È stato uno dei clienti di Lolla, la gelateria di Lorenza Bernini a Bolsena, a far scoprire all’artigiana che questo borgo affacciato sull’omonimo lago vulcanico (il più grande d’Europa!) è una delle tappe di un cammino italiano che da Ancona arriva a Orbetello. Così, oltre che per il turismo balneare per cui è già famoso a livello internazionale, questo comune nel viterbese ‒ premiato quest’anno tra le migliori località lacustri d’Italia ‒ è anche destinazione di camminatori. Senza considerare che c’è una buona parte di pubblico che viene qui per motivi gastronomici. Se l’attrazione principale è legata proprio alle sue dolci acque, nelle quali si specchia questo paesino che conta più o meno 4mila abitanti, tra tuffi, passeggiate e aperitivi pieds dans l’eau ‒ da Pareo Bar che accompagna i suoi cocktail con focaccia e mortadella o pizza, spesso sulle note di musica dal vivo e dj set, al Bar del Porto dove provare lo Spritz del Lago ‒ è nella parte storica, arroccato su una collina a ridosso del Monte Pota, che si concentrano i migliori indirizzi dove mangiare.
Camminando tra i vialetti del nucleo antico si trova Lolla che dal 2016 è un punto di riferimento all’ombra della Basilica di Santa Cristina per una rinfrescante pausa gelato, certificata anche dal marchio Aic come senza glutine ‒ fino a prima del lockdown non ne esistevano molte altre in zona e i suoi affezionati della vicina Umbria hanno patito ai tempi la chiusura dei confini regionali ‒, offerta speculare che si trova nel più recente negozio di Viterbo dove ha centralizzato la produzione (questa seconda apertura risale al settembre dello scorso anno) e che nella Città dei Papi viene estesa anche alle referenze della colazione e della pasticceria in generale. Originaria di Montefiascone, dopo essere stata ricercatrice universitaria che applicava i fondamentali di chimica e fisica ai beni culturali, Lorenza ha cambiato vita dedicandosi al mondo del gelato, mantenendo un approccio rigoroso e innovativo per i tempi (quasi dieci anni fa) alla materia prima, dalla scelta degli ingredienti alla lavorazione senza preparati e aromi, bilanciando ogni gusto a sé per rispettarne le singole caratteristiche. Così la sua nocciola è “ignorante”, come la definisce lei stessa: «Abbiamo fatto moltissime prove sulla frutta secca che viene quasi tutta lavorata in casa ‒ spiega Lorenza ‒, in particolare su come massimizzare il gusto. La nostra nocciola della Tuscia è tostata e ha una consistenza più grezza: usiamo un mulino a pietra e non a biglie. Ecco perché il nostro prodotto è leggermente variabile. Questo metodo si adatta perfettamente alla varietà locale che non si pela assolutamente. Si riconosce per l’inconfondibile pellicina che rimane e il colore». Imperdibile anche la loro linea di spalmabili che conta cinque prodotti: nocciola della Tuscia e massa di cacao oppure olio extravergine d’oliva, poi bruscolino (il classico seme di zucca che è anche proposto come gelato), stracciatella con gruè di cacao e pistacchio salatino.
Gluten free è anche Pizzeria Tanaquilla, insegna che è rimasta ferma agli anni 80 ma solo nel nome. Dal 2015, infatti, gli attuali proprietari Michelino D’Egidio e Alessandra Tedeschi hanno rilevato l’attività stravolgendo il loro piano di trasferirsi in Irlanda. Campano lui, marchigiana lei, la coppia in soli due mesi dalla prima visita (era l’8 marzo 2015) ha acquisito il locale lasciando però il nome originale: «È dedicato alla nobile donna etrusca che fu moglie di Tarquinio Prisco, famosa perché ritenuta un po’ strega», spiega la proprietaria che prima di occuparsi di ristorazione era una farmacista e che ricorda le sue origini con olive ascolane, cremini e ogni tanto ciauscolo come topping sulla tonda che è «una via di mezzo tra una napoletana e una casertana», come specifica Michelino. Lui invece fa il pizzaiolo da quando è adolescente e viveva a Benevento, sua città natale, provenienza che viene ribadita in molte delle pizze in menu: «Dalle declinazioni di Margherita (ben cinque, ndr), pizza simbolo della tradizione partenopea, alla ‘O Sole Mio ‒ racconta il pizzaiolo ‒ ma ci sono anche le versioni fritte. In questa stagione va molto il gusto piccante, piace agli stranieri. La nostra Vesuvio è metà pizza e metà calzone: da una parte c’è la ‘nduja e dall’altra il salamino piccante dell’azienda agricola Stefanoni». Se quest’ultimo è uno dei fornitori di Tanaquilla, per altri salumi come guanciale e mortadella, per l’olio extravergine d’oliva e qualche etichetta di vino c’è Villa Caviciana, il primo Bene produttivo agricolo del FAI a Gradoli, in provincia di Viterbo, mentre per le farine si affidano al Molino sul Clitunno. Oltre a una discreta proposta di birre artigianale alla spina, la loro selezione enoica premia chi lavora bene sia in vigna sia in cantina, con etichette perlopiù locali che strizzano l’occhio al mondo dei naturali.
Ha aperto il suo Giò RistoCantina in quella che prima era proprio una cantina vinicola Giorgio Bufalari, bolsenese classe 1989, che subito dopo il diploma alberghiero è entrato come stagista da Casa Vissani per poi rimanerci altri tre anni girando un po’ tutte le partite. Affamato di conoscenza, è partito per Londra, prima, dove ha lavorato nella cucina di Joël Robuchon, e per l’Australia, dopo, rimanendo un anno nel continente circondato da oceano Indiano e Pacifico, rientrando in Italia a fine 2015 con un curriculum abbastanza importante per avere 26 anni. Qualche mese più tardi inaugurava il suo ristorante nel luogo in cui un tempo si produceva il classico vino da tavola. Dopo aver bonificato alcune aree della struttura è riuscito a ricavare anche una stanza ‒ quasi tutto il locale è scavato dentro la collina, si sviluppa sottoterra ed è per questo climatizzato naturalmente ‒ per organizzare aperitivi con degustazioni insieme ai produttori: «Li ho chiamati Aperiti-Vini ‒ spiega Bufalari ‒. In questi appuntamenti do spazio alle cantine con cui collaboro (attualmente in carta ci sono circa 160 etichette, ndr): per il 95% sono tutti vini che vengono prodotti nel raggio di 50 chilometri, fatta eccezione per due aziende del cuore, Marziano Abbona dal Piemonte e Siddura in Sardegna». A essere ancora più interessante è il suo manifesto culinario che valorizza il pesce di lago che i local, in realtà, non apprezzano particolarmente. «Ma solo perché tutti mangiano il coregone e basta. Tra l’altro, quest’anno non si trovava neanche. E io non me ne sono accorto, per dire!». Questo perché usa altre specie lacustri autoctone, come luccio, tinca o carpa, che però non propone come da tradizione in salsa verde o a mo’ di carpaccio: la sua anguilla è spinata alla brace con salsa all’Est! Est!! Est!!! in stile giapponese. Lago è uno dei menu degustazioni possibili, oltre a Collina, Piccione (sua grande passione che declina come ingrediente dall’antipasto al secondo), e Vegetariana. Si può anche ordinare alla carta, trovando una buona dose di tradizione rivisitata in chiave contemporanea. Bisogna tornare in un periodo più freddo per assaggiare la sbroscia, tipica zuppa di pesce di lago con cipolla, patate, pomodori e mentuccia che i pescatori cucinano proprio con l’acqua dolce mettendo la pignatta di terracotta davanti al fuoco. «Nella mia versione tutti quanti i pesci sono spinati, cotti separatamente per esaltare il sapore di ciascuno e poi finiti in un concentrato di brodo di pesce con quella che i francesi chiamerebbe soup à l’oignon e patate cotte a bassa temperatura». Impegnativa.
«La sbroscia di Trattoria da Picchietto va ordinata con largo anticipo per un minimo di 4-6 persone e quando viene servita in tavola ai commensali si porta lo sgommarello per raccogliere il sugo al centro». A raccontarlo è Emiliano Pagliaccia, sommelier di questa storica insegna aperta nel lontano 1927, e marito di Monica Stella, la cuoca. Dopo pochi anni da questo esordio, la trattoria di Giuseppe Puri detto Picchietto, appunto, fu trasferita all’interno dell’attuale sede, ovvero una ex chiesa sconsacrata, e la gente andava là per giocare a carte, bere vino e usare il campo da bocce in giardino. A questa conduzione negli anni 70 è seguita quella della figlia, Livia Puri, fino a quando ci fu il passaggio con Mario Stella, padre dell’attuale cuoca e proprietaria: fu lui a intervenire con un importante restauro all’inizio degli anni 90. Nonostante abbia passato il testimone alla figlia nel 2007, l’uomo è sempre presente tra i tavoli della trattoria (così come la moglie che sta ai fornelli), pronto a condividere aneddoti e curiosità con i commensali. Tra i piatti da provare assolutamente ci sono le Tagliatelline alla Picchio con un ragù bianco di pesce di lago da abbinare con il vino della casa, etichette prodotte in collaborazione con gli amici di cantina Enos a Grosseto.
Se Picchietto nel 2027 festeggerà 100 anni di attività, ha aperto da meno di tre mesi Maritè, pasticceria e caffetteria di due giovanissimi professionisti che vengono dalla provincia di Viterbo. Maria Brachini (1994) ed Emanuele Terranova (1995) erano compagni di banco alle superiori, prima che le loro strade si dividessero: lei è entrata nella scuola di pasticceri di Alma, lui invece si è formato in cucina all’Etoile Academy Rossano Boscolo. Dopo alcune esperienze si sono ritrovati diventando una coppia, non solo nella vita privata. «Bolsena è il luogo dove abbiamo deciso di vivere, soprattutto dopo aver trascorso due anni e mezzo tra gli ulivi della campagna di Soriano nel Cimino, vicino comune da dove proviene Emanuele ‒ spiega Maria ‒ : ci piaceva l’idea di vivere in un ambiente che non fosse la città». Il loro è un piccolo negozio su corso delle Repubblica, la stessa strada che si percorre per raggiungere Lolla dalla piazza del paese. «La nostra offerta prevede sia pasticceria salata sia dolce: in questo modo abbiamo unito le attitudini di entrambi. Cosa va di più? Sicuramente le torte moderne e i lievitati da colazione; il nostro è un cornetto all’italiana ed è lo stesso impasto che poi farciamo con salmone o affettati. Poi, non mancano i dolci da forno e le intramontabili pastarelle». E se siete amanti del cioccolato sappiate che avete un buon motivo per tornare in autunno.