Argiolas | Serdiana (Cagliari) argiolas.it
Pochi luoghi come la Sardegna sono capaci di mantenere così vivo il legame tra uomo e natura. Il vino trae giovamento da questo stretto rapporto e lo diffonde anche sulla terraferma, il continente, come dicono i sardi. Per questo motivo i produttori dell’isola da sempre ne rispettano e proteggono i tesori. La famiglia Argiolas lo fa quotidianamente dal 1938 quando, a Serdiana, nell’entroterra di Cagliari, Antonio fondò la cantina cui donò il cognome. Oggi Argiolas è sinonimo di vino sardo sul continente e sui continenti, e i nipoti di Antonio continuano il lavoro di custodia di queste terre piene di storie che riaffiorano da un passato lontanissimo. Anche i vitigni tradizionali fanno parte di un patrimonio dal valore inestimabile da conservare e valorizzare, ed è per questo che tutta la famiglia è da anni impegnata in un lavoro di salvaguardia della biodiversità e in un’attenta selezione dei terreni su cui sorgono i vigneti divisi su cinque tenute. I vini qui prodotti sono l’anima del Mediterraneo, intensi, profondi, ricchi, intriganti: invitano tutti, a loro modo, al sorso successivo e a compiere un viaggio in Sardegna. Non a caso, come in tutta la regione, l’accoglienza ha un’importanza fondamentale e da Argiolas lo dimostrano le varie possibilità di esperienza – dalla visita più semplice ai corsi di cucina tradizionale tenuti da esperti chef locali – mentre il Wine Bar all’aeroporto di Cagliari permette un caloroso saluto a questa terra prima di lasciare l’isola.
Il vino: Turriga Isola dei Nuraghi Igt
Alla statuetta che ha portato con sé dal Neolitico la sacralità femminile dell’isola è dedicata un’icona dell’enologia moderna sarda: sintesi di varietà autoctone (cannonau, carignano, bovale sardo e malvasia nera) che ha preso forma anche grazie all’enologo Giacomo Tachis.
Barone di Villagrande | Milo (Catania) villagrande.it
Marco Nicolosi ha una grande responsabilità, rappresentare al meglio una delle più antiche cantine italiane e di certo la prima sull’Etna: la Barone di Villagrande, che ha quasi 300 anni. Una storia così lunga, anziché essere un fardello, fa costantemente da risorsa e stimolo per Nicolosi che di suo ha messo l’attenzione alla sostenibilità e la passione per l’accoglienza. «Biologici lo siamo dal 1989 – racconta – in assoluto i primi, tant’è che ci rivolgemmo a un certificatore francese non esistendone ancora in Italia. Oggi facciamo parte del programma SOStain (il protocollo di sostenibilità per la vitivinicoltura siciliana, ndr) che consente di raccontarsi con numeri alla mano. La mia azienda ad esempio fissa più CO2 di quanta ne produce. Gli scarti dell’azienda agricola (vinacce, raspi, sfalcio) vengono riutilizzati come compost, l’acqua piovana viene recuperata per l’irrigazione, stiamo realizzando una strada in pietra lavica che metta in collegamento tutte le vigne, abolendo del tutto l’asfalto». La stessa cura c’è nella dimensione “ecolussuosa” del Wine Resort: quattro stanze appena – e due in preparazione tra i vigneti –, colazione con prodotti dell’orto e pranzi e cene curati con la consulenza di Accursio Craparo: «Ogni piatto – spiega Marco – è pensato per abbinarlo al meglio alle nostre etichette, cercando al contempo di valorizzare tutto il paniere gastronomico del vulcano».
Il vino: Etna Rosso Doc Contrada Villagrande
Un rosso che sa di cenere nel camino, di viola e sottobosco e che matura per due anni in botti di castagno – il legno prediletto dai produttori dell’Etna di un tempo – che viene dai boschi della tenuta.
Arnaldo Caprai | Montefalco (Perugia) arnaldocaprai.it
Molti conoscono la cantina Caprai per il suo ruolo centrale nella riscoperta e valorizzazione del Sagrantino, varietà autoctona del territorio di Montefalco letteralmente strappata all’anonimato e proiettata sotto i riflettori internazionali. Molti di meno sono al corrente dei progetti seguiti al boom degli inizi, proiettati all’innalzamento continuo della qualità e dello stile dei vini, con attenzione crescente alla sostenibilità. Non una parola vuota o fumosa, in questo caso, ma il risultato di iniziative concrete, precise, dagli effetti misurabili su più fronti: ambientale, economico, sociale. L’avvio dei lavori, in continua evoluzione e aggiornamento, nel 2015. È allora che prende forma la così detta “New Green Revolution”, il primo protocollo territoriale di sostenibilità in campo vitivinicolo. Un nuovo balzo verso il futuro per Montefalco e le sue aziende, con Caprai protagonista. In pratica, anni di monitoraggio e valutazione dei consumi aziendali e dell’impatto delle attività produttive sul territorio; con analisi annuali su una serie di parametri, al fine di controllare l’efficienza operativa dell’azienda e il percorso di miglioramento della sostenibilità produttiva. Un processo che, per fare qualche esempio, ha portato a ridurre il consumo di energia elettrica (-22%), acqua (-23%), emissioni di Co2 (-17% per bottiglia) e agrofarmaci (-77% per ettaro), innescando circoli virtuosi nell’impiego di concimi organici (+166%), di ettari gestiti con essenze leguminose da sovescio (+133%) o di quelli trattati con atomizzatori innovativi a recupero di prodotto (+62%).
Il vino: 25 Anni Montefalco Sagrantino Docg
Vino simbolo del percorso verso l’eccellenza di Marco Caprai, punto di arrivo e di partenza per la varietà, il territorio e la cantina che l’ha realizzato. Ha segnato un’epoca del vino italiano.
Bucci|Ostra Vetere (Ancona) villabucci.com
Forse i caratteri davvero più autentici del vino italiano sono racchiusi in storie come quella di Ampelio Bucci, esemplare in tal senso. Operare su un vitigno autoctono fra i migliori del Tricolore, però in passato legato soprattutto a produzioni in grande quantità più che a un’elevata dignità qualitativa; l’essere titolare di un’azienda che non gode dello scudo protettivo di una regione celebrata all’estero, come possono esserlo ad esempio Toscana o Piemonte; e ancora, un’organizzazione frutto di intuizioni e di esperienze personali, prima che di chissà quali consolidate strategie di marketing. Sono solo alcuni dei tratti salienti di quell’imprenditoria media italiana che ha insegnato tanto a tutti, e che rende la nostra creatività sempre sorprendente. Anche se poi Ampelio Bucci – Ampelio dal greco ampelios: vignaiolo, guarda caso – una laurea in economia ce l’ha, così come un curriculum ricco di significative docenze universitarie. Ma quanto fatto da lui per le Marche con il suo Verdicchio, reso uno dei bianchi più eleganti e longevi di cui possiamo pregiarci, è un indubitabile capolavoro che i migliori degustatori del mondo apprezzano da decenni. Così oggi Villa Bucci mette insieme: una cantina che supera i trenta ettari, fra Serra de’ Conti e Montecarotto; montepulciano e sangiovese a far compagnia all’uva bianca; conduzione biologica con disincantata strizzatina d’occhi alla biodinamica; Verdicchio dei Castelli di Jesi sempre delizioso e, nelle annate migliori, una Riserva iperbolica.
Il vino: Castelli di Jesi Verdicchio Docg Riserva Classico Villa Bucci
Uno dei più grandi bianchi d’Italia, dalla longevità fuori concorso. Anice, mandorla, fieno e nocciola che muovono al naso senza enfasi ma con nitore, equilibrio ed eleganza: ad anticipare un assaggio ammaliante, ampio e polputo, ma di finezza e persistenza con pochi eguali.
Bellavista | Erbusco (Brescia) bellavistawine.it
Un nome che ha segnato l’affermazione della Franciacorta vinicola, una storia di famiglia e di imprenditoria lungimirante (e del tutto al femminile da quando Francesca Moretti è a capo del gruppo Terra Moretti Vino, che conta sei aziende dalla Lombardia alla Sardegna), un esempio di capacità di innovazione e di intuito nella scelta del team migliore per sostenere la crescita. Fondata nel 1977 da Vittorio Moretti – toscano di nascita ma franciacortino di origine – per affiancare una produzione vitivinicola alla propria attività imprenditoriale mettendo a frutto le vigne di famiglia sulla collina Bellavista (il panorama dalle Alpi al lago d’Iseo spiega il toponimo), oggi l’azienda conta circa 200 ettari vitati nella zona della denominazione in cui ricade anche la “sorella” Contadi Castaldi. Dal 1981 le bollicine sono firmate dall’enologo Mattia Vezzola, che ha contribuito a definire l’inconfondibile “stile Bellavista”, basato su eleganza ed equilibrio, traendo il meglio da ognuna delle 147 parcelle in cui è suddiviso il vigneto. Altrettanto fondamentale il contributo di Marco Simonit, preparatore d’uva che porta avanti un attento lavoro per garantire la salute delle viti nel pieno rispetto della natura. Dal 1993 Bellavista è pure ospitalità di charme – a cura di Carmen Moretti – con L’Albereta: incantevole wine resort in un’antica dimora nobiliare, ospita anche il ristorante Leonfelice Vista Lago e La Filiale, con le pizze di Franco Pepe servite in un elegante chiosco nel parco.
Il vino: Vittorio Moretti Riserva
È la cuvée di punta, che nasce solo nelle annate capaci di esprimere un temperamento unico. Blend di chardonnay e pinot nero, elegante e complesso, è un Franciacorta “gastronomico”.
Ca’ del Bosco | Erbusco (Brescia) cadelbosco.com
Tanti gli anni trascorsi da quando un inquieto – no, irrequieto! – giovanotto non ancora maggiorenne, dallo spirito contestatario e rivoluzionario e mosso dalla voglia di spaccare il mondo, nel suo curioso e riflessivo girovagare oltre confine si convinse che in quel di Erbusco si sarebbe potuta operare una sintesi compiuta fra Champagne, Borgogna e Bordeaux. Peccato di superbia? Esuberanza giovanile? Cialtroneria? Nulla di tutto questo, perché nei decenni successivi i fatti avrebbero dato pienamente ragione a Maurizio Zanella: facendo della sua Ca’ del Bosco il riferimento moderno di quella Franciacorta che, anche grazie al suo esempio, avrebbe poi spiccato definitivamente il volo. Non solo l’esempio della Champagne, quindi, che poi avrebbe reso questa sponda del Bresciano il riferimento nazionale del vino rifermentato, conquistando pure l’estero: ma anche il taglio bordolese del vino a sua firma (Maurizio Zanella, appunto), profondo rosso che neanche Dario Argento, o la scommessa vinta col pinot nero e il suo Pinéro. Indubbiamente, però, il nome di Zanella (oggi socio del Gruppo Santa Margherita) resta legato alle innovazioni agronomiche ed enologiche da lui trasferite sul territorio, a cominciare dalla fittezza d’impianto o dalle modernissime concezioni di cantina: come la selezione e il lavaggio dei grappoli, la pigiatura in assenza d’ossigeno o i travasi praticati per gravità. Nota ulteriore di merito, per un parco viticolo che supera i 200 ettari, l’attenzione all’ambiente rappresentata dalla certificazione biologica.
Il vino: Franciacorta Dosaggio Zero Riserva Docg Annamaria Clementi
Fiore all’occhiello della cantina: dedicato alla mamma di Maurizio Zanella (e oggi in versione Extra Brut Rosé), arriva solo dalle annate migliori e da una maturazione sui lieviti che sfiora i 10 anni. Un capolavoro di finezza, profondità, classe e persistenza.
Cantina Tollo Tollo (Chieti) tollo.it
Circa 700 soci, 13 milioni di bottiglie l’anno commercializzate e 2.700 ettari coltivati in un territorio che va dalla Maiella al litorale abruzzese, tra clima mediterraneo ed escursioni termiche “da montagna”. Fondata 60 anni fa, Cantina Tollo riesce a coniugare i grandi numeri e la presenza sui principali mercati mondiali (Unione Europea, Giappone, Stati Uniti, Canada, ma anche Russia, India e Cina) con la sperimentazione e l’attenzione ai vitigni autoctoni (montepulciano, trebbiano, pecorino, passerina e cococciola). Le etichette delle quattro principali linee aziendali (Anthology, Iconic, Sparkling e Organic) dimostrano la capacità di raccontare la diversità e la storia del vino abruzzese in ottica contemporanea e con attenzione alle esigenze in evoluzione, puntando soprattutto sui vitigni locali (con l’eccezione dell’Abruzzo Rosé Spumante Dop, 100% pinot nero). Aderente al Progetto Etico di Coop Italia, per la GDO Tollo firma anche la linea Rocca Ventosa, oggetto di un restyling frutto di una ricerca di neuromarketing: sulle diverse bottiglie, piccoli pallini colorati che rimandano ad acini d’uva disegnano una spirale e una rocca, simbolo della tradizione, portando con sé le parole chiave della cantina: vento, mare e montagna ma anche passione e autenticità.
Il vino: Cagiòlo Montepulciano d’Abruzzo DOP Riserva
Dal 1992 una delle etichette di punta della Cooperativa, racconta la tradizione del montepulciano reinterpretata in maniera moderna, con lunga macerazione delle bucce e 12 mesi di barrique.
Cantine Sorrentino | Boscotrecase (Napoli) sorrentinovini.com
«La mia famiglia ha iniziato a produrre vino per necessità, era l’unico modo per sopravvivere», così Maria Paola Sorrentino risponde alla domanda su come tutto ebbe inizio. Lei e i suoi fratelli, Giuseppe e Benny, sono la quinta generazione a fare vino nelle terre nere sul versante sud del Vesuvio. Chissà quante volte le hanno chiesto se ha paura di vivere e lavorare su uno dei vulcani più pericolosi del mondo? Ma Cantine Sorrentino paura non ne ha; più che altro ha una grandissima determinazione a fare sempre meglio. Qui l’esistenza è forte e fragile al contempo, come la vita stessa. Forte nella sua bellezza: puoi quasi toccare con mano Capri e il mare azzurro che brilla intorno alla penisola di Sorrento mentre il Vesuvio ti copre le spalle. Fragile per l’imprevedibilità, come dimostrano i resti archeologici di Pompei che si vedono dalle vigne centenarie. I tre fratelli Sorrentino consentono ai visitatori da tutto il mondo di scoprire questo posto incantato alloggiando in piccole casette direttamente tra i filari o nel più moderno agriturismo appena aperto. Le visite in vigna fanno individuare i flussi di lava, e la storia della zona e della cantina viene raccontata tramite le viti, che non nascondono i segni di una lunga vita vissuta appieno. La vista dalla sala degustazione toglie il fiato e qui il concetto di “light lunch” prende un nuovo significato, perché i vini prodotti con uve autoctone come piedirosso, falanghina, caprettone e aglianico sono abbinati ai prodotti di propria produzione. Molto difficile resistere.
Il vino: Don Paolo Aglianico Pompeiano Igt
Un Aglianico 100% cresciuto nelle terre vulcaniche e di grande espressività, che la sapidità aiuta a risultare slanciato sorso dopo sorso. Un vino capace di invecchiare e che col tempo sviluppa la stessa eleganza delle viti centenarie da cui proviene.
Cantine Ferrari | Trento
ferraritrento.com
Fare vini del genere, e con tale costanza negli anni, per qualcuno non potrà che risultare consequenziale, una volta compresa la filosofia che c’è dietro bottiglie come queste. Non da ieri, oltretutto: visto che quando Bruno Lunelli decise di acquistare l’azienda, direttamente da un certo Giulio Ferrari, si era ancora nel 1952. Da lì un ricambio generazionale che dopo gli esordi di Bruno ha visto man mano succedergli i suoi eredi, Franco, Gino e Mauro, quindi la terza generazione: Marcello, Matteo, Camilla e Alessandro. Che dopo un percorso pressoché obbligato per tutta la dinastia, fatto di studi significativi e di importanti esperienze all’estero, sono oggi a capo di un colosso enologico dello Stivale, per quantità e qualità. Senza dimenticare che cosa possa poi significare, anche per tutto l’ecosistema trentino, convivere con un’azienda di oltre 120 ettari di proprietà e circa 600 conferitori tutti però a regime biologico o in conversione, vincolati al rispetto del “protocollo Ferrari” dalla vigna alla cantina: teso sia alla salvaguardia dell’ambiente sia alla qualità dei milioni di bottiglie prodotti al momento dalla casa spumantistica italiana più famosa del globo. Una filosofia, si diceva, un progetto, un obiettivo. Che non poteva non proiettarsi in un’ulteriore divagazione di livello, costituita dall’ospitalità a tutto tondo di Villa Margon e dell’annessa Locanda Margon: un ristorante coi fiocchi, ciliegina sulla torta, dove godersi vini, piatti e territorio.
Il vino: Trento Doc Extra Brut Giulio Ferrari Riserva del Fondatore
Chardonnay in purezza, almeno dieci anni sui lieviti, una longevità disarmante, una complessità senza eguali e l’alternarsi di toni floreali e fruttati, di miele e di spezie, di crosta di pane e dolci da forno. Con un perlage di finezza esemplare.
Castello di Ama | Gaiole in Chianti (Siena) castellodiama.com
È difficile raccontare e spiegare Castello di Ama a chi non c’è mai stato. Perché Ama non è “solo” la cantina che produce alcuni dei single vineyards di Chianti Classico più definiti ed eleganti; e nemmeno “solo” l’artefice del rivoluzionario L’Apparita, primo merlot in purezza prodotto in Toscana (e coltivato su un appezzamento da dove, appunto, appare Siena) poi divenuto un vino di culto a livello mondiale. L’azienda gioiello di Lorenza Sebasti e Marco Pallanti – nata negli anni 70, con la capacità di stare in equilibrio tra tradizione e tecnologia – è una dimensione dello spirito, un luogo che esprime sensibilità e cultura in ogni dettaglio, dalla semplice cucina del Ristoro alla linea di fragranze, all’eccellente olio extravergine di oliva. Ma soprattutto un borgo dove vino e arte contemporanea hanno trovato la perfetta corrispondenza: vent’anni fa nasceva il progetto che ha chiamato a raccolta, vendemmia dopo vendemmia, alcuni dei più grandi artisti internazionali – Louise Bourgeois, Michelangelo Pistoletto, Daniel Buren, Kendell Geers, Anish Kapoor, Lee Ufan, tra gli altri – perché creassero un’opera site specific, ispirati dal genius loci. Serve approfittare della raffinata ospitalità di una delle suite di Villa Ricucci per godere appieno di questa straordinaria collezione, oltre che dei vini, va da sé. Nel frattempo continuano i lavori dell’Arca, una cantina-caveau da 80mila bottiglie, dedicata alle annate storiche, che sarà pronta a marzo 2021.
Il vino: Castello di Ama Chianti Classico Gran Selezione San Lorenzo
Ottenuto dalle migliori uve provenienti dai vigneti storici, è la quintessenza dello stile dell’azienda: complesso, fine, intenso e fresco, con una grande capacità di evoluzione
foto Castello di Ama
Speciale Vino: le 50 aziende top del 2020
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