Mandrarossa

Mandrarossa: storie di Sicilia, nuove e ritrovate

Il marchio di punta di Cantine Settesoli scommette su innovazione e valorizzazione del territorio, affrontando inedite sfide di clima e mercati, aprendosi a collaborazioni extra-locali e turismo. Dai vini “affordable” alla nuova winery.

C’è la bellezza prorompente di Taormina e delle città barocche della zona iblea e quella silenziosa e idilliaca delle isole Eolie; quella sfacciata dei palazzi nobiliari di Palermo e Catania – che contrasta con il caos allegro di vicoli e mercati – e quella ammaliatrice delle spiagge più note del litorale nord. Ma c’è anche una “Sicilia che non ti aspetti”, tanto nel panorama quanto nel bicchiere: così recita lo slogan scelto da Mandrarossa, brand di punta di Cantine Settesoli. La grande cantina sociale fondata a Menfi nel 1958 da Diego Planeta, scomparso nel 2020, raccoglie circa 6000 ettari e 2000 viticoltori nella zona delle Terre Sicane – cinque comuni in provincia di Agrigento: Caltabellotta, Menfi, Montevago, Sambuca di Sicilia e Santa Margherita del Belice – e nelle vicinanze, sconfinando nelle province di Trapani e Palermo che s’incontrano in quest’angolo quasi al centro dell’isola. Un’area lontana dai grandi flussi turistici ma proprio per questo apprezzata da chi (stranieri, in gran parte) è in cerca di tranquillità, natura, mare da Bandiera Blu e cultura, visto che a portata di mano, circondati da distese di vigne inframezzate da olivi, boschi e campi di grano, ci sono i magnifici templi di Selinunte ma pure il Grande Cretto di Burri, a Gibellina. Lo chiamano Menfishire, non a caso.

Mandrarossa nasce nel 1999, a suggellare con un marchio dedicato al canale Horeca i tanti primati accumulati nei decenni precedenti da Settesoli, a cominciare da quello di prima cooperativa siciliana a portare vini imbottigliati negli Stati Uniti, e la svolta decisa verso la viticoltura di qualità avviata a partire dal 1993. Con 160 soci conferitori e 500 ettari vitati che si estendono dalla costa all’entroterra, da 0 a 450 metri s.l.m., e assoggettati a precisi vincoli e dettami indicati – con l’ausilio di applicazioni tecnologiche ad hoc e capannine meteo – dal pool di agronomi, enologi ed esperti della cantina capitanati da Filippo Buttafuoco e con la collaborazione di nomi illustri come l’enologo Alberto Antonini, oggi Mandrarossa non è solo un brand di successo ma un progetto in evoluzione costante, saldamente legato al territorio e alle sue potenzialità.

A cominciare dal sole quasi sempre presente, che tiene lontani funghi e muffe anche grazie ad esposizioni eccellenti, fino alla composizione del suolo che annovera ben cinque varietà, studiate nel corso dei decenni con il supporto di Attilio Scienza e altri esperti per determinare i luoghi ideali dove coltivare 36 varietà di uve diverse – dai vitigni autoctoni come Catarratto, Zibibbo, Grecanico e Frappato fino a Chardonnay e Merlot, ma pure Vermentino, Fiano e Chenin Blanc –, e alla preziosa vicinanza dei mille ettari di biodiversità e ossigeno rappresentati dal bosco del Magaggiaro. Ma anche capace di guardare oltre, ampliando il concetto di “cooperazione” al confronto con altre realtà extra-regionali: dal Gruppo Mezzocorona a Cantine Kurtatsch e Bio Cantina Orsogna, coinvolte nel convegno Comunità e territori a confronto, ospitato nella nuova Winery alle porte di Menfi – nuovo asset per stimolare l’enoturismo nella zona della Città Italiana del Vino 2023, con una struttura moderna ben integrata nel panorama locale – in occasione della decima edizione del Vineyard Tour, l’evento annuale che affianca le etichette Mandrarossa a street food locale e musica.

E se il fine ultimo è quello di remunerare equamente chi coltiva – con vigneti e appezzamenti in gran parte frammentati – e valorizzarne il lavoro, dall’altra parte le regole sono rigorose e vanno rispettate alla lettera: dalle indicazioni dei vitigni da impiantare alle rese e al grado zuccherino delle uve, pena la declassazione. Fino all’uso di prodotti e al momento esatto della vendemmia, che da alcuni anni per le uve bianche avviene di notte con una flotta di vendemmiatrici controllate tramite Gps, affinché tutto sia costantemente sotto controllo. Tra gli obiettivi della cantina c’è infatti quello di trovare soluzioni alle nuove sfide poste dai cambiamenti climatici, che vanno dall’uso sperimentale di reti ombreggianti ai portainnesti resistenti alla siccità o all’uso del caolino. Oltre, ovviamente, alla soddisfazione dei soci e alla produzione di bottiglie dall’ottimo riscontro commerciale e di critica: in un periodo estremamente difficile come quello attuale, dove le congiunture internazionali e i cambiamenti dei consumi fanno arrestare anche l’export del Prosecco, Settesoli segna circa un +10% e Mandrarossa si attesta intorno al +3%. Merito, anche, di un riuscito restyling nel primo caso e di un rapporto qualità/prezzo che resta eccellente anche a fronte dei piccoli, necessari ritocchi al listino: il premiatissimo Cartagho, intenso Rosso Sicilia Doc da Nero d’Avola, viene venduto a € 15,90 sul sito aziendale.

«La nostra missione principale è dimostrare che una cantina cooperativa, in Sicilia, possa fare vini straordinari», riassume efficacemente il presidente Giuseppe Bursi, socio conferitore (come da regolamento) e già dirigente dell’assessorato siciliano all’Agricoltura, al suo secondo mandato. «È importante far capire ai soci che siamo dallo stesso lato del tavolo; i nostri interessi sono i loro, ma bisogna essere rigorosi sul rispetto delle regole che ci siamo dati», prosegue portando l’esempio del vice presidente Antonino Scirica che, con i suoi 30 ettari di vigneto, è uno dei coltivatori con i numeri più grandi e dunque tanto più coinvolto nelle vicende della cantina sociale.

Nascono così i 27 vini Mandrarossa – tanti, ma con due nuovi progetti su cui si è già al lavoro – che, suddivisi tra Innovativi, Varietali – tra cui il piacevolissimo Frappato che, servito ben fresco e magari accostato a pizze rosse e piatti di pesce saporiti, è un perfetto compagno per le serate estive e non solo – e Storie Ritrovate, più due linee dedicate a Cartagho e allo spumante Calamossa bianco e rosato, compongono un mosaico diversificato e interessante, capace di raccontare un territorio che va oltre i cliché e il grande lavoro alle spalle.

Ad esempio, le cinque etichette della linea Storie Ritrovate – con i nomi ispirati da contrade, leggende e tradizioni e le etichette illustrate dall’artista Nancy Rossit – narrano storie nuove e antiche, con un progetto che nasce da un accurato storytelling e da strategie commerciali, ma soprattutto dal lavoro di ricerca sui prodigiosi suoli calcarei delle Terre Sicane portato avanti dal 2014 con Antonini e con l’esperto di terroir cileno Pedro Parra, e da un’idea di espansione che permette di intercettare richieste dei consumatori e di un certo tipo di ristorazione senza nuovi investimenti, ma creando sinergie con cantine di altri territori isolani: il Grillo Bertolino Soprano è un single vineyard fermentato nei “tulip” di cemento, che vira le abituali note prorompenti del vitigno su toni più gentili, di grande freschezza e complessità aromatica; l’insolito Nero d’Avola Terre del Sommacco, da due vigneti “gemelli” in contrada Miccina, di buona struttura ma senza toni opulenti, riprende il racconto di Sciascia sul passaggio delle giubbe rosse garibaldine, prima osteggiate e poi aiutate dalla gente di Sambuca di Sicilia, ma omaggia anche il fiore rosso della tipica pianta siciliana; le etichette delle versioni bianche e rosse del Sentiero delle Gerle – un Carricante che profuma di ginestra e si arricchisce di inattese note di pietra focaia, e un Nerello Mascalese che sa di sottobosco unendo note di frutta e sentori balsamici – nascono dalla collaborazione con una cantina dell’Etna, da cui Mandrarossa acquista uve e affitta spazi per realizzare la propria versione dei maggiori protagonisti dell’enologia isolana degli ultimi decenni, e s’ispirano ai colori del vulcano all’alba e al tramonto e alla storia delle donne che fino al secolo scorso, con i loro grembiuli rossi e i fazzoletti azzurri, erano protagoniste dei lavori in vigna e oliveto. Si chiude con il Serapias, Passito di Pantelleria dalle uve Zibibbo coltivate e lavorate sulla piccola isola che prende il nome dalla rara orchidea pantesca, fiore delicato che cresce solo tra maggio e giugno in una ristretta porzione di terra, resistendo ai caldi venti africani: avvolgente ma non stucchevole, con i profumi di albicocca e scorzetta d’agrume, è perfetto per chiudere un pasto accompagnando magari le prelibate minne di virgini, dolcetti tradizionali di Sambuca di Sicilia ripieni di biancomangiare, gocce di cioccolato e zuccata.

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