degustazione. A un’ora da Milano e da Torino e da Genova, la zona di origine del Gavi è dunque un territorio da scoprire. Infatti, tanto quanto il vino è (e continuerà) a esser venduto principalmente all’estero, il Gavi è terra che per paradosso conoscono più gli stranieri dei milanesi. Ed è un peccato, perché è la destinazione perfetta per un turismo chic e country, tra campi da golf, pesca nei torrenti, escursioni a piedi o a cavallo nel Parco delle Capanne di Marcarolo, visite sorprendenti tra ville, musei e l’imponente Forte di Gavi. Gli appassionati di storia trovano pane per i propri denti al sito archeologico di Libarna a Serravalle Scrivia, i cui resti fanno presupporre la presenza – già in epoca preromana – di un importante centro di scambi commerciali.
Non manca l’opportunità di una pedalata in Val Borbera e in Val Lemme, magari lungo un itinerario che tocchi alcune delle numerose cantine che costellano le colline. Un percorso tra altipiani e valli da cui si respira il mare. La “via del vino” Gavi parte dall’omonima cittadina, seguendo poi la Strada Lomellina in direzione nord e salendo fino a Novi Ligure, per poi discendere verso sud percorrendo la strada verso Serravalle Scrivia; poi si curva in direzione di Bosio, Parodi e Capriata, toccando via via gli altri comuni della denominazione. Su questo percorso si trovano le cantine del Gavi, nelle quali è possibile prenotare visite e degustazioni. L’esperienza enoturistica può appoggiarsi su un’accoglienza di alto livello: dall’incantevole resort di Villa Sparina (con annesso il bel ristorante La Gallina) alla raffinata Locanda La Raia, circondata da vigneti, boschi e prati disseminati di opere d’arte volute dalla famiglia Rossi Cairo per impreziosire ulteriormente la bellissima campagna. E poi non mancano le cantine che dispongono di qualche camera e offrono esperienze di degustazione.
Un vino bianco di territorio, ricco di storia
La presenza di un grande bianco in una regione che ha ottenuto fama per i vini rossi rivela il profondo legame che la terra del Gavi ha sempre avuto con la Repubblica di Genova, oggi ancora presente nelle ricette tipiche a base di carni bianche, pesce, verdure, pasta fresca e nei prodotti tradizionali come la testa in cassetta e i famosi ravioli. Prodotto da uve Cortese, vitigno a bacca bianca autoctono, il Gavi Docg è fresco ed elegante quando è giovane, per diventare sontuoso con il passare degli anni. Rinomato ed apprezzato a livello internazionale per la sua versatilità e vocazione cosmopolita, dà il meglio di sé quando non viene “arrotondato” con l’affinamento in legno, rimanendo piuttosto snello e slanciato.
Il territorio è reso speciale dall’incontro tra il vento marino dal Mar Ligure e la neve dell’Appennino, con un clima continentale che in altitudine porta inverni freddi ed estati calde e ventilate. Sono però soprattutto i terreni marnosi, calcarei e argillosi – tripartiti tra terre rosse, terre bianche e una fascia centrale – a portare nel calice le espressioni variegate di Gavi. D’altra parte la vocazione alla viticoltura in queste terre è testimoniata dal 972 d.C., come confermato da un documento all’Archivio di Genova, e già della seconda metà del Settecento dal porto di Genova partivano bastimenti carichi di vino verso il Nuovo Mondo. Da metà Ottocento il Cortese diventa il vitigno prediletto e oggi la denominazione Gavi si estende su 1.600 ettari, con una presenza sul mercato di circa 14 milioni di bottiglie. E nel 2024, forte di una storia di successi, il Consorzio di tutela celebra i cinquant’anni della Doc.