DURANTE I LAVORI DI SCAVO per costruire la tenuta di Venissa Matteo Bisol ha trovato una bottiglietta di plastica sopra cui c’era ancora il prezzo in lire. È stato uno dei primi, e più importanti, momenti di consapevolezza del lavoro che lui e la sua famiglia si stavano apprestando a fare sull’isola di Mazzorbo: «Venissa nasce con un preciso intento di recupero agricolo in un ambiente, quello della Venezia lagunare, in cui “sostenibilità” vuole dire essenzialmente mantenimento e adattamento al territorio», mi spiega Bisol. «Qui è sempre stato l’uomo ad adattarsi alla Laguna e non viceversa. Mazzorbo è sempre stata legata alla terra, un’isola di contadini, mentre la vicina Burano era legata all’acqua, un’isola di pescatori».
Nel 2006 la famiglia Bisol ha preso in mano una tenuta cinquecentesca sull’isola di Mazzorbo, costruendoci un vigneto, un’osteria e un ristorante, ora gestiti da Chiara Pavan e Francesco Brutto, e una locanda con le stanze (alle quali si sono aggiunte quelle del progetto di ospitalità diffusa sull’isola di Burano). Le materie prime sono prevalentemente lagunari, comprese verdure ed erbe che provengono dagli orti “salsi”, all’interno delle mura di Venissa. Pavan ha deciso di togliere completamente la carne dalla carta: il menu degustazione di Venissa è prevalentemente vegetariano, con qualche portata di pesce. Definisce la sua una “cucina ambientale” nel duplice senso del termine: nel legame tra i piatti e la Laguna, ma anche e soprattutto nell’attenzione ad autoproduzione, approvvigionamento di prossimità e riduzione degli sprechi. Se c’è un luogo che più di ogni altro ci ricorda quanto il cambiamento climatico sia reale, tangibile e soprattutto preoccupante, è Venezia. In questi ultimi anni la città ha subito maree disastrose — come quella del 2019 — e una rivoluzione totale dell’ecosistema della Laguna.
Quando si parla di pesce la questione si fa particolarmente complicata: «Il vero problema è che non si può parlare di pesca sostenibile in senso assoluto», spiega Pavan. «Non sempre continuare la tradizione in maniera acritica, ad esempio pescando i pesci sotto-taglia, è la scelta migliore». Per il pesce si riforniscono sia dalla Laguna che dall’Alto Adriatico. Uno dei loro fornitori di fiducia è Andrea Rossi, quarta generazione di pescatori a Burano, che mi racconta del peggioramento della situazione in Laguna: «Faccio questo mestiere da 36 anni. Ma è negli ultimi tempi che è cambiato tutto. L’acqua della laguna è più salata: se prima la proporzione con l’acqua dolce era circa 70-30, ora è 85-15. Abbiamo perso diverse specie di pesci, come il gambero grigio, la passera, le acquatelle, buona parte delle anguille. E ne sono arrivate altre come il tonno rosso o le orate: una volta se prendevi un’orata era un avvenimento tale che la riservavi per le personalità importanti, come il sindaco, ora sono in maggior numero che i branzini». Il problema non è solo l’inquinamento causato da crociere e imbarcazioni turistiche, ma sono anche il cambio delle correnti del Mose, l’innalzamento delle temperature e gli appassionati di pesca sportiva, che non rispettano le quantità massime di pescato a loro assegnate. E così finisce per esserci meno pesce — e parecchio diverso da quello che ha sempre popolato la Laguna: «L’altro giorno ho trovato una piovra. Qualche tempo fa un barracuda. Cosa c’entrano con Venezia?».
In un ecosistema così peculiare e in continuo cambiamento il concetto di sostenibilità non può essere l’unica bussola del lavoro di Pavan e Brutto. Si tratta anche di «presentare le tradizioni e la cultura lagunari e farle conoscere meglio». Come nel caso dell’Anguilla sull’Ara, un piatto dell’Osteria di Venissa che riprende un’antica preparazione veneziana: l’anguilla viene cotta sull’alloro, come una volta si faceva nelle fornaci spente delle vetrerie, poi glassata con salsa al miele di barena (le terre emerse nella Laguna). Mentre a fianco del ristorante c’è un piccolo laboratorio, il regno di Brutto tutto dedicato alle fermentazioni, dove sperimenta tra kefir, miso e altre preparazioni improntate al tempo, alle mu e, ai lieviti e ai batteri. Sugli scaffali si impilano barattoli su barattoli di garum con diversi tipi di pesce: ombrina, sarde, alici, scorfano. «Il garum è una base per quasi ogni nostra prepara- zione», spiega. «La cosa bella è che per usarlo devi aspettare qualche anno. È un modo per proiettarsi in avanti e acquisire una visione della propria cucina nel futuro». Queste preparazioni servono anche a trattare e utilizzare il pesce più “ostico”. Quello dell’Alto Adriatico è molto più salato di quello della Laguna e specialmente i pesci più grandi, con un’alta concentrazione salina, si prestano a questo e altri esperimenti, come la frollatura di un paio settimane per rendere la carne più morbida e trattabile. Nello stesso laboratorio vengono fatti esperimenti ancora più particolari, come lo shiokara di interiora di calamaro e Parmigiano o il katsuobushi di tonno.
Fino a qualche decennio fa per andare da Mazzorbo alla città ci volevano circa quattro ore di barca a remi. La Laguna era un mondo a sé. Ora invece il mondo è arrivato a Venezia e le conseguenze si vedono anche qui, nel silenzio rarefatto delle isole. Visitare Venissa è un viaggio nella straordinaria biodiversità lagunare e allo stesso tempo un monito, a ricordarci quanto sia terribilmente delicata e fragile la bellezza veneziana.