Thomas, che cosa succede a Bordeaux in questi ultimi tempi?
«Quello che accade sul campo è che ora c’è una visione molto più attenta al dettaglio. Ricordo che una ventina d’anni fa qui nel bordolese c’era in pratica solo un modo di gestire il vigneto, quello classico: potature standard, sovesci, eccetera. Oggi lavoriamo quasi ogni parcella in modo distinto, con molti inerbimenti interfilare, studiandone singolarmente il vigore e l’equilibrio».
Le tecniche agricolturali sono quindi cambiate.
«Per prima cosa, chiaramente, abbiamo abbandonato la fertilizzazione minerale, per virare sempre più verso una viticoltura che non possiamo definire minimalista ma di sicuro molto più attenta a quello che il luogo specifico ci dà. Per concimare abbiamo le
nostre pecore, che sfruttano l’inerbimento del vigneto e producono la materia organica che ci serve. Diciamo che è una piccola ma
sostanziale rivoluzione, che ci consente di tornare a un mondo viticolo molto più a misura d’uomo, meno industriale e sempre più vicino a quello che si faceva in epoche antiche, pre-fillosseriche. Cercando di ritrovare la bellezza e la complessità di un tempo».
Questa impostazione si riflette ovviamente anche nel profilo dei vini.
«Naturalmente. Palmer è famoso da sempre per la complessità aromatica dei suoi rossi. Oggi abbiamo se possibile ancor più affinato lo spettro dei profumi e la finezza della grana tannica».
Il famigerato cambiamento climatico vi sta creando dei problemi?
«Al momento non particolarmente. Nel sottosuolo del vigneto di Palmer – ma anche molto diffusamente nel resto della regione di Bordeaux – esistono strati ricchi di acqua, che si comportano come una spugna: raccolgono e trattengono umidità nei periodi delle piogge e rilasciano lentamente le loro risorse idriche in tempi siccitosi. Le piante quindi molto raramente vanno in stress idrico. È chiaro però
che la situazione non va sottovalutata, per il futuro».
A proposito di futuro, una domanda “originale”: che progetti state sviluppando?
«Cercheremo di procedere sempre di più con questa visione, ovvero di una struttura agricola completa. Un approccio che possiamo chiamare olistico. Ci sono ancora un sacco di cose da fare per trovare più complessità, più diversità nel vigneto e quindi nelle bottiglie.
Per cercare di fare vini il più fedeli possibile al carattere del territorio. E questo è già un bel programmone (ride, nda). Abbiamo davanti a noi ancora almeno dieci anni di lavoro per capire meglio come equilibrare i componenti dell’organismo agricolo che si chiama Château Palmer».