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Non solo Barolo. Destino e finezza nel calice di G.D. Vajra

Cinquant’anni di sperimentazioni e ostacoli da superare, di scommesse sull’orlo del rischio, ma anche di fiducia e forza d’animo. Un viaggio tra vigneti, vini e sogni della famiglia Vaira.

«Cinquant’anni fa io vivevo a Torino con la mia famiglia e sognavo di fare il contadino». Inizia con queste parole e con un sogno di Aldo Vaira la storia di una famiglia che nel segno del vino ha incrociato i sogni di padri e madri con quelli di figlie e figli. Sì, perché di generazione in generazione (e sicuramente oltre con i nipoti) nella famiglia Vaira non sembrano passarsi il testimone di una vision aziendale, ma piuttosto dei ricordi, dei sentimenti e dei particolari che fanno della vigna una vocazione ancestrale.

«I miei nonni avevano questa piccola azienda agricola a Vergne di Barolo – prosegue Aldo Vaira  – e noi si veniva in campagna, si stava bene perché si lavorava al sole e quindi io sognavo questo lavoro bellissimo (d’altronde venivo solo d’estate). Io volevo studiare agraria, ma i miei genitori sono riusciti a dirottarmi sul liceo». Poi però, resistendo alla spinta familiare verso un posto in banca, il giovane Vaira riesce a costruire le fondamenta della propria formazione agro-enologica e dunque dell’azienda che oggi vede in prima fila i tre figli Giuseppe, Francesca e Isidoro.

Gli inizi difficili, quando Barolo non era Barolo

«Come Fenoglio e Pavese hanno poeticamente raccontato nelle loro opere – racconta Vaira – qua la vita non era ancora come è oggi. Le vigne c’erano, ma non era tutta una vigna. C’erano il campo, il prato, il frutteto e le cascine avevano sempre le mucche. Di trattori ce n’era qualcuno, ma non tanti. Noi abbiamo incominciato a ripiantare i vigneti e già facevamo qualche cosa quando è arrivato il 1972. È stato un anno difficilissimo, l’uva non maturava e infatti è l’unico anno in cui non troverete Barolo, perché nel disciplinare di produzione quell’anno avevano deciso di non produrne tanto le uve erano infelici. Per me quello è l’anno della svolta, perché capisco che per fare vino occorre avere dell’uva buona». Tutto nasce da quel momento critico e quella consapevolezza. Aldo Vaira ottiene un milione di lire dal padre per comprare una pompa e le prime vasche, iniziando a vinificare come La Cascina e dedicando successivamente al padre il nome dell’azienda: G.D. Vajra.

Tutto in discesa? Assolutamente no. Perché è vero che nel frattempo Aldo incontra e sposa la moglie Milena con cui condivide ogni progetto, ma arriva anche un’altra prova impossibile: quel 29 maggio 1986 in cui una grandinata furibonda trasforma la Langa in un deserto, spogliando i vigneti che erano già in fioritura. «La grandine ci distrugge tutto e lì avviene una grandissima svolta per l’azienda», rimarca Aldo Vaira, che non per nulla i figli ricordano sempre calmo e fiducioso anche di fronte ai problemi più imponenti. «Molti contadini si chiedevano cosa avrei fatto e io mi sono informato all’università – rilancia – possiamo ripartire potando di nuovo le viti e cercando di avere piante in forza almeno per l’anno successivo. A quel punto diversi contadini della zona offrono la loro terra, pronti ad aspettare i soldi, perché nella loro testa probabilmente pensavano ai vecchi cicli di sette anni di vacche magre. Probabilmente sarebbe stato il mio fallimento, se prima della fine dell’anno i prezzi qua non fossero aumentati e così l’azienda ha iniziato a svilupparsi».

Le “convergenze parallele”

Per un uomo e una donna di fede quali sono Aldo e Milena, il confronto con la natura è cruciale. «Ho avuto la fortuna di fare l’università in anni belli e rivoluzionari – sottolinea Aldo – E  abbiamo anche avuto la fortuna di partecipare al primo corso di “ecologia agraria”. Allora non si parlava di biologico o di biodinamico, ma avevamo un professore molto curioso che ogni tanto dedicava un pomeriggio sensibilizzandoci sulla biodinamica». Vaira lo chiama il momento delle “convergenze parallele”, perché da un lato c’era l’ammodernamento dell’agricoltura e dall’altra lo sviluppo di una nuova sensibilità. «L’aspetto ecologico è sempre stato molto presente nella nostra azienda, che è biologica certificata eccetera – dice Vaira – ma per noi non è quello il punto. Preservare l’ambiente nel quale viviamo è in primo luogo una scelta etica per la salute nostra e di chi ci beve. Ma anche per questo io sono ancora felice adesso del lavoro che faccio, vivo dell’entusiasmo che bisognerebbe mettere ogni giorno quando si entra in un vigneto».

Un mestiere “importante”

Poiché il frutto non cade lontano dall’albero, a 12 anni il primogenito Giuseppe torna a casa e chiede a padre quale sia il senso sociale dell’attività di famiglia. La risposta è da manuale. «Io sono un entusiasta del lavoro, ma non mi ero mai posto il problema – ammette il padre Aldo – ma recupero indicando un quadro che avevamo in casa e spiego a Giuseppe che noi possiamo togliere il quadro, ma viviamo ugualmente e similmente possiamo togliere la musica, la letteratura… possiamo togliere tante cose della nostra vita e possiamo anche togliere il vino, ma viviamo ugualmente. Eppure è triste immaginare un mondo senza musica, senza poesia, senza letteratura e anche senza un bicchiere di buon vino». La conclusione di Giuseppe è lineare: «papà e mamma fanno un mestiere importante».

Oggi Giuseppe, Francesca e Isidoro portano avanti questa storia di bellezza e tengono stretto il testimone della qualità. Prima di tutto nello sguardo, poi nel calice. «Il nostro desiderio è di fare qualcosa di bello per il mondo attraverso il nostro vino e il nostro lavoro», rivela Giuseppe. E a chi gli chiede se l’avvento di grandi investitori rischi di snaturare le Langhe, l’imprenditore replica che «qua c’è ancora gente che, nonostante tutto, ti offre un pezzo di terra perché le coltivi bene, che ti stima e ti apprezza se le vigne sono tirate su dritte e ordinate». Come è successo con Luigi Baudana – la cui azienda porta nel nome della famiglia anche un cru di Barolo – che ha scelto Vaira per iniziare un percorso di acquisizione che è stato improntato fin dall’inizio nel segno della protezione della tradizione.

In fondo, energie nuove e da fuori possono far bene al territorio. «Ho sempre sentito da papà e mamma che le Langhe sono diventate così belle quando sono arrivati gli svizzeri a comprare le case e le vecchie cascine – dice Isidoro – perché l’hanno messo in ordine e hanno dato un senso di bellezza. Qui tutti hanno imparato da chi è arrivato da fuori quel senso di bellezza per quello avevano sotto i piedi. In fin dei conti, anche papà arrivava da fuori e ha portato un valore al territorio».

Pioniere con le idee chiare

Pioniere dell’agricoltura biologica in Piemonte, Aldo Vaira inizia a coltivare i vigneti di proprietà nell’estate del 1968 e presto si guadagna il titolo del “più moderno dei tradizionalisti e più tradizionale dei modernisti”. Negli anni dello scontro stilistico tra produttori di Barolo, Vaira ha cercato di non seguire le mode vendendo l’anima alla barrique dei Barolo boys e contemporaneamente rivendica di aver sempre fatto di testa propria. Ecco che il Bricco delle Viole – il cru più importante dell’azienda – aveva già definito lo stile tra finezza, eleganza e complessità. E Aldo ricorda ancora sorridendo quella visita inattesa di Conterno e Mascarello dopo il primo riconoscimento attribuitogli da Luigi Veronelli. «Erano le autorità incarnata delle Langhe – sorride Aldo – e sono venuti a conoscere questo nuovo arrivato che sembrava sapesse il fatto suo. È stato un onore e da allora ho capito ancora più a fondo cosa volesse dire esser parte di questa terra».

Non solo Barolo

L’assaggio di vini firmati Vajra è un’altalena tra sorpresa e bellezza, è spiazzante e rassicurante allo stesso tempo. Per dirla con le parole di Francesca Vaira, “nella bottiglia ci sono la precisione del lavoro in cantina e l’autenticità di quello che ogni vigna può dare grazie alla cura senza scorciatoie”.

Il Nebbiolo è il vitigno principe, naturalmente, ma la scelta di Aldo e dei suoi figli è stata di non “barolizzarsi” integralmente. E nel tempo sono stati mantenuti i vigneti del Riesling tanto amato e tanto voluto dal fondatore, le vigne vecchie di Dolcetto, la Barbera che racconta di tradizione, la Freisa tutta da riscoprire.

Ça va sans dire, i Barolo sono il fiore all’occhiello della produzione, declinandosi nell’elegante grand cru Bricco delle Viole, un vino di profondità che sintetizza il frutto e la mano dell’uomo, nel Coste di Rose che trae dai terreni al confine con Monforte d’Alba una struttura flessuosa e il sorso levigato, raffinato, nel Ravera che è il cru storico del comune di Novello e che porta nel calice polpa, potenza, forse maggiore concentrazione, ma anche in Albe che, come da tradizione, unisce uve di più versanti e cru.

I vini orgoglio di G.D. Vajra sono però anche il Dolcetto d’Alba, che sfuma il frutto croccante in un finale amaricante accompagnato da profumi floreali; il Langhe Nebbiolo (prevalentemente in acciaio) che vive di un sorso compatto, stentoreo, di un’eleganza tutta piemontese; il Kyè che celebra, con slancio mai sdolcinato, l’intrigante vitigno tradizionale piemontese che è Freisa; la Barbera d’Alba che, grazie a una lunga macerazione, porta nel calice succosità del frutto e freschezza, mentre nella versione Superiore un garbato invecchiamento offre una lunghezza di sorso che dà al vino una grande prospettiva. Ci sono anche il Langhe Riesling Pétracine, il primo Riesling renano nella zona del Barolo, il Pinot nero, un Classico Extra Brut Rosé da uve Nebbiolo e Pinot nero, il Rosabella Rosé da uve Nebbiolo e Barbera, ma soprattutto le etichette di Moscato d’Asti.

Maggiori informazioni

G.D. Vajra
Piazza della Vite e del Vino, 1, 12060 Barolo (CN)
gdvajra.it

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