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Giuseppe Biuso

Non solo Vite: Giuseppe Biuso a San Patrignano

Dalle isole Eolie alla campagna romagnola a ridosso della riviera, la rinascita dello chef siciliano tra cucina e impegno sociale. Seguendo il “filo verde” del vegetale.

Intorno non ci sono più palmizi e cactus e le sagome inconfondibili delle Eolie che si stagliano perentorie sul blu del Tirreno, ma i dolci rilievi delle colline romagnole coltivate a vigneti che digradano a perdita d’occhio verso l’Adriatico. Al miglior immaginario vacanziero possibile, quello del Therasia Resort a Vulcano, dove aveva conquistato una stella Michelin a Il Cappero – il ristorante gourmet al suo interno – e ideato Tenerumi, il coté integralmente vegetariano dell’offerta gastronomica dell’hotel, Giuseppe Biuso ha preferito la sfida di rinnovare quella di San Patrignano avvicinandosi al tempo stesso alla sua famiglia.

Non solo, scegliendo di riprendere in mano le redini del ristorante Vite (che la stella Michelin non l’ha mai conquistata ma che nelle intenzioni di Vincenzo Muccioli, il fondatore della Comunità, doveva essere comunque il fiore all’occhiello di un sistema agroalimentare che ha sempre fatto dell’eccellenza il suo valore fondante), vi ha intravisto la possibilità di un riscatto per l’intera Comunità, le sue attività produttive e le loro migliori espressioni. Sapeva che aggiungendo il valore della sua esperienza più che decennale nel mondo del fine dining – da allievo, prima, alla corte di Nino Di Costanzo, Corrado Fasolato e Antonino Cannavacciuolo e da executive chef, poi, per otto anni al Therasia – e le potenzialità che questa inevitabilmente genera, avrebbe potuto segnare la differenza; e per garantire risultati concreti in questo senso ha voluto accanto a sé, oltre ai ragazzi in percorso comunitario, il suo sous chef Gianluca Sottile e una brigata di professionisti fidati che oltre a condividere e sostenere il suo progetto, fossero anche complementari per l’alta formazione dei membri della Comunità. Molti di questi hanno così la possibilità di mettere in pratica quanto imparano alla scuola alberghiera che frequentano mentre sono in percorso e che permetterà loro di reinserirsi nella maniera più semplice nel mondo della ristorazione una volta usciti da San Patrignano.

L’ambizione di Giuseppe di voler raggiungere risultati prestigiosi è così permeata anche di valori oggi spesso latitanti dal mondo della ristorazione, dovente millantati e poi puntualmente disattesi. Parliamo di eccellenza, di filiera corta, di stagionalità, di coltivazioni chemical free, di sostenibilità, di sostegno sociale, di reinserimento di soggetti svantaggiati, di professionalità e di competenze, temi che altrove rimangono nel perimetro di meri proclami ma che qui assumono il sapore della verità. Essendo circondata da consistenti estensioni di terreno, a San Patrignano da sempre è stato naturale sviluppare tante attività legate all’agricoltura e al cibo. C’è un settore coltivazioni che si occupa dell’attività orticola che si sviluppa su circa sei ettari e vede impegnati cinquantasette ragazzi in colture che seguono il corso delle stagioni. C’è un’attività di olivicoltura che produce un olio da cultivar Leccino, Frantoio, Correggiolo, Moraiolo e Rossina, circa 3500 piante coltivate su oltre sedici ettari. C’è una produzione di miele garantita da oltre cento arnie in parte gestite in maniera stanziale e in parte con la tecnica del nomadismo, spostandole in base alle fioriture. Poi ci sono i formaggi prodotti con diversi tipi di latte, di cui quello vaccino proveniente direttamente dall’allevamento della comunità, con l’alimentazione dei bovini integrata con erba medica, foraggio, favino e grano seminati, anch’essi coltivati in loco. E ci sono – infine – i vini, da vigneti biologici coltivati su oltre settanta ettari applicando tecniche di agricoltura integrata. Nell’arco dell’anno, i ragazzi della “cantina”, oggi sessanta, si occupano della coltivazione dei vigneti, delle lavorazioni meccaniche e di quelle vinicole, come la trasformazione dell’uva, l’affinamento in legno, l’imbottigliamento e le operazioni di magazzino.

È questo il paniere reale (non virtuale, non su catalogo) cui lo chef Biuso attinge per la cucina del Vite: in grado di fondere più culture, fatta di contaminazioni, parte dalla sua Sicilia per arrivare all’Emilia Romagna, con suggestioni che trascendono anche i confini nazionali e non si pongono limiti. Una cucina esperienziale volta a esaltare l’eccellenza del prodotto, con piatti pensati e ripensati perché continuino a esprimere la cifra, molto personale, dello chef ma, al tempo stesso, intellegibili a tutti senza distinzioni di sorta. Non pago tuttavia di questo progetto in progress diventato tassello e gioiello del sistema di economia circolare della Comunità, da maggio di quest’anno Biuso ha voluto enfatizzare la mission di Vite facendo germogliare al primo piano del ristorante una nuova, ambiziosa offerta gastronomica che emblematicamente ha voluto chiamare Talea. «La talea è il frammento tagliato di una pianta dal quale poi cresce un nuovo esemplare», specifica. «Il ristorante, infatti, condividerà con Vite la struttura, ma sarà in tutto il resto completamente autonomo».

Arioso, luminoso, con splendida vista panoramica sulla campagna riminese, Talea è stato pensato come una sala da pranzo riservata, sobria e al tempo stesso elegante, con pochi tavoli e un menu degustazione di dieci portate, basate su ortaggi e alghe e con un pairing che esclude le preziose etichette di produzione aziendale e diventa esclusivamente vegetale. La frutta e le verdure utilizzate nei piatti arrivano in prevalenza dall’orto comunitario che su richiesta dello chef ha ampliato la propria produzione con nuove varietà di pomodori (datterini gialli, costoluti, Piccadilly e cuore di bue) e con la melanzana perlina, i piselli, la zucca violina e le melanzane viola, protagoniste – insieme alle alghe – della cucina del Talea. L’obiettivo è, come già pensato e poi realizzato con successo al Therasia con il progetto Tenerumi, sdoganare il vegetale dalla sua connotazione esclusivamente salutistica associata al concetto di privazione e restituirgli quello che naturalmente gli appartiene, e cioè la forza – preparato in modi, cotture e consistenze diverse – di generare piacere per il palato.

Al momento, l’uso del formaggio in alcune proposte appanna un po’ il gusto dirompente che certe verdure in purezza riescono a esprimere, così come l’uso trasversale delle alghe compromette talvolta l’equilibrio delle sapidità. Ma il dado è tratto: lavorando sulla sottrazione, pensando, ripensando e assaggiando mille volte, rimettendosi sempre in discussione, così come Biuso ci ha abituati a vederlo lavorare – e crescere – negli anni, la Stella Verde già assegnata dalla Michelin al ristorante Vite per la sostenibilità etica, sociale e ambientale e la sua “virtuosa organizzazione volta a coinvolgere l’ospite nell’intero progetto” avrà ancora più senso. E, ci si augura, valore premonitore di altri e più ambiti traguardi.

Maggiori informazioni

Ristoranti Vite e Talea
via Montepirolo 7, Cerasolo di Coriano (Rimini)
ristorantevite.it

foto di Danilo Giaffreda

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