casa d'aste

Pandolfini celebra il mito Salon e il suo degno confratello Delamotte

La più antica casa d'aste italiana festeggia i 100 anni con una vendita record per il mondo dei fine wines.

Pandolfini, la più antica casa d’aste italiana, che proprio quest’anno festeggia le 100 candeline (di cui 25 per il dipartimento vini) ha allestito per l’apertura del consueto appuntamento novembrino dedicato ai fine wine, un’esclusiva degustazione celebrando due grandi champagne: Salon, il primo Blanc de Blancs della storia che è diventato leggenda, e Delamotte, l’altra metà del firmamento del suo inimitabile predecessore, con cui condivide la proprietà del gruppo Laurent-Perrier dal 1949. Neanche a dirlo, il tutto si è svolto nella cornice di un edificio nel centro fiorentino che trasuda altrettanta storia, Palazzo Ramirez Montalvo, nonché patrimonio artistico nazionale sottoposto a vincolo architettonico dal 1936.

Il tasting esclusivo e curato da Giacolino Gillardi, ad di Ceretto (la cui cantina langarola distribuisce entrambi gli Champagne) insieme a Didier Depond, presidente di Salon e Delamotte e al master of wine Gabriele Gorelli, si è rivelato un delizioso “antipasto” che ha preceduto la doppia giornata di aste di Pandolfini dedicata anche ad altri vini da collezione: un legame, poi, quello tra Salon e Ceretto, sbocciato quando lo stesso Depond cercava la “chiave” giusta di entrare nel mercato italiano, trovandola quindi nelle mani esperte di Gillardi.

La Maison Salon e Delamotte

Nell’universo champenoise, la Maison Salon è assolutamente atipica: propone una sola cuvée, elaborata da un solo vitigno come lo Chardonnay, proveniente da un solo cru. O meglio tutte le uve, infatti, provengono dal villaggio di Le Mesnil-sur-Oger (da un terroir paradisiaco formato da una parcella di un ettaro e 19 piccoli appezzamenti caratterizzati da piante di quasi cinquant’anni con alcune che hanno quasi un secolo), 100% Grand cru e solo millesimato. Compare per la prima volta nel 1905, mentre il suo splendore si rende disponibile solo a partire dal 1921 ed esclusivamente 37 volte nel corso del XX secolo.

Si tratta di una vera e propria attesa che ogni volta pare infinita, accompagnata dalla consapevolezza che la rarità del mitico e unico prodotto della cantina si lega sia alle pochissime bottiglie prodotte (circa 60mila), sia alla sua incredibile giovinezza appena uscita in commercio. «Il faut attendre», spiega giustamente Monsier Depond, così come ironizza egregiamente lo stesso Gillardi, sulla sua straordinaria capacità di invecchiamento: «C’est la convalescence de la bouteille (è la convalescenza della bottiglia, ndr)», riconoscendo, con gran classe, il merito di tale e fine espressione ad un collega francese.

Il savoir-faire dell’antica Maison Delamotte (fondata nel 1760) è affidato dal 1997 sempre alla sapiente gestione di Depond, che porta avanti la filosofia enologica in parallelo con la mitologica consorella, ma con un’identità ben distinta: il tratto comune, nonché emblema di stile, rimane il Blanc de Blancs, ma ne scaturisce, alla fine, uno champagne definito “anima del piacere”, che fa dell’approccio alla beva e della immediatezza i suoi cardini.

La degustazione

Per Salon sono state selezionate le annate 1999, 2006 e 2013, mentre per Delamotte la 2007 e la 2018. Se la 2013, affascinante e intensa, conquista al primo sorso tra agrumi, creme pasticcere e un’appassionante nota iodata che al palato genera tensione e cremosità, la 2006 possiede parecchia complessità e precisione ma forse in leggero debito di energia; mentre la 1999 è sbalorditiva nella sua armonia floreale, agrumata e balsamica, con un palato di estremo vigore e purezza, nella trama matura del frutto e nella bellissima vena sapida che allunga il finale.

La 2007 e la 2018 di Delamotte, per certi versi, si sono mostrate abbastanza simili ma altrettanto gradevoli, esprimendo una freschezza disarmante: due bollicine sofficemente vivaci, leggere, versatili e dalla notevole agilità.

Gli Champagne in asta

I lotti provenienti dalle due cantine di Le Mesnil-sur-Oger, di cui i primi quattro omaggiati direttamente dalla collezione privata di Federico Ceretto, hanno raggiunto quasi i  44.392 euro di ricavo, soprattutto con Salon 1996 e 2008 (quest’ultima talmente rara e di pregio da essere stata imbottigliata in soli 8mila pezzi, tutti formato Magnum). Significativa, tra l’altro, è stata l’affermazione della batteria composta da sette bottiglie Cuvée S Salon delle annate 2004, 2006, 2007 e 2008, battute per 11.780 euro.

Altri fine wines

A dirigere l’orchestra troviamo (senza troppe sorprese), la Domaine de la Romanée-Conti che, con un assortimento di 12 bottiglie dell’annata 1996, ha toccato i 39.680 euro, seguito dal Masseto 2016 addirittura in formato da 15 litri, che è stata battuta per 28.520 euro. Infine, pregevole si è rivelata una verticale di Sassicaia (dal 2020 al 1980), che ha raggiunto i 13.020 euro.

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