Roy Caceres ph Andrea Di Lorenzo

Orma, l’atteso ritorno fine dining di Roy Caceres

Viaggi, revival per i nostalgici, orto rigenerativo: quali sono le “tracce” che sta lasciando lo chef dai due passaporti, uno colombiano e l’altro italiano, nella sua nuova cucina dai sapori concentrati e ad alto tasso di internazionalità.

A rivelare chi è alla guida della nuova cucina di Orma è quella pagnotta con i semi che dodici anni fa nella capitale sublimò due dei piaceri da spalmare sul pane, l’olio e il burro, lavorati come fossero un unico elemento (e allora sì che fu avanguardia). Oggi quello stesso lievitato viene invece accompagnato dal kaymak, prodotto lattiero-caseario di origine balcanica che ha colpito Roy Caceres in occasione di uno dei suoi recenti viaggi al punto da volerlo inserire in menu con una versione che strizza l’occhio a Oriente per l’aggiunta di miso. I nostalgici di questo servizio andato in scena da Metamorfosi – stellato romano che ha ufficializzato la chiusura dopo il primo lockdown – lo potranno finalmente ritrovare – naturalmente insieme al suo chef di origine colombiane – nei rinnovati (e stilosissimi) spazi in una nota traversa di via Veneto a Roma, aperti nelle ultime settimane grazie al progetto ristorativo promosso dalla famiglia Fiengo e rinati proprio come quell’ulivo che fa ombra sulla terrazza (la sua inaugurazione è invece prevista a fine maggio).

«È da quando ho aperto Carnal – confessa lo chef – che i miei storici clienti mi chiedono un altro Metamorfosi. Io ho sposato Orma prima ancora che fosse scelto il suo nome perché ho creduto fin da subito in questo format fine dining di più ampio respiro. Nella vita ci sono dei periodi: prima di Metamorfosi, a trent’anni, volevo tirare fuori il massimo e credo che all’epoca la mia cucina fosse un po’ confusionaria; con Metamorfosi ho sì mostrato le mie radici contaminate, ma continuavo ad aggiungere perché ero convinto che non fosse mai abbastanza; durante Carnal ho arricchito la mia identità con i viaggi; da Orma toglierò il superfluo». A dare seguito alle sue parole può aiutare quel (concentratissimo) leche de tigre al kiwi, frutto di provenienza laziale – sapete che proprio il Lazio ne è il primo produttore a livello nazionale? – che con i suoi toni, insieme aspri e dolci, è l’accompagnamento ideale per il Ceviche di capasanta addentata in un veloce passaggio allo chef’s table (con tanto di saluto allo chef e all’intera brigata) che, dopo un benvenuto itinerante – possibilmente accompagnato da un flûte di Champagne –, è l’ultimo passaggio prima di prendere definitivamente posto in sala. Menu alla mano, a questo punto la scelta dividerà tra inguaribili malinconici e curiosi buongustai: i primi potranno lasciarsi andare al revival di Tracce Indelebili con cinque signature che lo chef si porta dietro dall’ultima esperienza stellata (Riso opercolato, S-Foglia, Anguilla vi dicono nulla?); per i secondi invece c’è l’opzione Tracce Correnti, alla scoperta di un inedito viaggio che, se con la Pecora toccherà l’Abruzzo per la provenienza della carne – marinata nel koji per 24 ore –, la Calabria per la scelta della ‘nduja, il Veneto per il radicchio di Castelfranco e la Sardegna (e la macchia mediterranea tutta) per l’olio di lentisco, con il Raviolo di ostrica fa volare direttamente a Hong Kong per l’impasto che ricorda i ravioli del dim sum. «Questa tecnica mi è venuta in mente in un viaggio in Cina e volevo usarla già anni fa per un piatto: sono rimasto colpito dai noodles e dalla tenacità della loro pasta caratterizzata dall’acqua alcalina che usano. Così ho lavorato su un mio impasto fino a renderlo elastico quanto una caramella». 

Oltre ai piatti, del suo glorioso passato ha portato con sé due colleghi: il fratello Diego ai dolci – con la complicità dello chef, anche lui svela le proprie origini sudamericane, ad esempio nella piccola pasticceria con l’arequipe racchiuso nel cioccolatino fondente o nel lulo del mochi – e Giovanni Olivieri, qui nelle vesti di sous-chef che esce tra i tavoli per completare alcuni piatti, come lo Spaghetto pinoli e l’Anatra. A coordinare il servizio in sala – ritmatissimo – troviamo Simone de Florio, mentre Matteo De Paoli pensa a un wine pairing tutt’altro che scontato facendo ricredere anche sul Cesanese (va bene, è facile con la cantina di Marco Antonelli). Uno dei progetti più attesi dello chef ha trovato dimora nei terreni di Campagnano Romano dove Lorenzo Maggi ha il suo famoso Orto di ClaPi: «È un ragazzo molto appassionato – commenta Caceres – lo conosco da diversi anni e per Carnal da lui prendo erbe e misticanza: ho fatto piantare germogli di coriandolo e tagete messicano, ad esempio. Per Orma partiremo con un progetto pilota di 900 mq2 di orto accanto al suo disposto in quattro quadranti nel segno di un’agricoltura rigenerativa». Per tutti gli odori invece allo chef basta salire in terrazza: qui c’è un piccolo giardino mediterraneo che presto profumerà anche i tramonti in via Boncompagni.

Maggiori informazioni

Orma Roma
Via Boncompagni 31, 00187 Roma 
ormaroma.it

Foto di Andrea Di Lorenzo

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