Parabere Forum

Parabere Forum 2024: il cibo è politico

La nona edizione dell’evento ideato da Maria Canabal, che si è svolta a Roma il 3 e 4 marzo, ha riunito centinaia di donne (e qualche uomo) da 42 Paesi per discutere idee e aspirazioni riguardo alle politiche del cibo.

Sono cuoche, contadine, giornaliste, scrittrici, attiviste, produttrici, nutrizioniste, ricercatrici. Arrivano da diverse città italiane ma anche (e soprattutto) dalla Francia, dall’Irlanda, dalla Spagna, dal Nord Europa, dall’Australia, dagli Stati Uniti o dall’America Latina, per un totale di 42 Paesi e cinque continenti. Hanno pelle e capelli di ogni sfumatura naturale e non, ma nessuna ci fa caso. Vogliono sedersi o si sono sedute – spesso autoinvitandosi – ai tavoli e alle tavole che contano, per reclamare il giusto spazio e far valere le proprie idee. Cercano stimoli, esempi concreti, condivisione, supporto e sorellanza perché, come racconta a fine giornata una giovane cuoca irlandese che studia all’università per approfondire i temi sociale e culturali del cibo, «Spesso il peso che portiamo sulle spalle è troppo per una sola persona, ma quando senti che ci sono tante spalle accanto a te provi un’energia rinnovata», riferendosi a molte cose ma nello specifico soprattutto a quanto le donne spesso debbano mascherare debolezze totalmente naturali per lavorare in ambienti maschili. Sono le donne – con qualche sparuta ma importante presenza maschile, tanto tra il pubblico quanto tra i relatori – della nona edizione di Parabere Forum, il congresso legato alla piattaforma indipendente e senza fini di lucro per dare voce alle opinioni femminili nel settore gastronomico ideata dalla giornalista Maria Canabal, che si è svolto alla LUISS di Roma il 3 e 4 marzo.

Le politiche del cibo

Il tema scelto quest’anno è The Politics of Food, e mai come adesso sembra urgente. Le atroci immagini della popolazione palestinese non solo bombardata ma anche ridotta alla fame fanno affiorare più volte dalla sala una richiesta precisa: basta all’uso del cibo come arma. Ma i risvolti della questione sono tanti, e – anche grazie alla conduzione precisa, intelligente ed empatica di Joanna Savill – si fanno eco dalla sala al palco, in un evento che a differenza di gran parte di quelli di settore non ha barriere, trae l’energia “dal basso”, raccoglie istanze ed esperienze: nelle due giornate ci si abbraccia, si piange, si sogna, si balla e si canta – dalle note delle canzoni di Raffaella Carrà ai canti popolari eseguiti in chiusura dal trio di Adriana Persico. Così appunto, dopo i saluti del professor Sebastiano Maffettone, che dirige l’Osservatorio Ethos LUISS Business School, e dell’Assessora all’Agricoltura, Ambiente e Ciclo dei rifiuti Sabrina Alfonsi – che a Roma guida una piccola grande rivoluzione legata alle Food Policy e ad azioni concrete che tutelino e valorizzino l’importante portato agricolo della Capitale –, accompagnati dalla riflessione di Canabal su quanto spesso i “food systems” che adottiamo comunemente finiscano per distruggere risorse e valore più di quanto ne creino, l’appuntamento parte raccogliendo domande e aspettative dal pubblico.

Condivisione e sorellanza

Un’indiana che vive a Barcellona e un’asiatica canadese che vive in Olanda chiedono spazio per la diversità e l’inclusione; la nutrizionista brasiliana che vive a Londra (e che nel pomeriggio ha tenuto il workshop sull’alimentazione in menopausa, un tema di cui si parla troppo poco) ricorda quanto sia importante democraticizzare l’accesso a un cibo sano e salutare; un’italiana (si) domanda come sia possibile trovare un equilibrio tra abbondanza e scarsità, e come evitare lo spreco alimentare laddove il cibo non manca; una contadina e vignaiola slovena sottolinea l’importanza della terra, perché solo da un terreno fertile e in salute può crescere cibo sano; mentre una partecipante dalla Turchia riporta un po’ tutti e tutte con i piedi per terra ricordando l’evidenza che Food is not fair”: è impossibile che il buon cibo sia davvero alla portata di tutti, ma lei vuole capire su cosa si fonda la speranza di chi si batte per questo.

Nel complesso, emergono l’importanza di conoscere lo scenario e le politiche del cibo per poter mettere in pratica azioni – grandi o piccole, singole o collettive – proficue, e l’urgenza di farlo diventare un tema rilevante per la politica istituzionale, che continua troppo spesso a snobbarlo come argomento secondario salvo poi usarlo in periodo elettorale. Non a caso, lo slogan dell’edizione è l’efficace “Vote with your fork”, a ricordarci che mangiare è un atto politico, e gli interventi sono intervallati da immagini e frasi di Michela Murgia.

Esempi concreti, iniziative e azioni collettive

Le risposte dal palco arrivano, a volte in maniera estremamente precisa, tra parole, immagini ed esempi concreti. Audrey Bourolleau, già consulente sui temi dello sviluppo rurale di Macron, si presenta come imprenditrice e agricoltrice – dimostrando come l’immaginario che si ha di questo ruolo sia spesso basato su stereotipi – e racconta del suo progetto di agricoltura rigenerativa Hectare che è insieme azienda e associazione non profit che agisce da “incubatore” per start up e fornisce formazione e supporto ai giovani imprenditori agricoli.

L’argentina Narda Lepes, chef e patronne di Narda Comedor ma anche autrice e volto televisivo impegnata nella divulgazione e promozione del cibo sano, racconta di come sia riuscita a interagire con il governo – quello precedente, non certo quello di estrema destra di Milei – nel migliorare le leggi sulle etichette dei prodotti alimentari (argomento ripreso dalla presentazione della ricerca del team LUISS, illustrata dal professor Marco Francesco Mazzù, sull’efficacia dei vari sistemi di etichettatura adottati nell’Unione Europea) ma anche su altri temi importanti: dalla sicurezza alimentare alla valorizzazione delle lavoratrici della ristorazione attraverso programmi di formazione e professionalizzazione.

Dee Woods, attivista e agroecologista di stanza a Londra (dove ha co-fondato la Granville Community Kitchen e l’African and Caribbean Heritage Food Network) e rappresentante della Via Campesina, è un esempio lampante di “politica dal basso” che si è fatta strada fino a far sentire la sua voce, e amplifica anche – a suon di tavolette – quella di progetti interessanti come The Chocolate Rebellion, costola dell’Alliance for Rural Communities che mette insieme diverse comunità produttrici di cacao dai Caraibi all’Africa.

Asma Khan – che a 45 anni passati è ripartita da zero fondando il ristorante indiano a Londra Darjeeling Express – contagia tutte con la sua energia e il suo entusiasmo e lancia forti messaggi contro il patriarcato alimentare che in troppi contesti (anche in Italia non ne siamo del tutto esenti) è ancora ben presente. Khan ricorda inoltre le capacità delle donne di essere «nutrici e guaritrici» anche in tempo di guerra o nelle condizioni più dure, un tema che torna nel panel Women empowerment in forced displacement, moderato da Cristina Franchini dell’UNCHR con l’ucraina esperta di mindfulness Alina Vasieikina, Mahboba Islami (chirurgo e attivista dell’Afghan Women Surgeon Association) e la giovane Shayma Alshareef, nata in Giordania da una famiglia sudanese sfollata, che studia politica e filosofia a Roma grazie al LUISS Mediterranean Project.

Annalisa Corrado, laureata in ingegneria meccanica e attivista alla guida del progetto di sviluppo energetico AzzeroCO2, si dichiara «ecologista per scelta e femminista per necessità», presenta la sua idea di “ecofemminismo” e ricorda come la trasformazione dei modelli di sviluppo verso la sostenibilità – così come la pace – non sia solo un dovere morale, ma anche l’unica opportunità che abbiamo per rinnovare e rivitalizzare l’economia. E cita attraverso dei video l’esempio illuminante di Wangari Maathai – ambientalista e attivista keniota scomparsa nel 2011, che nel 2004 è stata la prima donna africana a ricevere il Premio Nobel per la pace – e il suo invito a “essere un colibrì”, ovvero a fare azioni anche piccole ma caparbie, anziché stare a guardare.

Dominga Cotarella riassume efficacemente le tante anime – dalla scuola di formazione di sala Intrecci a Fattoria Tellus e Fondazione Cotarella, dedicate ai bambini e a chi soffre di disturbi alimentari – dell’azienda che lei e le cugine-sorelle Marta ed Enrica hanno ereditato dai genitori dandovi la propria impronta e spiega come, se per le generazioni precedenti il vino era l’obiettivo, per loro sia diventato uno strumento per fare anche altro.

Monica Berg (vincitrice del Parabere Award 2024, assegnato in collaborazione con Petra Molino Quaglia) è un’esperta bartender e imprenditrice che con il partner Alex Kratena ha fondato a Londra il locale dalla duplice anima Tayēr + Elementary, fornendo un esempio più che concreto – tanto quanto il suo impeccabile Martini, che utilizza come invito a rifiutare semplificazione e standardizzazione – di cosa voglia dire fare imprenditoria sana in un settore di cui si percepisce soprattutto il glitter e la leggerezza: a cominciare dal pagare stipendi non solo “egali”, secondo il minimo stabilito dalla legge, ma anche equi, continuando con numerosi progetti non profit di cui è fondatrice e animatrice.

Il potere della cucina

La “cucina cucinata” c’è poco, nelle due giornate di Parabere, ma non manca del tutto ed è presente comunque per mandare dei messaggi. Dall’invito rivolto da Antonella Stefanelli del gruppo S. Pellegrino alle giovani cuoche a iscriversi alla S.Pellegrino Young Chef Academy – che non è solo una gara culinaria, ma anche un programma di formazione, mentoring e crescita professionale – per aumentare la rappresentanza femminile, all’efficace speech di Chiara Pavan che racconta attraverso parole chiave – Collaborazione, Resilienza/Adattabilità, Apertura mentale, Coraggio e Curiosità – ed esempi concreti – quali la riduzione delle proteine animali nel menu di Venissa, la riduzione dello spreco attraverso il calcolo calibrato delle porzioni e le tecniche di conservazione, e l’utilizzo privilegiato di specie aliene o invasive come il granchio blu o il pesce serra – come anche cucinare sia un atto politico.

Ma pure il delizioso “bread and butter pudding” – un ricordo della saggezza anti-spreco della nonna che adesso compare sulle tavole dei suoi ristoranti a fine cena, fatto con il pane raffermo e accompagnato dal gelato di pane e dalla composta di frutta “rovinata” – della chef francese Hélène Darroze, salita sul palco accanto a Maria Canabal e Libby Travers per raccontare Encore, il libro di ricette di recupero nato durante la pandemia con il contributo di 100 “cuoche premurose” (non per forza professioniste) i cui ricavi sostengono al 100% il Parabere Grant, per permettere la partecipazione al forum da parte di donne che altrimenti non ne avrebbero avuto la possibilità. A vincerlo per il 2024 è stata Rosa Bertel, agricoltrice colombiana che racconta con incredibile energia la trasformazione di Acocoman – cooperativa locale di coltivatori – grazie al recente ingresso delle donne: da sempre ai margini del mondo lavorativo, relegate alla cura della casa e della casa, lei e le sue colleghe hanno deciso di abbandonare i patios per andare a presidiare la coltivazione, la trasformazione e la vendita del ricchissimo patrimonio agricolo locale (solo tra i manghi si contano 40 varietà), aumentando valore e remunerazione, diventando economicamente indipendenti e avviando anche progetti di turismo rurale, gastronomia e artigianato che incoraggiano i giovani a non lasciare le campagne per la città. «Si può fare», è il messaggio di Rosa, che ricorda come lei sia passata dall’essere la donna timida e silenziosa che si sedeva sempre nell’ultima fila alla “front woman” del progetto.

Le iniziative da seguire

Qualche anno fa Maria Canabal, per poter dare più spazio ai tanti, interessanti progetti a matrice femminile, ha ideato il 5’ Speed Project: un momento all’interno del programma di Parabere in cui raccontare in maniera più veloce dei progetti meritevoli. Intuizione brillante, visto che alcuni degli stimoli più interessanti dell’appuntamento romano li abbiamo trovati proprio qui.

Dalla Circular Gastronomic Challenge nata in Svezia per incoraggiare e supportare il recupero e l’upcycling – vedi i geniali sgabelli realizzati con i gusci delle ostriche – raccontata da Ami Hovstadius, a Warndu, il progetto dedicato alla conoscenza e valorizzazione del cibo delle comunità native e creato dall’australiana Rebecca Sullivan con il marito Damien, aborigeno, che si prefigge anche di coinvolgere le stesse comunità (e soprattutto le detenute indigene). A Copenaghen, epicentro della gastronomia creativa contemporanea, Mia Maja Hansson e soci hanno creato Kitchen Collective, focalizzato sulla formazione e il supporto dei giovani Food entrepreneurs creando spazi condivisi di cucina e consumo e modelli di leadership e inclusione, per democraticizzare la gastronomia al motto di “Sharing&Caring”. Negli Stati Uniti, Erin Boyle ha fondato CHOW, che sta per Culinary Hospitalty Outreach Wellness: un progetto per arginare i suicidi le morti da overdose nell’ambito della ristorazione – dove lo stress e le dipendenze sono diffusissime e la salute mentale è un tema che non può più essere ignorato – attraverso programmi di supporto psicologico ma anche molto concreto, per chi si trova ad affrontare momenti difficili.

Al termine della seconda giornata, seguita da una cena in Campidoglio, Maria Canabal lancia un ultimo messaggio a favore della solidarietà tra donne «che non hanno bisogno di una giornata a loro dedicata, ma di paghe più alte, permessi di maternità e condizioni migliori». E del femminismo che, ricorda, «Lavora da oltre duecento anni per raggiungere l’uguaglianza tra uomini e donne, che vuol dire più risorse per tutti: avere più diritti per le donne non vuol dire levarne agli uomini, non è una torta da spartire». E dà appuntamento alla decima edizione: a marzo 2025 a New York, per parlare di Food Design and Innovation.

Maggiori informazioni

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foto Rosario Mustari

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