Lasagna al tavolo con due ragù, vacca e garum di manzo, faraona e frattaglie con pomodorino confit di Podere Belvedere

Tavole coraggiose

Sul Lago di Garda, tra le colline del Chianti, a picco sul mare della Costiera: tre progetti ambiziosi, tre cucine di tecnica e personalità che valgono il viaggio.

Mos – Desenzano del Garda (Brescia)

Sta per “abitudine” oppure per “volontà” il termine latino mos, il più delle volte declinato al plurale in mores (maiorum), cioè il “costume degli antenati”. Sorprende che questa precisa dichiarazione d’intenti arrivi da uno chef classe 1996, accompagnato in sala da un maître e sommelier nato nel 1995. Poco più di 50 anni in due. Sono Stefano Zanini e Mattia Moro, entrambi originari di Peschiera del Garda, i coraggiosi artefici di una brillante novità sulle sponde del lago – ma quelle di Desenzano – ancora più meritevole perché assediata dai tavoli (e dagli improbabili spaghetti allo scoglio) delle tante insegne turistiche che affollano il bellissimo Porto Vecchio. Dove fino a ieri mancava totalmente un’offerta gastronomica di livello. E ora per fortuna c’è. Prima di tornare alle sue origini, Zanini si è fatto le ossa in Alta Badia, al St. Hubertus di Norbert Niederkofler, poi alla Brasserie Thoumieux e a Le Meurice Alain Ducasse a Parigi (e quella sicurezza nella grammatica si vede tutta), infine nella cucina di Martina Caruso dell’Hotel Signum a Salina. A maggio 2021 ecco la grande scommessa dei due amici: uno spazio disegnato con estro, pezzi di alto artigianato italiano e atmosfere nostalgiche dal bresciano Nicola Falappi di Studio 40, solo trenta coperti e un prezioso dehors per la stagione estiva, a pelo d’acqua. È lo stesso Zanini a definire “spontanea” la sua cifra: un quasi vezzo per una cucina in realtà accurata e rigorosa in cui si concede improvvisazioni sull’idea ma non sulla tecnica (per citare un certo chef modenese). La proposta ben racconta la complementarità tra terra e lago, a cominciare dall’Insalata di piselli, crema di riso bianco e uova di pesce (geniale reinterpretazione del tipico “risi e bisi” veneto) per proseguire con quello che è ormai diventato il piatto-bandiera, con giusto merito: lo Spaghetto ragout e bottarga. Un irresistibile e italianissimo racconto in punta di forchetta dei due mestieri antichi che sostenevano il territorio, e cioè l’allevamento – il ragout è un’estrazione di tutti i succhi della carne del manzo uniti al midollo – e la pesca – cioè la bottarga di trota. Sono molte le specie di acqua dolce che trovano nuova dignità nel menu: lo Storione in crosta di sale, ceci e salsa alla marinara o la Trota marmorea alpina, laccata ai fichi ed erba porcellana, tra gli altri. Comfort e di alta scuola i dolci, in particolare il Clafoutis ai fichi, il Gelato al latte di malga cunzato (con i capperi canditi, un ricordo delle Eolie) e la Tarte tatin di pesca, cotta al momento, con Zabaione al Marsala. Mattia Moro, con uno stile empatico e dinamico, detta i tempi di un percorso gastronomico originale e divertente – tre i menu degustazione, oltre alla carta, con un’offerta più casual a pranzo, tranne la domenica – giustamente contrappuntato da scelte al calice e in bottiglia mai convenzionali.

[ngg src=”galleries” ids=”39″ display=”basic_thumbnail”]

Podere Belvedere – Pontassieve (Firenze)

Che Edoardo Tilli viaggi in una direzione ostinata e contraria lo si capisce già al momento di imboccare la strada – impostate il navigatore o vagherete dubbiosi per la campagna fiorentina – che infine conduce a Podere Belvedere. Questo casolare duecentesco, nascosto tra gli olivi e le vigne del Chianti Rufina, è da sempre di proprietà della famiglia dello chef di Bagno a Ripoli. Dieci anni fa, Tilli e la moglie Klodiana Karafilaj, squisita e dinamica donna di sala, hanno dato progressivamente forma al loro sogno. E con coraggio (follia?), curiosità e molto studio hanno trasformato (o per meglio dire ribaltato) un semplice B&B in un ambizioso ristorante con camere (cinque, in totale), in comunione con la natura circostante. Di quelli che non ti aspetti, almeno qui, in the middle of nowhere. E di cui è difficile dare una definizione calzante. Tanto è dicotomica la cucina, nel senso buono del termine. Ancestrale e insieme modernissima. Istintiva ma rigorosa. Al centro c’è il fuoco, perché è sulla brace che il cuoco toscano perfeziona cotture e affumicature di carni etiche e di qualità assoluta: selvaggina, animali da cortile e da stalla allevati in casa oppure provenienti da selezionatori di fiducia. Due piatti, da soli, valgono il viaggio: la succulenta Bistecca di vacca vecchia (fate caso al grasso, che si scioglie come burro) e il magistrale Petto di colombaccio (marinato 48 ore in erbe aromatiche) alla griglia con capasanta, senapi e olio all’alloro. Il petto viene arrostito quasi a contatto con la brace, su entrambi i lati, così da mantenersi perfettamente al sangue all’interno. Tra gli altri piatti la Trippa, cozze, pecorino e zafferano, il Risotto acido con mela sciroppata, cipresso e lamponi e il Lime muffato, crumble, marmellata di fichi e crema di limette. Tutto così intenso e personale da rendere in fondo trascurabili i divertissement di benvenuto, parentesi da non luogo (e non tempo) che evoca i volumi di elBulli in bella mostra sugli scaffali di una sala accogliente e curata. L’altra passione/ossessione di Tilli sono le fermentazioni e le muffe: secondo i principi della probiotica, lo chef sperimenta microrganismi e funghi come penicillium, aspergillus e koji, la muffa che cresce sui cereali, con l’obiettivo di portare in tavola una cucina ancora più sana, vitale e digeribile. Il garum, la salsa fermentata di pesce tanto cara agli antichi Romani è presente nella Lasagna al tavolo con due ragù, vacca e garum di manzo, faraona e frattaglie con pomodorino confit, raffinata rivisitazione di un piatto della memoria. Tutte le verdure e le erbe del menu – dai peperoni alle senapi – provengono dall’orto di casa, altro importante tassello di un progetto ispirato all’autoproduzione alimentare e all’economia circolare, in attesa di raggiungere anche la totale autonomia energetica.

[ngg src=”galleries” ids=”40″ display=”basic_thumbnail”]

Volta del Fuenti – Vietri sul mare (Salerno)

Mentre si scende tra i giardini pensili di una novella Babilonia di Costiera, si fa fatica a riesumare quel passato “ingombrante” (di cui si trova l’annosa e ampia cronaca giudiziaria in rete) del famigerato Hotel Fuenti. È in effetti una storia di rinascita, quella che si racconta oggi alle pendici del Monte Falerio, lungo la strada panoramica tra Vietri e Cetara, con il golfo di Salerno a fare da backdrop: Giardini del Fuenti è il progetto caparbiamente voluto dai fratelli Alessandra e Pierluigi De Flammineis, terza generazione della famiglia, sotto il nome di Third Generation Group («a volte è la terza generazione quella che manda tutto a rotoli, noi vogliamo dimostrare il contrario», scherzano i due). Un luogo multiforme che comprende un beach club con ristorante sulla battigia e preziosa spiaggia privata, uno spazio per eventi e spettacoli e finalmente anche una destinazione gastronomica con la recentissima inaugurazione di Volta del Fuenti, il nuovo e ambizioso fine dining capitanato dall’ottimo Michele De Blasio. L’esperto chef di Sarno – nel suo fitto curriculum i nomi di Riccardo Camanini, Alain Ducasse e Pino Lavarra, con cui ha lavorato al Ritz Carlton di Hong Kong, tra gli altri – qui propone una cucina in perfetto equilibrio tra classicismo e contemporaneità, tecnicamente impeccabile e scevra di cliché anche quando torna alle origini dei sapori e delle materie prime del territorio. Tant’è che arriva subito in tavola – con il carosello di bocconi che apre il percorso degustazione – una tuile con farina di fagioli di Controne, insalata di piedino e musetto di vitello: una sorta di manifesto programmatico (in miniatura) di De Blasio nella foggia di un asinello vietrese. Poi ecco una sequenza di colpi d’autore: Cicoli, limone e pepe lungo; Risotto napoletano con alici, alghe e bergamotto; Agnello, spinaci, carote e caprino; Rombo, limone, ravanello e frutti di mare. Nel mentre c’è spazio pure per un piatto-tributo di marchesiana memoria: gli Spaghetti freddi con ostriche, maiale nero e pepe di Timut. Cotture millimetriche, sapienti punteggiature di note amare, sapide e speziate, un grande lavoro di ricerca e sperimentazione (ad esempio sulle fermentazioni, a cui è dedicato un laboratorio) dentro e fuori dalla cucina: è lo chef a girovagare direttamente tra agricoltori e allevatori della zona per scoprire e selezionare i migliori prodotti. A governare il servizio ritroviamo il bravo Giovanni Baccaro, che avevamo lasciato nel Chianti Classico, a Borgo San Felice. Suo il merito di una carta dei vini già interessante, dove sta integrando chicche e produzioni locali tra etichette obbligate e più noiose. Nella luminosissima sala non troverete le imperanti maioliche di Vietri (che invece colorano gli ascensori): qui è un rigore nordico – quasi penitente, verrebbe da pensare – a contraddistinguere il riuscito décor, dall’allure internazionale, sotto le scenografiche volte bianche. A curare il restyling del ristorante, così come di tutto lo spazio del Fuenti, è stato l’architetto Maria Teresa Mazzitelli, mamma di Alessandra e Pierluigi. Ancora una gioia, prima di andare via: il pensiero che la macchina sia al sicuro nell’ampio e coperto parcheggio, disponibile proprio sotto gli orti, le vigne e i pettinati prati del Giardino. Una vera e propria manna, in Costiera.

[ngg src=”galleries” ids=”38″ display=”basic_thumbnail”]

Maggiori informazioni

Mos Ristorante
Via Porto Vecchio 28, 25015 Desenzano del Garda (BS)
ristorantemos.it

Podere Belvedere Tuscany
Via S. Piero a Str. 23, 50065 Pontassieve (FI)
poderebelvederetuscany.it

Volta del Fuenti
km 47+300, S.S. 163 Amalfitana, Str. località Fuenti, 84019 Vietri sul mare SA
giardinidelfuenti.com

Foto di copertina: Lasagna al tavolo con due ragù, vacca e garum di manzo, faraona e frattaglie con pomodorino confit di Podere Belvedere
 

Condividi

Facebook
Twitter
LinkedIn
Articoli
correlati