Pescoso, pulitissimo, cangiante nei suoi colori che restano impressi a fuoco nella memoria, il mare delle Eolie è «un abbraccio profondo». Martina Caruso lo osserva tutti i giorni, se ne nutre con gli occhi anche quando non ci si può tuffare, perché impegnata con i lunghi turni di servizio al suo ristorante di Malfa, a Salina (l’isola verde dell’arcipelago siciliano), custodito nel boutique hotel di famiglia che è diventato una destinazione nella destinazione grazie al suo fascino e all’offerta enogastronomica. E si ricorda di quando da piccola, a ora di pranzo, scendeva in spiaggia (per modo di dire, ché qui sono i sassi e i ciottoli a dettar legge) con il papà Michele. E pure di quando, la sera, arrivavano le barche in porto, colme di totani. Oggi pescoso lo è un po’ meno perché, dai e dai, anche il più generoso dei mari si ritrae. Se ne sono accorti gli ospiti del Signum, quelli dotati di maschera e boccaglio che si aspetterebbero un mondo sottomarino in technicolor e rimangono un po’ delusi.
«Non c’è più il pesce di una volta – conferma la chef – ma speriamo davvero che possa concretizzarsi il progetto dell’Area Marina Protetta, di cui siamo promotori. Purtroppo, anche tra i pescatori, non tutti sono favorevoli. Servirà un lavoro di sensibilizzazione per far capire che fare qualche sacrificio oggi vorrà dire garantire un futuro migliore per tutti. È fondamentale preservare la biodiversità e tutelare il nostro mare per consentirne anche il ripopolamento». Di questo progetto si parla da anni e oggi in prima linea c’è proprio il sindaco di Malfa, Clara Rametta, mamma di Martina e del fratello Luca, direttore del Signum e custode della ricca e sorprendente cantina. Qui la Caruso – vincitrice del Premio Michelin Chef Donna 2019 by Veuve Clicquot – è autrice di una cucina della memoria, etica, istintiva e personalissima, che poggia su quanto arriva dalle barche dei pescatori locali della Cooperativa di Lipari, ognuno specializzato in un tipo di pesca.
«Preferiamo l’alalunga e la palamita al tonno rosso, che spesso arriva in porto senza essere registrato. Noi usiamo molto l’abbattitore e il sottovuoto – prosegue – in modo da rispettare le stagioni. Ogni pesce va pescato nel periodo giusto: il tombarello a settembre, l’aguglia solo nei mesi estivi, l’opa (ovvero la boga, ndr) a marzo. A maggio mi portano “secchiate” di scorfani. Noi li prendiamo tutti, li puliamo, li congeliamo e li consumiamo durante tutta la stagione. È ovvio che non c’è niente di meglio del pesce comprato e mangiato fresco ma non sempre è possibile nell’organizzazione di un ristorante che voglia davvero dirsi sostenibile. In fondo congelare il pesce è l’equivalente della conserva che si faceva in passato. A Filicudi e Alicudi era consuetudine, trent’anni fa, conservare i totani e le alici con l’essicazione e la salagione e poi utilizzarli nei brodi». A proposito: la passione di Martina con il neo marito Simone, veterinario catanese (i due si sono sposati lo scorso 8 maggio), è proprio quella di andare a pesca e di sperimentare – come hanno fatto lungo tutto l’inverno – i migliori brodi.
C’è un pesce che più di altri rappresenta in questo momento la filosofia culinaria della chef eoliana. È la murena, specie bistrattata dai ristoranti ma che invece era tradizionalmente presente sulle tavole dei pescatori e che si mangia ancora in molte case del luogo, soprattutto fritta a tranci. «È un pesce pienissimo di spine e serve tanta pazienza per pulirlo. Spesso, quando entra nella rete, viene poi purtroppo buttato. Così ho deciso di utilizzarlo e all’inizio i pescatori restavano stupiti e mi chiede- vano cosa pensavo di farne. Ha un sapore molto delicato ma persistente. È grasso e lo uso con tutta la pelle per fare il brodo, che viene gelatinoso». La chef ha condiviso con noi una ricetta semplice, una murena alla brace con una specie di salmoriglio che ricorda proprio i sapori di casa e i pranzi dei pescatori. Al ristorante, durante questa stagione estiva, sarà in carta la nuova versione 2.0 con brodo gelatinoso e finocchietto di mare.
Altra ricetta da replicare a casa (disponibile sul nostro sito) è quella dei mezzi paccheri con totano, Tuma Persa e bieta croccante. Sempre secondo il mantra del “non si butta via niente” viene preparata una salsa scura e forte con il nero e le interiora mentre con le altre parti si fa un brodo di totano con cui si manteca la pasta insieme a questo formaggio singolare, salvato – anche grazie a una campagna social – dall’oblio.
A introdurre il nuovo menu sarà quello che è ormai un must irresistibile: la bagna cauda con ricci di mare. Tra gli altri piatti ecco la ricciola cruda con colatura di alici e olio alle erbe e, naturalmente, un brodo di pesce con spaghetti spezzettati, pomodoro, mandorle ed erbe aromatiche fresche. Inedito è anche il percorso degustazione interamente vegetariano che valorizza i profumatissimi prodotti dell’orto di proprietà di 4mila metri quadrati (diviso tra l’appezzamento sotto le nuove suite e altri dietro la chiesa di San Lorenzo). «È fondamentale far conoscere ingredienti, specie e sapori diversi – conclude la Caruso – perché i clienti spesso non sono ancora così consapevoli di quello che mangiano. Sta a noi puntare sulla sostenibilità delle catture, rispettare i cicli di riproduzione e fare corretta informazione».