Contrada Belludia, un angolo incantevole di campagna siciliana tra Noto e Ispica: qui, tra uliveti secolari e maestosi alberi di mandorle, si trova un resort di lusso che ha saputo unire l’eleganza dell’ospitalità a una grande cucina di derivazione francese. Il protagonista di questa storia, ambientata tra le mura de Il San Corrado di Noto, è Martin Lazarov, un giovane chef (non ha ancora 30 anni) autodidatta innamorato del suo lavoro: «Sono andato via di casa a 16 anni e ho sempre guardato con estrema ammirazione tutti quei cuochi “modello” – confessa –. Ho studiato tantissimo e sperimentato, ho impegnato il mio tempo libero per andare a cena fuori, guardare video e tutto questo mi rendeva felice».
Di origine macedone ma cresciuto in Piemonte, Martin Lazarov è l’executive chef della struttura che accoglie l’osteria Casa Pasta, il Pool Bar e il ristorante gourmet Principe di Belludia, dove è approdato dopo importanti esperienze a Il Castello di Guarene (dove è diventato executive in poco tempo) e come cuoco personale dello stilista Valentino. Conversare con Lazarov colpisce per la sua dedizione e per la passione che trasmette verso il suo lavoro e la sua brigata di cucina, composta da 13 persone: «Per me è fondamentale – racconta lo chef –. Mi sveglio ogni mattina con la consapevolezza di dovermi sacrificare per me stesso e per gli altri. Non ci sono orari né limiti quando si parla di felicità. La cosa più importante per me è il mio team e non vedere i sacrifici come un peso, ma come il motore della felicità». Autostima e coraggio uniti a all’impegno e alla conoscenza risultano un grande mix per chi ambisce a lasciare il segno: «Quando il risultato del tuo lavoro ti rende felice, tutto il resto diventa secondario. E poi c’è la mia brigata: vedere la loro crescita, le loro soddisfazioni, e ritrovare nei loro occhi la stessa passione che avevo io è una gioia immensa. Questo mi porta a vivere il mio lavoro in modo intimo, e per questo motivo mi confido molto con loro».
La filosofia culinaria di Martin Lazarov si traduce in una cucina di matrice francese con un respiro internazionale. «La mia tecnica è profondamente francese – spiega –. Amo tutto ciò che è meticoloso, e trovo irritante sperimentare senza una solida conoscenza di base. La cucina francese è legata a una tecnica impeccabile, ed è proprio questo che mi affascina».
Come benvenuto a tavola, Lazarov propone un antipasto all’italiana: un grissino stirato a mano accompagnato da un raffinato salume di anatra, insieme a una capasanta e un’ostrica, per aprire le danze di una cena risultata inappuntabile, e di grande godimento. Ogni ingrediente, ogni piatto, ogni calice di vino, e ogni membro del team sono parte di un mosaico perfetto, orchestrato con precisione.
Il menu che abbiamo scelto è “A mano libera”, un percorso gastronomico che invita a lasciarsi guidare dall’esperienza dello chef, con un’alternanza di vini e bevande da tutto il mondo, in abbinamento a una cucina che fa dei vegetali, dei classici fondi di cottura e della beurre blanc il suo linguaggio principale ma senza smettere di guardare al territorio siciliano.
Si prosegue con la Trota di Palazzolo Acreide, limone salato, caviale e cardamomo e gli Agnolotti del Plin (alla siciliana) con ragusano e tartufo ibleo: «Abbiamo la responsabilità di salvaguardare la tradizione e innovare dove opportuno – commenta lo chef –. Il modo di stendere la pasta e il ripieno sono tasselli intoccabili; ho avuto la fortuna di imparare a fare tutto a casa della nonna di una persona a me cara e ho mantenuto la stessa identica ricetta proprio per salvaguardare la nostra tradizione».
Lo Spaghettone con peperone in estrazione, gambero rosso di Mazara del Vallo, limone nero e caviale è un esempio di gusto e di tecnica ineccepibili, mentre il Risotto “Gaia” con barbabietola, estrazione vegetale e burro fermentato è l’emblema dello studio sul vegetale. Piccione al bbq, foie gras e cioccolato di Modica è stupore e classicismo servito su una foglia di banano appoggiata su un tovagliolo perfetto e un piatto in legno. La coscia (servita con la zampetta e da afferrare rigorosamente con le mani) e il filetto aspettano il commensale su una griglia in puro ottone prima di avviarsi al fine cena con uno straordinario soufflé a cura di Fabrizio Fiorani e delle pastry chef Melania Arcidiacono e Raffaella Ragnatelli.
Benito Scatà, maître e head sommelier, in sala propone un valzer di abbinamenti che spaziano nel tempo, nel luogo e nella “dimensione”: dallo Champagne di Maurice Grumier al tè fermentato e spumantizzato (buonissimo), dallo Chardonnay piemontese di Piodilei che schiaccia l’occhio al Meursault, al Riesling 2009 di Schloss Schönborn, il Hochheim Domdechaneye. Gran finale con il Sak Schixhiken, Kinunoaji, Insignia 1999 di Joseph Phelps (alla cieca e nel discutibile, ma giocoso, calice nero) e il prezioso Sciacchetrà 2012 di Possa.