Se sala e cucina sono un binomio inscindibile, la cantina non fa certo da terzo incomodo. Anzi: legata a filo diretto con la seconda – perché per poter costruire una carta dei vini che non sia solo di vetrina e proporre abbinamenti con ogni piatto, o viceversa bottiglie in grado di accompagnare l’intero pasto, bisogna conoscere approfonditamente la costruzione del menù –, è parte integrante della prima: il sommelier oggi non si limita più a controllare che il vino scelto non sappia di tappo ma, oltre a consigliare e guidare, affianca il maître nel costruire un’esperienza quanto più possibile sartoriale attorno all’ospite. E anche in questo caso la giovane età – se accompagnata da uno studio approfondito e da una passione fuori dal comune – non è certo un handicap. Lo dimostrano i tre finalisti dei nostri awards.
Alberto Piras, milanese, è della classe 1986. Dopo esperienze importanti in Italia e all’estero e numerosi riconoscimenti conquistati ancor prima di compiere i trent’anni, lavorava da Cracco – all’epoca in via Victor Hugo – quando, nel 2013, un brutto incidente stradale ha rischiato di comprometterne la carriera, e non solo; grazie alla grande determinazione e a una lunga riabilitazione è tornato più forte di prima, e da qualche anno è fondamentale uomo di vino de Il Luogo di Aimo e Nadia (2 stelle Michelin), oltre a curare la carta del Bistro e di Vòce, le altre due insegne meneghine di casa. Da una breve esperienza all’Eleven Madison Park ha riportato soprattutto l’idea di far sentire il cliente come a casa. E agli iconici spaghetti al cipollotto di Aimo Moroni – oggi riproposti dagli chef Alessandro Negrini e Fabio Pisani – abbina, per concordanza, la dolcezza appena accennata dello sherry Pedro Ximenez.
Manuele Menghini, 35 anni da compiere a novembre, di origini ferraresi e con tappe precedenti da Casa Perbellini e soprattutto al Pescatore al fianco di Antonio Santini, è già da diversi anni la spalla enoica dei fratelli Riccardo e Giancarlo Camanini al Lido 84 di Gardone Riviera (BS), 1 stella Michelin, tra i ristoranti più ispezionati e visitati del circuito gastronomico. Eppure il giovane sommelier è riuscito a conquistarsi uno spazio prezioso, in linea con il rigore e la muscolare creatività di casa, facendosi apprezzare per le sue scelte mai banali. Anche se con il famoso e ardito spaghettone al burro e lievito di birra dello chef preferisce andare sul sicuro con un grande Chardonnay di Borgogna.
Trentacinquesimo compleanno in arrivo anche per Gianni Sinesi, miglior sommelier under 35 per i F&W Awards 2020. Pugliese (di Barletta) di nascita, è ormai abruzzese di adozione visto che – dopo gli studi alberghieri a Roccaraso – è da 16 anni al fianco di Niko e Cristiana Romito al Reale, prima a Rivisondoli e poi a Castel di Sangro, accompagnandone la crescita punteggiata da ben tre stelle in sette anni (la prima nel 2007, la terza nel 2014).
«Sono arrivato al Reale un po’ per caso» racconta Gianni. «A scuola ne avevo sentito parlare come di un ristorante diverso dalla gran parte degli indirizzi locali ma non ne ero rimasto troppo incuriosito. Non avevo ancora chiari i miei obiettivi, in quegli anni pensavo a fare qualche lavoretto saltuario nel week end per mettere da parte qualche soldo. Una volta finiti gli studi, però, iniziai a cercare lavoro e andai a chiedere a un albergo della zona, di proprietà dello zio di Niko; lui era chiuso per lavori ma mi disse che il nipote stava cercando qualcuno, così cominciai a lavorare al ristorante. Pensavo di starci al massimo un paio di anni e invece…». Al Reale inizia come cameriere, del vino sa poco o nulla: «Questa è ancora oggi una grave pecca della formazione alberghiera, così come non si insegna nulla sul mondo delle guide e della critica. Quando arrivai io il ristorante già puntava alla stella, Niko e Cristiana lavoravano duramente per quest’obiettivo e a me sembravano dei matti. Ricordo quando venne a cena per la prima volta Luigi Cremona: loro si erano raccomandati di fare attenzione ai dettagli, come al non fare rumore aprendo la bottiglia di Champagne. Mi misero una tale ansia che mi partì il tappo! Oppure capitava che mi suggerissero loro qualcosa sui vini per rispondere alle domande degli ospiti. Capii di essere impreparato, e che il vino fosse una parte importante del lavoro in sala».
Così decise di frequentare i corsi AIS, diplomandosi sommelier nel 2008 e finendo anche per vincere il concorso regionale andando alla finale a Catania. «Arrivai tra gli ultimi ma fu un’esperienza fondamentale che mi aprì le porte di questo mondo e mi fece conoscere tanti colleghi, come lo fu lo stage con Maurizio Menichetti da Caino, dove Niko aveva lavorato affiancando Valeria Piccini: iniziai a girare per ristoranti importanti osservando e parlando con chi lavorava in sala, oltre a studiare su libri e bottiglie. Ho speso una fortuna ma per me era l’unico modo di imparare velocemente, riuscendo a star dietro alla crescita del Reale. Quando, nel 2011, ci siamo trasferiti a Casadonna ho risistemato la cantina e ho preso definitivamente consapevolezza di quello che avevo in mano, e di quanto Cristiana e Niko avessero fiducia in me dandomi carta bianca. Ho un rapporto bellissimo con entrambi, fatto di amicizia ma anche di professionalità».
Braccio destro di Cristiana in sala, Gianni – che ha da poco lanciato il progetto “Impressioni”, una sua personale selezione di vini del territorio, e tra i suoi modelli cita lo stile di Aldo Sohm, wine director de Le Bernardin a New York – ha uno stile rigoroso ma non troppo formale, capace di far divertire l’ospite che si dimostri propenso alla sperimentazione. A lui tocca infatti il non facile compito di creare abbinamenti con i piatti praticamente già “completi” di Romito: «Sono talmente puliti che il rischio di coprirli è molto alto. La strategia migliore per accompagnarli è quella di ricercare nel bicchiere gli stessi elementi del piatto, anche quando si tratta di note amare o acide, andando contro le regole classiche della sommellerie. Con una cantina di circa 8.000 etichette non è troppo difficile!».
Provare per credere: alla misticanza alcolica che sovente apre il percorso degustazione del Reale abbina un Moscato d’Asti, vino dolce solitamente servito a fine pasto; con il famoso, ascetico carciofo – che nasconde una stratificazione aromatica sottile ma molto complessa – serve un gin & tonic, ritrovando nelle note amare l’equilibrio perfetto. Mentre con l’ultima versione del piccione – con chiodi di garofano e senape – propone un Barolo Chinato per esaltarne le note speziate.
Nella foto: Gianni Sinesi nella sala del Reale, ph. Matteo Carassale
In collaborazione con Intrecci – Alta Formazione di Sala
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