Varcato l’ingresso, una luce bianchissima illumina tutta la profondità della sala, fino alla cucina a vista in fondo, con i raggi che rischiarano un ambiente altrimenti cupo. Questo è il primo impatto da Re Santi e Leoni, indirizzo stellato a Nola di sobria eleganza, racchiuso tra le mura di un edificio ottocentesco, come suggeriscono alcuni dettagli d’epoca, tra cui una porta in legno e i fori concavi della cantina sotterranea. Il resto è contemporaneo, proposta gastronomica compresa.
I variopinti piatti che escono, a contrasto con le tovaglie bianche, sembrano affreschi su tela. A guidare la brigata è Luigi Salomone che punta dritto su una cucina di fusione, genuina e istintiva, dipinta con i colori della terra che va oltre i confini geografici del luogo. Qui si utilizzano ingredienti provenienti da tutto il mondo: dalle spezie orientali ai frutti esotici, fino a condimenti e salse giapponesi. Senza dimenticare, però, i sapori locali che diventano il volano per la valorizzazione del territorio. Dalla materia prima prende vita un universo d’idee, declinato in tre menu differenti: Re, Santi, e Leoni. Il primo racconta la tradizione in quattro portate tra gusto e storia; il secondo, più fantasioso, si articola in sei corse che annunciano l’estro creativo del cuoco; l’ultimo, a mano libera, rappresenta la summa delle esperienze collezionate da Salomone. Non manca, infine, la possibilità di orientarsi liberamente, grazie alla formula “tradizione à la carte”, tra antipasti, due scelte di crudo, primi e secondi. Noi abbiamo optato per questa alternativa.
In ogni caso, i piatti sono una dichiarazione d’intenti: l’obiettivo è portare in tavola una cucina pulita, per una netta valorizzazione della sostanza. Pochi ingredienti, maneggiati il meno possibile, così da restituire a chi assaggia tutta la bontà della materia prima. Gusti intensi e concentrati si ritrovano in ogni boccone, dove ciascun sapore è ben distinto e trova comunque una corrispondenza con il resto degli elementi. L’estro e il minimalismo che guidano la degustazione si palesano già dagli amuse-bouche. Tra i quattro assaggi iniziali, infatti, proposte strutturate sono snellite in “semplici” stuzzichini: come la Tartare di agnello che, al momento dell’assaggio, rivela tutta la sua delicatezza grazie a una maionese agli scampi, il cui gusto dolce viene mitigato da quello grasso dell’olio della carne. Ad accompagnare il pane, tecnicamente perfetto, c’è un irresistibile Burro di calamaro, che viene stracotto, tagliato molto fine e poi frullato insieme al burro di un caseificio dei Monti Lattari.
Le portate principali ci sono state suggerite da Silvana, maître di sala. Cominciamo con una delle più rappresentative, ovvero il Baccalà cotto a bassa temperatura con salsa ponzu alla scapece, zucchine fritte e mandorle. Un insieme completo, che vanta un bel gioco di sapidità e consistenze a contrasto. Riuscito è anche il pairing con il 33/33/33, bianco di Vallisassoli che assembla vitigni autoctoni di Greco, Fiano e Coda di Volpe. A occuparsi della cantina è Salvatore Matarazzo, sommelier che ha selezionato le oltre 600 etichette presenti, con un occhio di riguardo verso i piccoli produttori locali e un’attenzione ai vini campani, in generale, per rimarcare il legame con la regione.
La successiva Frisella con gamberi di Mazara, pomodoro e Musetto, intinta in una salsa di anguria freschissima, è il “piatto dell’estate” per antonomasia: all’aspetto assomiglia a un prato colorato da fiori e ogni boccone alterna sapori di mare e di terra. Dalla selezione dei secondi, invece, arriva l’Astice alla brace che rivela una predilezione per le cotture dirette e semplici, senza così alterare il gusto, servito con frutti rossi, pinoli e della misticanza fresca. La pasticceria, a cura di Alessio Iodice, è ancorata agli stessi principi di essenzialità e purezza che contraddistinguono le portate salate. Un ottimo esempio di questo lavoro è la rivisitazione della Piña Colada da assaporare affondando il cucchiaio alla scoperta di una stratificazione di sapori esotici.