Quando entri da Santí non guardi bene i metri quadri, ma sai che ti stai sedendo in un ristorante che è tutto raccolto in un ambiente contenuto da diciotto posti a sedere su quattro tavoli e altri sei sul bancone affacciato tra sala e cucina. Eppure, non senti mai la pressione addosso. Lo stile è contemporaneo e gioca con il ferro e il legno (niente di originale, chiaro) ma ben si armonizza nello spazio dove si muovono in totale cinque persone: Alessandro, Adriano, Luca e Pablo dietro il banco, e Roberta a fare da unica ambasciatrice della sala e di un buon servizio.
Due cose su tutte colpiscono subito (dettagli che ritornano anche alla fine dell’esperienza): la totale mancanza di odori a ridosso di una cucina e nessun brusio, tipico di una sala condivisa da famiglie. Poi viene il menu, che recita “Tradizione Contadina” e, senza essere particolarmente attratti dagli slogan, ci si accorge subito di essere in un buon posto quando su quindici piatti in carta almeno dieci incuriosiscono. Primi, Carni, Dispensa, Orto e Dolci raccontano di una cucina semplice che a mangiarla bene non è mai così semplice, ma il Pane e Quinto Quarto con le rigaje di animali da cortile, fave di cacao e arancia è davvero buono. L’abitudine suggerisce che il pan brioche alla base sarebbe stato più buono se tostato, ma fresco e profumato andava bene lo stesso e le fave bastavano a dare gioco al morso.
Il Carciofo alla giudia con fonduta di pecorino e menta è fritto bene e rimane gustoso nell’insieme, forse la mammola ha avuto bisogno di una mondatura importante ed è arrivata smilza, ma senza deludere. Il nostro preferito tra gli antipasti sono le Crucifere dell’Orto, con un’elegante vellutata di cavolfiore, degli intensi broccoli romaneschi arrosto, cavolo nero e mandorle tostate. Il gusto arriva a ogni cucchiaiata e spazia dal dolce all’amaro senza riserve, pur rimanendo avvolgente e appagante in equilibrio tra l’unto e il tostato.
Tra i primi c’è una buona Fettuccina con ragù di manzo che non tradisce, fedele a se stessa mantiene la promessa del piatto della domenica da mangiare con appetito, promettendo una scarpetta inevitabile. Sorprendente è la Pasta, Patate e Provola, in cui si supera facilmente l’affumicatura “ruffiana” della provola e ci si lascia conquistare dalle consistenze e dagli odori che mitigano la sapidità. Tra i secondi è la Punta di petto alla fornara che deve cedere il passo a un ottimo Spezzatino di pecora e carciofi. Carne cotta bene, succulente e tenera nel suo sapore autentico, accompagnata da carciofi violetti e patate saltati in padella. Un piatto da ritorno.
Tra i dolci non ci si perde più di tanto, ma è bene sapere in questi casi che è meglio così. Pane e cioccolato va benissimo, così come buone sono la Crostata con confettura di visciole e la Torta di mele. La carta dei vini è contenuta, ma rimane divertente nella selezione di etichette che va a favore di piccole produzioni, lasciando scegliere in un ampio ventaglio di spesa.
Certo, da queste parti il parcheggio è un’avventura da affrontare con creativa leggerezza, ma fortuna vuole che se c’è un’area dove non è impossibile trovare spazio è proprio quella dove si trova il ristorante. Lo scontrino medio è in giusto rapporto qualità/prezzo e la cortesia non è un benefit per le serate meno affollate.
Se una sera hai voglia di un piatto si può fare, se hai voglia di cenare con gli amici si può fare (magari se non hai troppi amici) e se hai voglia di toglierti la fame con qualcosa di gustoso si può fare. Così, se devi dare un consiglio a qualcuno su dove poter fare tutto questo, ci può stare. Alessandro e i suoi ragazzi sono bravi e Santí è un bel posto dove andare, per poi rimanere attento a cosa accade nel menu, sperando che non tolgano mai il tuo piatto preferito. Se è vero che cucinare i sapori della tradizione non fa più notizia e se è vero anche che gli slogan lasciano (non qui) il tempo che trovano, rimane il fatto che ci vuole sensibilità per cucinare e per mangiare bene così. Per i più curiosi, Santí è l’abbreviazione di Santina, la nonna di Alessandro.