Se l’origine delle french fries è contesa tra francesi e belgi, è nel mistero che è avvolta l’invenzione delle chips. Secondo la leggenda (più accreditata) correva l’anno 1853, e per l’esattezza era il 24 agosto, quando in un ristorante di Saratoga Springs, nella contea di New York, Cornelius Vanderbilt, uno degli uomini più ricchi d’America, ordinò un piatto di patatine fritte per poi rispedirle direttamente in cucina: a suo giudizio erano molli e spesse. George Speck, il cuoco, indispettito dal gesto pensò bene di provocarlo servendogli delle scomode sfoglie sottili e croccanti che avrebbero obbligato l’imprenditore statunitense a sporcarsi le mani: in realtà, si leccò le dita! Un successo inaspettato che non solo ha eletto le Saratoga chips come specialità della casa ma è passato alla storia per la nascita del prototipo di cui l’industria alimentare s’impossessò più avanti e grazie al quale tutto il mondo oggi mangia le patatine in busta.
Se la tecnologia è stata rivoluzionaria, l’industrializzazione le ha rese in molti casi meno salutari. Alcune confezioni nascondono fino al 30-40% di grassi e possono contenere più calorie della cioccolata, facendo diventare delle innocue sfoglie di patate del cibo spazzatura. Ma in quanti sacchetti ci sono ancora le patatine di una volta? Se c’è qualcosa di cui non abbiamo fatto a meno questa estate (e siamo convinti del plurale maiestatis) sono proprio loro: le patatine. Con la scusa di un aperitivo sulla spiaggia o di un snack conviviale, si trova sempre un buon motivo per aprirne un pacchetto e se la busta dovesse interpretare una sabbia finissima e una Rotonda sul Mare (sì, proprio quella di Fred Bongusto che ha consumato una generazione di puntine per giradischi), non ci sono dubbi: avete tra le mani la Senigallia Special Edition di Patatas Nana illustrata dall’artista Scombinanto. Al suo interno pelle di baccalà disidrata e polverizzata, pomodoro liofilizzato e origano secco, ingredienti 100% naturali, senza conservanti e aromi chimici, buone pratiche confermate da una scadenza breve, che ricordano quel baccalà all’anconetana tipico della cucina adriatica. Non una novità ma una raffinata certezza la coppia tartufo e patate della linea di Savini Tartufi in cui l’etichetta, da ben quattro anni, non lascia spazio all’immaginazione: solo olio di oliva, aroma, tartufo nero pregiato, sale.
La prima realtà industriale italiana a imbustare patatine nasce a Milano e, anticipando lo spostamento negli stabilimenti destinati alla produzione di massa, la sua storia prende forma nella Rosticceria al numero 18 di via Lecco. A deciderne il nome è stata la vicina chiesa, San Carlo (al Lazzaretto). Per chi non sapesse l’anno della sua fondazione basta guardare, invece, le cifre sulla confezione delle loro patatine più amate: 1936 Antica Ricetta. Il suo testimonial è stato Carlo Cracco, noto chef e personaggio televisivo che ha contribuito a riaccreditare l’immagine di questo spezzafame da mettere al centro della tavola, facendo da apripista nel 2014 quando venne scelto come volto della Rustica San Carlo. Negli spot suggeriva sofisticati abbinamenti, come uova di quaglia con pancetta e senape, alici marinate al pepe rosa e lime, oppure crema di salmone con purea di mango e zenzero, tutti ancora disponibili sul sito dell’azienda. Non un caso isolato: la pagina di Tartuflanghe invita, infatti, a utilizzare le proprie Truffle Chips (anche nella versione senape, miele e tartufo bianco) come base per tapas mentre Melissa Clark, editorialista della sezione Food del New York Times, trasforma delle normali chips in festoso spuntino condendole con crème fraîche infusa di scorza di limone e uova di salmone: una papabile alternativa ai latkes per i festeggiamenti dell’Hannukah. Da simil tartina che si sostituisce ai blinis a ingrediente sbriciolato direttamente in una frittata spagnola senza che nessuno che si sia permesso di gridare allo scandalo. Presto detto il motivo: l’autore della ricetta era Ferran Adrià. Avanguardia pura. La famiglia Adrià ci prese gusto: La Cala vi dice nulla? Albert, fratello di Ferran, rese omaggio all’aperitivo imbustando delle patatine artigianali, le pata-tapa, un taglio realizzato in esclusiva per il suo brand iberico, che resiste a qualsiasi ingrediente aggiunto sopra senza ammorbidirsi, come le cozze in escabeche (ricetta del 2001 di elBulli). In tema panino, invece, non esiste un modo sbagliato per farlo, neanche se in mezzo alle due fette ci rifiliamo delle patatine. In Irlanda almeno è del tutto tipico mangiarle nel crisp sandwich, poi è sulla farcitura che in molti divergono: c’è chi preferisce più maionese, chi sgocciola i sottaceti, altri spalmano burro d’arachidi e solo una nicchia si trova d’accordo sul fatto che il burro sia l’unica risposta.
Mix-and-match ormai sdoganato anche quello patitine in busta-caviale: i nostri colleghi americani già nel 2019 avevano stilato una classifica delle loro preferite. Sul podio le classiche, ma quelle al barbecue funzionavano sorprendentemente bene insieme alle uova di storione. Magari la busta che aprirono era proprio una Lay’s – marchio del gruppo PepsiCo – che nel 1950 arrivò per prima a ideare il gusto grigliato, e fu boom di vendite. Per quello destinato a restare nella storia bisognò aspettare 28 anni: sour cream & onion. In Italia Lay’s arrivò, però, solo nel 2014 e l’anno seguente, per festeggiare il primo anniversario sugli scaffali del Bel Paese, furono lanciate le patatine al bacon. Da quel momento la scelta si è fatta più complicata: c’era la specialità con olio di oliva, l’altra alla paprika dolce, poi è venuta la linea mediterranea con tre pepi oppure pomodoro, basilico, origano e peperoncino, tra le ultime, invece, sale e aceto. Repertorio fantasioso anche da parte di Tyrrells: tra le più curiose cocktail di gamberi da revival anni 80, erba cipollina e formaggio stagionato per una sciabolata di profumi, ma anche manzo e birra in perfetto stile british. La loro ultima limited edition è davvero reale: si tratta del Coronation Chicken, cioè il pollo dell’incoronazione, trasformato in patatina in occasione del Giubileo di Platino. Cosa non si farebbe per la Regina.