Social Responsibility in Food: Funky Tomato

Una rete virtuosa che garantisce un modello etico e uno scambio di risorse, tecniche e impatti nel mondo agricolo

funky tomato, F&WI Awards

Dal ragù bolognese alla pizza Margherita fino alla parmigiana di melanzane, il pomodoro – nelle sue tante varietà – è un ingrediente fondamentale della cucina italiana. Spesso però, il rosso vivace di salse e conserve è macchiato dal sangue di braccianti irregolari, italiani e stranieri, sfruttati dal sistema del caporalato e vessati da paghe inique e condizioni di lavoro non dignitose. Per combattere questo fenomeno, garantendo contratti regolari attraverso un modello di filiera autogestita, è nato il progetto di Funky Tomato. Fondato dal coltivatore pugliese Paolo Russo, dal senegalese Mamadou Dia e dal sociologo Mimmo Perrotta coinvolgendo altri coltivatori e ricercatori italiani (tra cui Guido De Togni, ricercatore di Diritto Costituzionale), nasce dopo le rivolte di Rosarno del 2010 attorno alla comunità Burkinabé riunita nel paesino lucano di Boreano per la raccolta stagionale, per poi allargarsi ad altre realtà agricole del Mezzogiorno.

A decretarne il successo, oltre alla qualità dei prodotti, anche una comunicazione “pop” – con happening musicali e grafiche vivaci – e la creazione di modelli di distribuzione che vanno dal preacquisto al coinvolgimento di chef, pizzaioli e selezionatori, come Federico Valicenti e DOL-Di Origine Laziale. Oggi Funky Tomato – che ha stretto accordi con grandi cooperative agricole, per espandere la produzione e la commercializzazione garantendo costanza qualitativa – si propone come una rete virtuosa: «La produzione di un bene materiale o immateriale genera uno spazio dove si scambiano risorse, tecniche e impatti», spiega Russo. «Questo spazio è il luogo di confronto per sviluppare soluzioni che cambiano il modo di immaginare la società. Funky Tomato è la rete che si fa garante di un modello etico all’interno di questo spazio».