Dal 2005 Identità Golose dà voce alla cucina d’autore con l’idea di raccontarne la sua evoluzione. Nel corso di questi diciannove anni, gli stessi organizzatori del Congresso si sono accorti che però c’era molto di contiguo a questo tema e che fosse il caso di cominciare a occuparsi di pizza, mixology e, certamente, del mondo dolce. A qualcuno, però, le etichette stanno strette, al punto da essere tanto disubbidiente da farsi chiamare “il non-gelatiere”. Fatta questa premessa già tutti conoscono il nome: Paolo Brunelli.
Per il suo intervento questa volta si è ispirato a Brian Eno, musicista, compositore e produttore discografico (ha collaborato con David Bowie e Coldplay) che si è rivelato un artista a tutto tondo, esattamente come l’artigiano marchigiano che al gelato abbina i lievitati ma anche i risotti (non a caso è nato in una famiglia di cuoche). Il mondo dei gusti sotto zero l’ha attratto quasi per sbaglio (come accade ai migliori, del resto) e già negli anni 90 Brunelli proponeva i suoi gelati gastronomici con ciccioli di maiale, quando non erano sorbetti di fumetto di pesce. Una stimolazione non solo visiva che ha avuto seguito nel 2018 attraverso il suo sito web in cui i suoni del laboratorio (l’udito sembra ricorrere spesso quest’anno, da Manuel Agnelli a Massimiliano Alajmo) sono stati catturati come avrebbe fatto un rumorista con i rumori della strada per il settore audiovisivo. La degustazione del suo gelato al cioccolato non poteva quindi non essere accompagnata da musica d’ambiente in filodiffusione mentre il cucchiaino affondava in una massa di burro di cacao con frutta secca, tra cui mandorla e nocciola, e sopra una grattugiata del suo Pausa. (si legge “pausa punto”: ci tiene Brunelli) che altro non è che un amplificatore di sapori senza sale che fa raggiungere vette umami e sentire tutti e tre i tipi di pepe, più zenzero. Asso nella dispensa e versatile come un insaporitore naturale, Pausa. viene poi usato anche sul risotto cotto con un brodo di gusci di nocciola, prima tostati in forno e poi bolliti in modo che vengano assorbite tutte le parti imperfette.
Come il gelato che cola tra le mani, il golden pain suisse di Omar Busi per Ziva di Marcello Salvatori lascia uniti i polpastrelli tra di loro: piccole pressioni di mattarello sulla pasta, distribuzione del burro tra i rettangoli, generosa farcitura di crema pasticcera e al centro una barretta di cioccolato. Sono questi alcuni dei passaggi cruciali per ottenere lo sfogliato del momento, il pane svizzero come indica la traduzione letterale, nonché prodotto di punta della viennoiserie francese che ha trovato la sua fortuna anche in Italia ma che si racconta sia stato ideato da un pasticcere di origine elvetica in Francia a partire dai ritagli di recupero degli impasti, laminati e poi farciti. «Io sono stato folgorato da subito dal progetto Origine di Molino Casillo che ha trovato il modo di recuperare la parte preziosa del chicco, il germe di grano, estremamente oleoso, ricco di proteine e fibre, funzionali per la gestione dell’impasto che così rimane morbido e fresco: il morso è più corto e il gusto genera emozioni positive. Si allunga la shelf-life in modo naturale». Si lavora con un impasto molto freddo dopo una fermentazione di 24 ore in frigorifero, burro a temperatura di 10° superiore con una generosa forma da incassare nella pasta del doppio delle dimensioni del grasso saturo. A fare la differenza, anche solo a livello estetico, è poi quella puntina di colore rosso idrosolubile in polvere e cacao: si posiziona sopra, per un tocco di eleganza con foglia d’oro; no, niente 24 carati ma è ricreato partendo da proteine. «La mia disobbedienza si presenta alla vista: ho preferito i colori natalizi alle tonalità pastello della primavera».
Nella brigata di Imàgo quattro risorse su quindici si dedicano al mondo dolce. A capo della partita c’è il giovanissimo pastry chef Luca Villa, milanese non ancora trentenne – «vista la mia giovane età non ho avuto il tempo di disobbedire a sufficienza» – che ha cominciato in cucina quando era uno studente dell’alberghiero, prima al Pomiroeu con Giancarlo Morelli e poi al ristorante Da Vittorio dei Cerea a Brusaporto. Illuminante per lui il passaggio al Celler de Can Roca, poi una tappa da Antica Corona Reale prima di Roma, nelle cucine (con vista) di Imàgo al fianco di Andrea Antonini che conobbe proprio in Spagna. «Abbiamo restituito dignità alla parte dolce scegliendo due dessert per ciascuno dei due menu, dando coerenza alla stagionalità e alla località degli ingredienti senza ricerche esotiche e alzando il livello del gusto, dal pre-dessert alla piccola pasticceria». Quasi inaspettato, a fine pasto arriva il carrello della felicità, una golosa vetrina multistrato che attinge dal repertorio classico della pasticcera in formato miniatura: «La nostra disobbedienza è nata anche per valorizzare la sala e dare visibilità in più ai camerieri. Dal bacio di dama che inverte forma e contenuto (la pasta frolla è dentro, il cioccolato fuori, ndr) e si identifica con una specie di pralinato al biscotto a forma di labbra a simboleggiare il bacio, appunto, alla tartelletta di mele».