Che motivo c’è, si può pensare, di andare a mangiare una pizza a Tokyo quando la città offre una miriade di proposte di ogni genere, dai misteriosi piattini a base di interiora, alghe e pesce delle izakaya ai raffinati menu kaiseki, dal sushi più fresco che si possa immaginare allo street food dei labirintici yokocho? Be’, intanto assaggiare una pizza “giapponese” o, come molti la descrivono qui, Tokyo Neapolitan – in cui la tradizione della Verace Pizza partenopea incontra la meticolosità nipponica – è interessante e può rappresentare una piacevole pausa da ramen e yakitori. Salendo al 38esimo piano del Mandarin Oriental, Tokyo – nella zona degli affari di Nihonbashi, poco lontano dallo sfavillio di Ginza e dai giardini del Palazzo Imperiale –, si può fare invece un’esperienza unica: quella di Pizza Omakase proposta da Daniele Cason da The Pizza Bar On 38th.
In un angolo a vista del ristorante italiano K’shiki, un bancone in marmo con otto posti a sedere affaccia sul banco e sul forno dove si stendono, condiscono, sfornano e raccontano le proposte di un percorso composto di 6 o 8 spicchi (rispettivamente a pranzo e a cena, più appetizer e dessert, a un costo dai 70 ai 100 euro circa). Romano, dopo diverse esperienze in Italia – era socio di Daniele Usai all’apertura de Il Tino a Ostia – Cason è da otto anni executive chef dell’hotel, per cui supervisiona la composita proposta gastronomica che annovera anche, tra gli altri, il Tapas Molecular Bar e il Sushi Shin di Masaaki Miyakawa, che porta in città il menu del tristellato Sushi Miyakawa di Sapporo. «Non avevo mai lavorato con la pizza prima ma è qualcosa a cui sono legato, e che ho voluto tenere come mia proposta personale», spiega lo chef che è stato compagno di classe di Gabriele Bonci e ha pensato subito al suo stile quando ha messo a punto il suo “Pizzino”: unica voce a non uscire mai dal menu, vede un impasto da pizza alla pala romana, arioso e croccante, farcito con mascarpone – proveniente, come molti formaggi e latticini, dalla visionaria Kurkku Fields, azienda agricola, retreat e luogo d’arte di Chiba voluto dal musicista Takeshi Kobayashi, dove c’è anche un allevamento di bufale il cui latte viene trasformato in mozzarella da un casaro giapponese –, fior di latte, tapenade di olive taggiasche e tartufo secondo stagione.
L’esperienza – che inizia a orari prestabiliti con due turni per pranzo e due per cena – fonde in modo armonioso il gusto e il piacere della convivialità italiani con la ritualità e l’attenzione ai dettagli di stampo giapponese, dalla nitidezza dei sapori alla stagionalità rigorosa che porta a cambiare le pizze anche più volte al mese. Quando tutti gli ospiti si sono accomodati, si comincia con una presentazione del menu e dei principali ingredienti, in arrivo da circa 60 tra artigiani e aziende di tutto il Paese: dai già citati formaggi al latte e gli asparagi di Hokkaido, dai maiali di Nagano al delizioso ananas “pesca” della Moringa Farm di Okinawa. Solo Italia, invece, nell’impasto che nel frattempo è evoluto per diventare simile a una napoletana “moderna” ma senza alveolature esagerate e con una punta di croccantezza: dal blend di farine piemontesi all’acqua minerale (ma tra gli ingredienti dei topping ci sono anche i pomodori San Marzano e l’extravergine siciliano di Tonda Iblea). Così, l’Omakase – il percorso deciso dallo chef – prende il via con un pomodoro al forno con spuma di Parmigiano Vacche Rosse con alghe e germogli di bambù, per proseguire con gli spicchi di Marinara (con acciuga, maggiorana e aglio di Aomori) e di Margherita con la bufala, e con l’assaggio di Pizzino. Tra le proposte a seguire, a fine primavera c’erano la Zucchini & Pancetta (con provola affumicata, purea di zucchine gialle, fiori di zucca, zucchine disidratate e pancetta house-made) e la Hokkaido Asparagus, frutto di un viaggio nell’isola più a nord dell’arcipelago, che accosta Gorgonzola, un succoso abalone grigliato alla perfezione, la purea di asparagi verdi e la julienne di asparagi bianchi, con il tocco prezioso delle foglie fresche di sansho.
Prima di passare ai dessert – un cannolo siciliano con ricotta di Kurkku Fields e cioccolato Domori, e l’Affogato con gelato al pistacchio, gelatina di Passito ed espresso – i commensali ricevono una pallina di impasto e un “ruotino”, per toccare con mano quanto sia soffice e cimentarsi a preparare la propria mini-pizza. Mentre il saluto finale è un Amaretto da portar via nella busta che riproduce l’immagine della Gioconda con i baffi alla Dalì e la scritta “I love pizza” che campeggia accanto al forno. Insomma, una vera e propria pizza fine dining, come si conviene alla cornice: «È un termine che al Mandarin Oriental utilizziamo spesso e che caratterizza gran parte dell’offerta gastronomica – racconta Cason –. Per me “fine dining” vuol dire proporre un’esperienza raffinata attorno alla pizza, con ingredienti di qualità e sapori ben riconoscibili, serviti nella giusta sequenza. Ed è ad esempio il boccone di ananas di Okinawa servito accanto al cannolo, che arriva da una fattoria locale e ha una storia alle spalle». Nei mesi estivi la sua pizza si può provare, con modalità e ingredienti diversi, anche al Pizza Sapienza by Daniele Cason del Mandarin Oriental, Costa Navarino, affacciato sull’omonima baia del Peloponneso.