Un calo del lavoro intorno all’80%, provvedimenti – pur opportuni – in rapido divenire che rendono difficile organizzarsi e un generalizzato senso di impotenza e demoralizzazione che leva all’esperienza del cibo la sua parte più gioiosa e importante: la condivisione. Per questo, dopo iniziali tentativi di resistere e trovare soluzioni alternative (come il delivery, che per chi è attrezzato e abbastanza flessibile si sta rivelando una buona possibilità pur a fronte di qualche difficoltà logistica e delle tariffe esose dei servizi di consegna e ordinazione online), la ristorazione italiana di ogni tipologia si sta unendo in un’unica linea: quella del #iorestoacasa, chiudendo i propri locali e invitando i clienti a non uscire di casa per quanto possibile.
Nascono anche iniziative di solidarietà e raccolta fondi, o semplicemente di condivisione di ricette e momenti di “cucina dietro le quinte” per superare insieme il momento difficile con una delle poche occupazioni rimaste per i tanti che devono e possono restare tra le mura domestiche: cucinare. A preoccupare, però, oltre agli effetti del virus che si stanno rivelando più gravi e pervasivi del previsto, è soprattutto il futuro economico di un comparto che rappresentava uno dei pochi settori in crescita del nostro Paese, legato a doppio filo anche al turismo.
A dar voce ai tanti professionisti della ristorazione sono soprattutto le associazioni: gli Ambasciatori del Gusto, dopo l’appello del 25 febbraio e il lancio della campagna #fareRETE – che ha raccolto anche l’adesione di altre associazioni come JRE e CHIC – per stimolare la responsabilità sociale del settore e il rispetto delle indicazioni istituzionali, hanno avviato un dialogo diretto con il Governo e con gli enti locali che inizia a dare i primi frutti. La Regione Lombardia – l’area al momento più colpita, con un calo del lavoro generalizzato dell’80-90% circa in tutto il comparto dell’accoglienza e dell’ospitalità come racconta lo chef meneghino Cesare Battisti, Segretario Generale dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto – ha infatti annunciato lo stanziamento di 135 milioni di euro per far fronte alla crisi del settore che conta nel nostro paese 330.000 attività ristorative che generano più di 1 miliardo di entrate di tasse statali.
Battisti, a nome dell’associazione, auspica però dopo i recenti incontri con il Ministro dell’Ambiente e con il Presidente del Consiglio, misure più ampie: “La situazione che stiamo vivendo non è da sottovalutare. La ristorazione, in Veneto e Lombardia ma dalle ultime notizie anche in altre regioni, rischia seriamente un default. Noi Ambasciatori del Gusto siamo stati i primi a portare l’attenzione su questo problema, con richieste specifiche e concrete che sono già nelle mani dei Ministri competenti, dei Presidenti di Regione oltre che del Presidente del Consiglio. Nello specifico chiediamo l’estensione del Fondo di Integrazioni Salariali al nostro settore, un accesso al credito diretto, urgente e a tasso zero, la sospensione dell’obbligo su adempimenti fiscali come ad esempio gli F24 per almeno 6 mesi, da spalmare sulle prossime annualità”.
Sono nate o proseguono anche altre iniziative a carattere regionale, soprattutto virtuali vista la situazione. “Ristoratori toscani” è il nome di un gruppo Facebook già molto numeroso, nato a Firenze e presto estesosi a tutta la regione, per invitare a chiudere tutti i locali allo scopo di contenere l’avanzata del virus e richiedere misure economiche – dalla sospensione di tutti i contributi, oneri e tributi fiscali alla mediazione pubblica in una trattativa con i proprietari dei fondi per sospendere il pagamento degli affitti e una moratoria per mutui e finanziamenti da parte degli istituiti bancari – per fronteggiare i mancati guadagni e le spese affrontate. In Campania è invece nata l’Unione dei Brand Ristorazione Napoletana che ha raggruppato oltre 150 insegne nella decisione comune di chiudere volontariamente dopo il decreto dell’8 marzo.
Intanto il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali rende noto che la ministra Teresa Bellanova ha inviato alla Conferenza Stato-Regioni il decreto ministeriale con cui si autorizzano le imprese agricole a ricevere un’anticipazione sulle somme dovute nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla Politica Agricola Comunitaria (PAC) per l’anno 2020, per garantire liquidità e fronteggiare una situazione di crisi che era già in atto e che naturalmente risulta molto aggravata dalla situazione.
Coldiretti, dal canto suo, ha deciso per la chiusura volontaria degli agriturismi affiliati per due settimane e – dopo aver lanciato la campagna #mangiaitaliano – ricorda quanto siano fondamentali il lavoro di 740 mila aziende agricole e stalle, 70 mila imprese di lavorazione alimentare e la rete di distribuzione tra negozi, supermercati, discount e mercati contadini di Campagna Amica, che conta 7550 fattorie.
Un settore, quello dell’agroalimentare, che non si ferma, per garantire l’approvvigionamento di cibo a tutti gli italiani, ma che va incontro a notevoli difficoltà: dall’utilizzo del latte in surplus – dovuto, ad esempio, dalla minore richiesta di Mozzarella di Bufala Campana Dop, il cui disciplinare non prevede il congelamento, da parte di ristoranti e pizzerie – alla mancanza di manodopera stagionale per la raccolta di frutta e verdura: più di ¼ del Made in Italy ortofrutticolo, infatti, viene raccolto nelle campagne da mani straniere con 370mila lavoratori regolari che arrivano ogni anno dall’estero. Per questo, il presidente della Coldiretti Ettore Prandini ha richiesto una “radicale semplificazione del voucher “agricolo” che possa consentire da parte di studenti e pensionati italiani lo svolgimento dei lavori nelle campagne dove mancano i braccianti stranieri anche per effetto delle misure cautelative adottate a seguito dell’emergenza coronavirus da alcuni Paesi europei, dalla Romania alla Polonia fino alla Bulgaria”.
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