Se è vero che siamo quello che mangiamo, è altrettanto vero che le parole che utilizziamo per indicarlo e raccontarlo – spesso differenti a seconda della regione, della città o anche di contesti ancor più ristretti e specifici – svolgono un ruolo importante nel plasmare l’esperienza culinaria ma soprattutto il nostro rapporto con la cultura gastronomica in cui ci troviamo immersi. Parte da questo assunto, e da una riflessione sullo straordinario legame che esiste tra cibo e cultura – e in particolar modo per quella siciliana, con la sua storia millenaria frutto della commistione tra individui di origini, religioni e culture diverse, in cui il linguaggio del cibo è stato plasmato da ingredienti e usanze arrivati da lontano, i cui nomi sono talvolta stati fatti propri dal dialetto locale o rimasti simili all’originario, tramandati di generazione in generazione ma spesso caduti in disuso e oggi sconosciuti anche a molti isolani –, il quarto volume edito dalla casa editrice Topic dedicata a testi di approfondimento di carattere gastronomico, tecnico, scientifico e divulgativo.
Si chiama Mizzica!, espressione popolare e schietta che ben riassume non solo il lavoro svolto dall’autore Francesco Lauricella – cinquantenne cresciuto alla foce dell’Imera meridionale, che spacca in due la Sicilia, diviso tra impegno politico che lo ha portato da Palermo a Roma, dove ha lavorato alla Camera dei Deputati, per il Governo e per Roma Capitale dopo l’inchiesta Mondo di mezzo, e la passione per la gastronomia, forgiata dalla cucina delle zie e le lezioni di un pasticcere licatese – ma in generale l’approccio entusiasta della Sicilia al cibo.
«Mizzica! – spiega Lauricella – è una parola che rappresenta la Sicilia più autentica, è l’esclamazione che ogni cuoco vorrebbe sentire quando porta a tavola un piatto, è una parola antica che grazie alla sua capacità di esprimere efficacemente pensieri e sentimenti ha travalicato i confini della lingua siciliana e dal 2006 è approdata nel “Vocabolario della lingua italiana” Zingarelli, perché sempre più spesso viene usata in italiano per aggiungere un po’ di gusto siciliano ad una conversazione. Il mio intento è offrire una guida indispensabile per un viaggio del gusto, dove ogni definizione è un invito a gustare la Sicilia a ogni boccone».
Nato dalla base di un lavoro di ricerca sui termini dialettali legati al cibo svolto durante i mesi di lockdown per lo chef Pino Cuttaia, con cui Lauricella ha collaborato, il volume raccoglie oltre 6.500 lemmi siciliani (declinati nelle varianti di ogni provincia, ma in alcuni casi addirittura della specifica zona del mercato del pesce in cui nascono, da Agrigento a Messina o Siracusa), i nomi di 500 ricette tra cui oltre 100 di dolci, più di 300 nomi di pesci, oltre 450 nomi di piante e frutti e tantissimi prodotti e specialità tutelate dai marchi Dop, Doc, Docg, Igp, Pat e Presìdi Slow Food: dalla A di abbaddàrisi (ubriacarsi) alla Z di zibbìbbu, passando per agghiotta, cannoli e sfinciuni ma anche per termini decisamente più curiosi e meno noti come baddòttula (pallina, piccola polpetta), canigghiòttu (pane realizzato con cruschello e farina, destinato ai cani o al bestiame), diavulìcchi (specie di caramelle aromatizzate alla cannella, chiodi di garofano o altro), fadalàta (la quantità di cose che può contenere un grembiule), ganèffe (palline di riso fritte servite con brodo di carne), e così via.
Non si tratta, però, di una mera elencazione di parole e definizioni quanto di “un’immersione nelle radici profonde della cucina siciliana”, come spiega l’autore nell’introduzione. Recuperando molti termini siciliani del XIX e del XX secolo, ormai usati molto raramente e quadi caduti nell’oblio, e dando spazio a ricette tramandate di generazione in generazione, ma ormai cadute in disuso, e alle peculiarità dei prodotti locali, la sua preziosa ricerca lessicografica è anche un modo per tutelare l’identità della lingua siciliana e in generale la complessità e la ricchezza della cucina dell’isola.
Utili e interessanti anche le dodici schede di approfondimento dedicate ad alcuni dei più celebri a apprezzati piatti della tradizione sicula: l’arancinu con le sue diatribe geografiche e di genere, la caponata, la faùzza o pizza siciliana, la ’mpanàta che rimanda alle empanadas sudamericane, la minna e gli altri dolci che richiamano la forma del seno femminile, il soffice panino muffulèttu che ha dato poi origine al popolare muffuletta sandwich di New Orleans, le panelle di ceci, il pani ca’mèusa, la pasta con le sarde e le sarde a beccafico, gli spaghetti (spaèttu) che potrebbero essere nati proprio qui, la Vuccirìa che porta la mente a Palermo ma rappresenta in realtà l’essenza di tutti i mercati regionali. Insomma, un libro da leggere con curiosità (e senza troppa fame), per un viaggio ricco di sapori e scoperte.