Quattro anni fa Giuseppe Lo Giudice e Alessandro Miocchi decidono di aprire insieme un ristorante a Roma. Sono due giovani cuochi sotto i trenta, con esperienze in importanti locali italiani e del mondo, e in comune hanno un sogno nel cassetto: creare qualcosa che non c’è. Sognano un ristorante di buona cucina: niente salti mortali o effetti speciali, solo ottimo cibo, materie prime uniche, grande tecnica e artigianalità. Nasce così il primo Retrobottega: un posto piacevole, semplice, con solo sedute alte e banconi, vagamente industriale nel décor, con muri a mattoni, legno e ferro grezzo. Il menu è scritto su una grande lavagna e cambia settimanalmente con qualche riferimento allo street food e alcune parentesi di fine dining.
Mentre tutto fila dritto – proprio come la coda in via della Stelletta di giorno in giorno più lunga – nessuno immagina che Retrobottega covi un rapido e importante cambio pelle. A due anni dall’apertura, alla fine del 2017, Giuseppe e Alessandro decidono di puntare più in alto riprogettando radicalmente Retrobottega. Il cardine chiave del nuovo ristorante resta la condivisione e il rapporto diretto con il commensale, ma lo spazio cambia: l’identità deve essere più chiara, il cliente deve sentirsi più a suo agio. La bottega di un gioielliere a fianco dell’ingresso del ristorante si libera e in modo istintivo viene deciso di affittare i locali e di iniziare un’intensa fase di riprogettazione. Tutto parte da un’analisi attenta sulla propria identità e una delicata ridefinizione dello spazio esistente attraverso il dialogo e la collaborazione con MORQ, uno studio di architettura con base a Roma e Perth, Australia.
MORQ propone un’atmosfera essenziale per dare una dignità nuova agli spazi, ora più grandi grazie ai 30 metri quadrati annessi, con un’impronta internaziocalmente tutti gli elementi decorativi e di puro arredo. Lo spazio a disposizione (complessivamente 125 mq) è poco, scavato tra le mura secolari di un antico palazzo del centro storico, tra vincoli e limiti strutturali. L’idea iniziale di un unico banco con sedute alte di fronte alla cucina è difficile da sviluppare, quindi viene creato un unico asse, una sorta di spina dorsale che attraversa l’intero locale, sul quale si sviluppano le cucine. Lungo questa spina, che è creata pensando a un’ottimizzazione delle linee di cucina e a una dinamica regolazione dei flussi di lavoro, si affacciano due social table da 10 posti e un banco da 6 sedute. Nuance di grigio generano un fondo monocromo degli spazi: pareti in resina, pavimento in cemento e soffitti storici e nuovi semplicemente dipinti. Piani in pietra (basalto) dalle differenti superfici e piani in acciaio offrono aree di appoggio per il personale in sala. Lo spazio in penombra viene attraversato da fasci di luce zenitale, progettata ad hoc per esaltare la cucina e le sue forme espresse nei piatti.
Il risultato è un effetto cocoon, avvolgente ma non travolgente, in cui l’accento è messo sul contenuto: la cucina e il commensale. Il cuore del ristorante ospita i due grandi chef table ingegnerizzati con cassetti nascosti e grandi piani in legno massello di noce canaletto (spessore 6 cm.), dove il rituale del mangiare e del condividere viene messo in atto e valorizzato. I dettagli del progetto sono stati realizzati in un’ottica davvero artigiana: le carte dei vini sono in pelle, i menu sono stati stampati su carta di cellulosa purissima in una storica tipografia del Ghetto e ogni foglio del menu è cucito a mano. Tra i piatti sono comparsi sassi e marmi, oggetti in lava e metallo, legno e pietra. Insieme a Magda Masano è nata una nuova linea di piatti di pietra lavica. Spiedi e posate alternative nascono da una collaborazione con Mind Lab, uno studio di gioielli romano. Il legno è stato interamente lavorato a mano da Angelo Miocchi, il padre di Alessandro. Anche io che scrivo ho collaborato al progetto, coordinando l’identity e l’immagine, sviluppando il laboratorio creativo nato intorno al nuovo Retrobottega. Per comporre un mosaico complesso come un ristorante ci vuole una sorta di “coach” che crei un’amalgama altrettanto complessa composta da comunicazione, coordinamento e soprattutto coerenza. Capirlo fa la differenza.
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