Il viaggio da Trieste a Dolegna del Collio, che costeggia prima il blu dell’Adriatico e poi il verde di vigne e campi lasciandosi alle spalle luoghi di memoria bellica e il corso dell’Isonzo, dura poco più di un’ora. Eppure l’impressione, una volta giunti al casolare in pietra con le finestre rosse su una collina di Lonzano, è quella di essere arrivati ben più lontano, al confine non solo con la Slovenia – lì a portata di vista – ma con mille altri mondi, non per forza del tutto reali.
Impressione confermata quando si viene accolti da Fares Issa, trentasettenne cuoco-manager siriano (lo avevamo già incontrato nella campagna viterbese, al Giardino Segreto) che dopo un anno da queste parti ha già qualche inflessione friulana nel suo italiano impeccabile e una conoscenza approfondita di prodotti e tradizioni locali, frutto di una ricerca ininterrotta facilitata dai mesi di chiusura forzata e dal suo spirito da ricercatore gastro-antropologico col sorriso aperto e una canzone sempre a fil di labbra. D’altronde lui racconta che, quando in un giorno d’ottobre è arrivato la prima volta a Ronchi Rò – l’azienda agrituristica avviata qualche anno fa dalla famiglia Pacorini, imprenditori triestini appassionati al bello e al buono, con cinque camere e un ristorante oltre alla sala col fogolar –, ad accoglierlo è stato il vorticare quasi magico delle foglie gialle di un tiglio avvolte da un mulinello di vento, come un abbraccio della natura che diceva: “resta”.
E così è stato, dopo una pausa forzata dai fornelli causa pandemia, tanto che oggi è lui l’anima/factotum dell’azienda, ben oltre la cucina: dal nuovo impulso alla produzione di vino – dalle uve di sauvignon e friulano che arrivano dai due ettari di vigneto antistante al casale, allevate con l’antico sistema a doppio arco detto cappuccina e in conversione al biologico, e lavorate con l’ausilio dell’agronomo friulano Alberto Faggiani e dell’enologo piemontese Erika Barbieri, coppia che sta pure dietro agli ottimi vini della vicina Tenuta Stella – fino al menu che omaggia e riscopre (senza vincoli) il territorio. E alla filosofia di accoglienza che va ben oltre il ristorante, e di certo pure l’agriturismo in senso classico, diventando una full immersion atipica nello spirito friulano.
I Pacorini, soci pure del Giardino Segreto, avevano già conosciuto e apprezzato le doti culinarie di Fares e l’hanno chiamato per ripensare questo luogo troppo bello per abbandonarlo a una gestione anonima o a una proposta dozzinale, lasciandogli carta bianca. Lui si è trasferito armi e bagagli, chitarra compresa – e soprattutto con la compagnia (che resta spesso l’unica, nei giorni infrasettimanali di bassa stagione) del fido cocker spaniel Kilt, cui si è aggiunto il cucciolo Mac – e si è messo al lavoro, mettendo a frutto i suoi studi in ingegneria e la sua attitudine all’organizzazione e perlustrando i campi limitrofi in cerca di erbe selvatiche e le case e trattorie della zona per conoscere una tradizione che non gli apparteneva, libero di reinventarla una volta fatte proprie le basi (e appurato che, come spesso avviene nelle regioni d’Italia, non esiste mai una versione univoca di ricette che variano di famiglia in famiglia).
E, soprattutto, intessendo relazioni: «L’idea è di creare una rete di contatti ed esperienze, per arricchire il soggiorno di chi è nostro ospite e far crescere il territorio, senza interessi economici da parte nostra. Il nostro sogno è dare suono e colore al silenzio, trasmettere all’avventore la voce del Collio», racconta Fares descrivendo quella che potrebbe sembrare un’utopia, soprattutto considerando che lui è “straniero” in una terra tradizionalmente chiusa per quanto di frontiera. Se non fosse che è già in parte realizzata: le arnie nel bosco sono curate da un apicoltore locale che è a disposizione degli ospiti più coraggiosi per far vedere da vicino le api al lavoro, si possono prenotare massaggi, passeggiate ed escursioni – anche a cavallo – con guide e attività locali, mentre alcuni giorni a settimana Ronchi Rò accoglie i ragazzi con difficoltà di una cooperativa locale, insegnando loro i mestieri della campagna, della cucina e dell’ospitalità. Il prossimo passo – che vedrà anche la collaborazione di Lorenzo Marcelli, giovane cuoco di Terni che ha già affiancato Issa nell’esperienza viterbese – sarà quella de Il Cerchio Rosso, una cantina-vetrina conviviale del territorio, dove gli ospiti potranno assaggiare molti dei vini locali e saranno invitati poi a visitare le singole aziende.
Quanto agli ingredienti del ristorante, naturalmente, provengono da piccole realtà locali o regionali, tra nomi già noti – come lo strepitoso prosciutto affumicato di D’Osvaldo o i formaggi dell’azienda Zoff – e piccole chicche da scoprire, come i salumi d’oca dell’agriturismo Tina (a San Giorgio della Richinvelda), la lonza e il guanciale di Pividori (a Pagnacco) e la varhackara – godurioso e intenso impasto di lardo bianco, speck, pancetta affumicata ed erbe aromatiche, da spalmare sui crostini – dell’agriturismo Al Borg di Paluzza, che compongono insieme ad altri buonissimi assaggi la “Selezione del territorio” con cui far iniziare la cena, magari davanti al fogolar acceso, in alternativa a piatti come la Rosa di Gorizia con uovo poché, fagioli borlotti e farina di fricis (pancetta di maiale locale) o la quaglia con polenta e frutta, in base alla stagione.
Il menu – realizzato in una carta speciale con i semi del sovescio, da portare con sé e piantare per un ricordo fiorito dell’esperienza, in piena coerenza con un approccio sostenibile che ha bandito la plastica e usa solo acqua corrente – prosegue con piatti come il Toc in braide con animelle, la Pasta fresca (tipo grattoni) con trota di San Daniele e aglio di Resia (cui l’aggiunta del pesto di aglio, aglio orsino e noci da un inatteso aroma tartufato) o l’elegante Zuppa di fieno e topinambur con lumache ed erbe. E ancora, con la Tartara di manza e radic di mont – dove domina il sapore unico di questo piccolo e raro radicchio che si raccoglie solo in alta montagna allo sciogliersi della neve – o con il Salàm tal aset, che rende il senso del lavoro di rilettura di Fares: «Si tratta di una preparazione tradizionale ma non particolarmente elegante, che si faceva una volta per coprire con l’aceto eventuali sentori sgradevoli di un salame venuto male», spiega, mentre lui manda in tavola un robusto parallelepipedo di maiale su una gustosa soupe d’oignons alla francese e una foglia di acetosa a ricordare la nota acidula dell’aceto. Come pure nel dessert La gubana ma come crostata, che dà un’inedita texture friabile al classico dolce friulano: «Ho mangiato gubana tutti i giorni per tre mesi, fino a non poterne più», racconta lo chef. «Poi ho preso tutti gli ingredienti e li ho combinati in un modo diverso».
Ma per chi vuole, oltre alla colazione con dolci, yogurt, confetture o uova, c’è un altro tassello gastronomico che vale la pena aggiungere all’esperienza da Ronchi Rò: quella della cucina “outdoor”, su prenotazione, che coinvolge gli ospiti in maniera attiva e dà al tempo stesso l’opportunità di fare un po’ di movimento e perlustrare i dintorni – andando ad esempio a raccogliere le foglie d’aglio orsino sulla riva del ruscello che scorre a poca distanza, o mangiando nel bosco: a chi porta il bottino più gramo tocca portare l’occorrente fino a destinazione –, di vedere Fares pure nella veste di taglialegna e di mangiare un portentoso pollo tandoori (cotto nell’apposito forno, e speziato alla perfezione) accompagnato dalle deliziose patate in tecia con l’aggiunta profumata delle foglie di aglio orsino e dei succhi di cottura del pollo, cotte sulla torcia svedese (un “fornello naturale” ricavato da un grosso tronco intagliato e acceso.
Così i confini svaniscono, e l’incanto è assicurato.
[ngg src=”galleries” ids=”13″ display=”basic_slideshow”]