Accessibile, versatile, più semplice da gestire per l’asporto ma soprattutto buonissima, amata da tutti. Non è un caso che in molti – anche tra chef e ristoranti blasonati – stiano scegliendo in questo periodo di puntare sulla pizza, trovando proprio nelle diverse tipologie di impasti e condimenti un modo per integrare la propria proposta. Potrebbe sembrare un ripiego, anche per contenere i costi; spesso però non è del tutto vero e riflette anche e soprattutto l’interesse sempre maggiore che il mondo della cucina dimostra – ben ricambiato – verso quello della pizza.
È sicuramente il caso della nuova proposta del fine settimana dell’Osteria Mammaròssa, il ristorante di Franco e Daniela Franciosi ad Avezzano (tra i protagonisti della nostra cover story sulla Cucina di montagna). Nei menu studiati da Franco insieme al giovane braccio destro Francesco D’Alessandro fanno infatti capolino dei pani e lievitati straordinari, frutto di grande ricerca su farine e impasti. Naturale, quindi, che in questo frangente abbiano pensato anche alla pizza. Anzi, racconta Franciosi, proprio questa era una delle tante idee su cui avrebbe voluto lavorare già da tempo senza però mai riuscirci: «Fin dal 2010, quando ho iniziato a immaginarlo, ho sempre pensato a questo luogo soprattutto come un contenitore di idee. Il Covid è stato un acceleratore». Così, dopo la parentesi estiva di Sfuso – progetto di bistrot con cucina informale dedicato al delivery, anche in “formato picnic”, che tornerà in forma stabile con uno spazio ad hoc del locale per andare incontro alle esigenze di una clientela più ampia – adesso è il momento delle pizze, proposte per ora il sabato e la domenica a cena per asporto.
Quattro o cinque gusti a rotazione – con qualche bestseller già inamovibile come la Luigino, focaccia con cipolla rossa, lardo e pepe di Sarawak – più una o due proposte di fritto, per esempio l’arancino di ragù abruzzese con salsa acida di pomodoro e cumino o le polpette di stracotto di capra, caciocavallo e cavolo nero; da accompagnare alle interessanti etichette selezionate dalla sorella Daniela tra le piccole produzioni di tutta Italia.
Due le tipologie d’impasto, entrambe basate su lunga maturazione, digeribilità e soprattutto sull’utilizzo di impasti indiretti (con poolish) e farine artigianali da grani locali, più una percentuale di patate del Fucino. La cottura avviene in forno elettrico, nella teglia tonda da 25 cm – il “ruoto” della tradizione che rimanda alla dimensione domestica, per quanto contaminata, alla base dell’idea stessa dell’Osteria – cui si deve la forma precisa e che permette di stendere un impasto altrimenti difficile da maneggiare.
Per le pizze condite, come la Mammaròssa – resa unica da un pomodoro da seme antico strepitoso, più alici del Cantabrico, olive di Gaeta, timo di montagna e capperi di Pantelleria – o la SuperBufala – con mozzarella di bufala anche a crudo – Franco usa in gran parte farina di grano Bolero (coltivato dal padre verso L’Aquila) con il 20% di patate.
Mentre per le focacce si arriva al 30% di patate insieme a farina di miscuglio evolutivo di Stefano Papetti (che a Loreto Aprutino conduce l’azienda De Fermo, da cui arrivano anche vini eccellenti) e semola di grano duro che riporta alla transumanza da e verso la Puglia. Soffici e più alte, sono ultimate fuori dal forno spesso con vere e proprie preparazioni di cucina: dalla Radicchio (radicchio arrosto marinato nell’aceto di visciole, erborinato di Scanno, senape selvatica e sesamo tostato) alla Focaccia Vegetariana con verdure invernali dell’orto, mozzarella di Campo Felice, ricotta di Anversa degli Abruzzi e polvere di peperone di Altino.
Proprio come nella cucina di Mammaròssa, c’è spazio alle contaminazioni derivanti dall’apertura mentale, da viaggi o dall’incontro e confronto con le comunità di braccianti che lavorano su queste montagne. Nasce così, ad esempio, una proposta inedita battezzata proprio Contaminazioni (e che probabilmente farà la sua gran figura nel menu del ristorante più che in quello delle pizze): una sorta di sottile e croccante “taco” di mais – che rimanda però anche alla tradizione tutta locale della pizza “roscia”, fatta con granturco rosso, antica merenda di pastori e contadini – sormontata dalla speziata pecora in tajine e da una grattugiata di pecorino di Anversa, quasi a ricordare un taco de chicharrón messicano.