“Gli irlandesi sono nati per emigrare. O nel resto del mondo non ci sarebbero i pub“. Alla fine dello scorso febbraio, è arrivato nei cinema italiani Belfast, pellicola ampiamente autobiografica del regista Kenneth Branagh, da cui è tratta la battuta, amara, sopracitata. Nella vita di tutti i giorni sull’isola verde, così come in Gran Bretagna, i pub ricoprono un ruolo centrale: templi laici dedicati alla socializzazione ancor prima che al consumo di bevande alcoliche. A far diventare un villaggio, quello che altrimenti sarebbe solo un gruppo di case, è proprio la presenza di un pub. E di una chiesa, certo. Nel corso di oltre un millennio di storia (il più antico è lo Seáns Bar di Athlone, nella contea di Westmeath, fondato nel X secolo), i pub irlandesi hanno inevitabilmente mutato il loro essere; se si ha la fortuna di frequentare qualche bancone delle aree meno turistiche del paese, facilmente si può notare un “ambiente” diverso rispetto ai locali, ad esempio, di Temple Bar a Dublino.
Dicevamo del ruolo dell’emigrazione: come noi italiani abbiamo aperto pizzerie ovunque, gli irlandesi hanno esportato il loro concetto più tipico di ristorazione, a beneficio prima di tutto dei connazionali espatriati. Anche in Italia, gli Irish Pub più autentici, sono tuttora punto di ritrovo delle comunità di “expats” che vivono nelle nostre grandi città. La prima insegna di Roma è quella del Fiddler’s Elbow che, dal 1976, rappresenta un’enclave irlandese nel rione Monti e ospita spesso sessioni di musica tradizionale dal vivo. Non distante c’è pure il Finnegan, dove abitualmente si trasmettono i match degli sport gaelici e le partite del Celtic Football Club.
Durante gli anni Novanta del secolo scorso, in Italia si è assistito a un incredibile aumento di interesse nei confronti della cultura irlandese, e celtica più in generale, grazie anche al successo di alcune rock band, U2 e Cranberries su tutti. Contemporaneamente decine di Irish Pub hanno aperto i battenti, supportati più o meno direttamente dalla Guinness, a cui va riconosciuto il merito di aver spezzato il monopolio delle lager industriali nel nostro paese. Il gigante birrario, fondato da Arthur McGuinness nel 1759, è famoso infatti per la sua Dry Stout: birra scura, dai sentori torrefatti, spillata con carboazoto, gas che le conferisce l’iconica schiuma pannosa e divenuta praticamente sinonimo di birra irlandese. In realtà, esiste anche un altro stile nato in Irlanda, ed è quello delle Irish Red Ale: ramate come le English Bitter ma meno amare.
Le celebrazioni in onore del patrono dell’isola – San Patrizio – ricorrono il 17 marzo e, al di là dei riti religiosi e delle carnevalesche parate che si tengono per le strade in ogni angolo dell’isola, in quel giorno dalle spine degli Irish Pub di tutto il mondo scorrono fiumi di birra. Sono molti i birrifici italiani a rendere omaggio all’Irlanda, con interpretazioni più o meno pedisseque degli stili prima menzionati, ma anche con richiami evidenti nelle etichette. Ecco alcuni suggerimenti per brindare al Saint Patrick’s Day con una pinta artigianale italiana.
Aran – Birrificio Argo
Una delle Irish Stout italiane più fedeli allo stile. Il richiamo nel nome è all’arcipelago atlantico nella baia di Galway, che affascinò il documentarista americano Robert J. Flaherty. Suo il leggendario film del 1934, “L’uomo di Aran”: la storia di una famiglia che abita su una delle isole e della lotta quotidiana con la natura impervia del luogo.
Gallagher Stout – Hilltop Brewery
Il nome di questa birra non è un omaggio ai fratelli degli Oasis. Oltre che di Noel e Liam, Gallagher è il cognome di Conor, birraio di Hilltop (Bassano Romano, Viterbo), che alle sue radici irlandesi ha dedicato questa stout atipica, realizzata con alghe affumicate – la Palmaria palmata chiamata comunemente Dulse. Particolarmente diffusa nella contea di Antrim (dove si trova il Giant’s Causeway, l’incredibile Selciato del Gigante), la Dulse fu largamente consumata come alimento in passato, specie durante la Grande Carestia (1845 – 1849) ed è protagonista nella Ould Lammas Fair, festa di fine estate che si tiene dal XVII secolo negli ultimi giorni di agosto.
Jinky – Hoopsbeer
“More than a club” è uno degli slogan del Celtic Football Club, la squadra della comunità cattolica e irlandese di Glasgow. In effetti è difficile riassumere in poche righe cosa rappresenti questo club, da un punto di vista sportivo ma soprattutto politico e sociale, per gli immigrati irlandesi di Scozia e di tutto il mondo. Massimo Zacchi vive in provincia di Varese, ma è talmente tifoso del Celtic da avergli dedicato il suo progetto birrario. Hoopsbeer è il nome della “beer firm” che omaggia la maglia a cerchi (hoops) dei biancoverdi. Due le birre in linea, tra cui la Jinky: una Smoked Ale dedicata a Jimmy Johnstone, fuoriclasse che contribuì a portare il Celtic a vincere la Coppa dei Campioni nel 1967, prima squadra del Regno Unito a diventare campione d’Europa.
Spancil hill – Shire Brewing
Spancil Hill è il titolo di una ballata popolare del diciannovesimo secolo. L’autore, originario di quel luogo, canta da emigrato in California desideroso di tornare nella contea di Clare, dove sono rimasti gli amici e il suo amore. Una delle versioni più struggenti è quella dei Wolfe Tones, gruppo folk che interpreta prevalentemente il repertorio delle cosiddette “rebel songs” repubblicane. La birra in questione è prodotta da Shire Brewing, birrificio di Pomezia, ed è una stout molto classica.
Mora Oyster Stout – Eternal City Brewing
I ragazzi del birrificio romano Eternal City Brewing hanno regolarmente in linea la Mora, una Oatmeal Stout (ovvero prodotta con una percentuale di avena tra i cereali utilizzati). Una volta all’anno cambiano la ricetta in vista di San Patrizio e la trasformano in una Oyster Stout, aggiungendo dunque ostriche in bollitura, che donano sentori sapidi e minerali. Si tratta di uno stile birrario nato intorno al 1929 e che prende spunto dall’abbinamento tradizionale tra molluschi e birra scura, tuttora molto in voga in Irlanda.
Morrigan – Birrificio del Vulture
Riferimenti alla mitologia celtica nell’etichetta di questa Irish Stout, prodotta dai lucani del Birrificio del Vulture in collaborazione con il Wild Rover, pub di Manzolino (MO). An Mórrígan, letteralmente significa “grande regina” ed è una delle più importanti divinità irlandesi, associata alla guerra e al destino, raffigurata con un manto di piume nere, se non addirittura con le sembianze di corvo. Tonalità scure che richiamano inevitabilmente alla birra in questione.