Si è fatta notare per la sua bravura, per le sue buonissime pizze e per il carattere solare, deciso e mai arrogante: alla base del successo di Roberta Esposito ci sono tanto lavoro, una dedizione che la porta a migliorarsi sempre e una “storia di famiglia” piuttosto insolita, che non affonda le radici in lunghe tradizioni fatte di generazioni e generazioni ma di una non comune passione per la cucina e la gastronomia che a un certo punto ne ha rivoluzionato la vita.
Roberta è nata ad Aversa, in provincia di Caserta, trentotto anni fa. La mamma, la napoletana Luciana Pietragalla, lavorava come promotrice finanziaria mentre il padre, Walter Esposito (toscano, ma il cognome ne tradisce le origini partenopee) in banca. Entrambi, però, adoravano cucinare – invitando spesso a cena con nonchalance anche oltre cinquanta ospiti – e andare in giro per ristoranti, portando con sé i figli: oltre a Roberta, ci sono Raffaella (la maggiore) e Alessio, il più piccolo con i suoi trent’anni ancora da compiere, che da quando ne ha ventiquattro è in cucina e oggi è affiancato da uno chef di grande esperienza per alzare ancor più l’asticella.
Venticinque anni fa, infatti, Walter e Luciana decidono di rilevare La Contrada, un ristorante di Aversa che frequentavano da clienti e che cercava una nuova gestione, e la routine della famiglia all’improvviso cambia: «Avevo tredici anni, era una novità stimolante ma ci sono state delle volte in cui ho pensato: “ma chi me l’ha fatto fare?”. Però il senso di responsabilità verso un progetto in cui sono praticamente nata è stato più forte. Spesso mi trovavo ad andare lì all’apertura, alle sei del pomeriggio, portandomi i libri per studiare, e il sabato sera davo una mano come pure mia sorella che stava in sala, mentre mio fratello era ancora piccolo», ricorda Roberta. Un impegno non da poco, che però ha dato i suoi frutti: oggi le sue pizze hanno fatto conoscere il locale in tutta Italia, e la cucina di Alessio non è da meno. Raffaella si è laureata e ha messo su famiglia, ma continua a occuparsi dei dolci e spesso nel fine settimana è presente in sala, la signora Luciana è alla cassa e il signor Walter gestisce le forniture e gli ordini dei vini, di cui è un grande conoscitore. A completare la squadra il maître Gaetano Ricciardiello, che lavora alla Contrada da quando aveva diciott’anni ed è ormai entrato a far parte della famiglia a tutti gli effetti.
Anche la decisione di proporre la pizza, accanto alla cucina, fu del padre di Roberta, pure se a quel tempo la grande attenzione per questo prodotto era ancora ben lontana dall’arrivare. «Mentre lo chef c’era già, dalla gestione precedente, assumemmo un giovane pizzaiolo molto gentile che mi lasciava stare accanto a lui al forno, dove d’istinto mi trovavo sempre. Iniziò a chiedermi di guardare le pizze mentre cuocevano, poi mano a mano a sfornarle. Ho cominciato dal forno, come si faceva una volta, e poi mi sono avvicinata agli impasti, così finii per farmi da me le pizze che poi mangiavo. Nel frattempo avevo iniziato a lavorare in sala ma se c’era bisogno davo volentieri una mano al banco. Fino a che un sabato lui ebbe un problema e mi trovai ad affrontare la serata da sola: avevo ventisette anni, la mia carriera è iniziata così!».
Non del tutto soddisfatta del prodotto, Roberta si è messa a studiare e sperimentare, soprattutto per conoscere meglio farine e impasti, introducendo ad esempio l’utilizzo di farine di tipo 1 e impasti integrali o multicereali che all’epoca, soprattutto in ambito napoletano, erano una rarità. «Ho fatto mio un concetto di pizza che piaceva prima di tutto a me, e che fosse adatta a La Contrada. Eravamo prima di tutto un ristorante, la pizza accompagnava la cucina e volevo proporre ai clienti un’esperienza un po’ diversa dal solito, magari anche con delle pizze da mettere al centro affiancando i piatti. È stato anche un modo per educare la clientela a un approccio differente, prima ancora del grande boom della pizza». Oggi, racconta, a La Contrada c’è un bell’equilibrio tra pizza e cucina – anche se la “quota” della prima è decisamente aumentata, e soprattutto nel weekend diventa protagonista arrivando a sfornarne anche oltre 1500 a settimana – e una buona sintonia tra lei, Alessio e lo chef: «Spesso ci confrontiamo sui topping, che è un aspetto su cui a me piace molto lavorare ma in cui l’apporto della tecnica può fare la differenza. Si è creato equilibrio naturale, di alcune cose ho deciso di prendermi io la responsabilità ma c’è grande accordo, remiamo tutti nella stessa direzione».
Così le sue soddisfazioni sono condivise da tutta la famiglia, dai premi ricevuti alle pizze più apprezzate dai clienti: la Scarola in crosta (un calzone “a grotta” farcito con scarola saltata alla napoletana, cucuncio e terra di olive nere), che fu la sua prima pizza, è un cavallo di battaglia che non può togliere dal menu; la Baccalà in cassuola (una sorta di “puttanesca”, con filetto di pomodoro San Marzano, baccalà fritto, burrata, olive e cucunci) richiama le origini del locale, che proponeva un menu tutto incentrato su questo pesce, e le tradizioni del territorio ma interpretate in modo nuovo. Mentre la Summer Light – dove il baccalà incontra provola, cucunci, hummus di ceci, rosti di patate e zest di limone – le è valso il premio come Pizza dell’Anno per la guida Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso 2022, ed è richiestissima.
Di certo, un ruolo importante lo gioca il carattere di Roberta: determinata, sorridente ma con i piedi per terra. «Io ho sempre fatto sport, ho una bella resistenza, ma è vero che questo non è un lavoro per tutti. Fisicamente richiede un grande impegno, è certamente alla portata delle donne ma solo se alla base c’è una forte volontà. Non ho invece mai avuto problemi con i miei colleghi, che hanno sempre avuto parole carine verso di me: la competizione tra pizzaioli è abbastanza inutile perché ognuno di noi fa un prodotto a sé, c’è spazio per tutti. Magari mi è capitato che qualche collaboratore, inizialmente, fosse restio ad avere un “capo” donna ma quasi sempre poi hanno capito e abbracciato il progetto».
Lei, intanto, resta concentrata sul suo percorso: «Mi è stato proposto di aprire altrove, a Napoli per esempio; ma per il momento mi concentro sul locale di famiglia, lo stiamo rimettendo a nuovo un po’ alla volta. Poi magari penserò ad altro, mi piacerebbe portare a Milano la mia idea di pizza. Vedremo».