È snello e flessuoso quando accompagnato in cantina nel segno dell’eleganza, può avere una spinta alcolica importante e non soffrire comunque nel bicchiere, gioca di acidità e i tannini sono garbati. Il Gamay del Trasimeno è un gioiello che nel calice si rivela affascinante e contemporaneo – per quel che vale questa definizione – nonostante quel nome che induce al fraintendimento. Perché sui suoli alluvionali intorno al lago forse più suggestivo dell’Umbria non si trovano vigne che richiamino il Gamay universalmente noto, quello del Beaujolais francese, ma piuttosto piante in stretta parentela con il Cannonau sardo e il Tai rosso veneto. Il comune denominatore è infatti la Grenache, dalla cui elegante tensione deriva l’accattivante personalità del vino principe del Trasimeno.
Un prodotto che, per paradosso, alcune cantine del territorio consideravano come base di gamma e che talvolta trascurano per dedicarsi ai meno interessanti tagli bordolesi che si collocano sotto la denominazione Trasimeno Rosso Doc. Per fortuna, il Consorzio vini del Trasimeno sta investendo energie e attenzioni sul Gamay – che nel prossimo futuro, una volta cambiato il disciplinare, porterà nel nome il vitigno Grenache, facendo chiarezza sulle origini – per farne davvero la bandiera enoica del territorio. È un dato di fatto che nel calice si scoprono vini eleganti e coinvolgenti, con una bella struttura che sorregge a volte la ricchezza alcolica, capaci di collezionare successi al concorso internazionale Grenaches du Monde.
Tra gli assaggi più convincenti nelle ultime annate, il Giovanotto 2023 della cantina Montemelino – flessuoso nei profumi di rosa canina e succoso tra ribes e ciliegia mai troppo succulenti, guizzante eppure educato con tannini eleganti – e Opra 2023 di Madrevite, croccante e composto nella struttura che non nasconde il vigore alcolico, ma convince per l’approccio gastronomico. Arretrando con le annate, intriganti il Fontinius 2019 (e 2020) di Casaioli – che vibra tra profumi di melograno e macchia mediterranea, un sorso pepato che esibisce una aromaticità oscillante tra dolcezza e acidità, con una freschezza che non fa soffrire l’alcol – e il Legamè 2019 de Il Poggio, più duro nei tannini eppure avvolgente nella balsamicità mediterranea.
Vigneti figli di un misunderstanding
I vini della Doc Colli del Trasimeno raccontano di pendii collinari che scendono verso il lago, dove la coltivazione della vite ha una lunga storia che risale agli Etruschi. Il vitigno a bacca rossa conosciuto qui come Trasimeno Gamay viene introdotto, a partire dal XVI secolo, con la dominazione spagnola conseguente alla pace di Chateau-Chambrésis del 1559. È col matrimonio tra il duca Fulvio Alessandro della Corgna e la marchesa Eleonora de Mendoza che – secondo la vulgata – sarebbero arrivate sulle sponde del Trasimeno le barbatelle di Garnacha (o Alicante), coltivate ad alberello come in Francia e non con la tecnica etrusca a vite maritata, ingenerando la confusione nel nome col Gamay.
Che sia questa la storia dell’approdo del vitigno in Umbria o che l’abbiano portato i pastori sardi passati in continente, il Gamay si presenta con questo nome alla moda alle esposizioni agricole dell’Ottocento e nel Novecento e diventa un vitigno di nicchia (citato talvolta come uva migliorativa). Mentre i produttori si facevano attrarre dal Merlot e dai vini in stile bordolese, è la Cantina Sociale che lo salva dalla scomparsa andando a remunerare anche le uve grenache.
La biodiversità della Grenache in Italia
La Grenache o Garnacha o Alicante è in realtà il vitigno più coltivato al mondo, con quasi 200mila ettari complessivi che vedono Spagna e Francia dominanti, mentre in Italia rimangono quasi 8mila ettari (di cui quasi 7,5 in Sardegna). Si comprende dunque come le aree dedicate lungo la penisola siano di fatto delle nicchie, capaci però di trovar espressioni molto interessanti proprio per la plasticità del vitigno.
Mediterranea per definizione, la Grenache si adatta al territorio e proprio per questo l’area del Trasimeno diventa una culla privilegiata per produrre vini che hanno la stoffa per affermarsi su un mercato internazionale che cerca identità. Certo, fra Trasimeno Gamay e Gamay Riserva non si raggiungono le 25mila bottiglie, difficile quindi farsi notare. «Per fare il mercato ci vogliono i numeri – ammette Nicola Chiucchiurlotto, direttore del Consorzio – e quindi serve un dialogo con gli altri areali in cui si produce Grenache, Sardegna in primis. Con iniziative promozionali dedicate, possiamo raccontare l’unicità del vitigno nelle sue espressioni italiane».
In effetti, considerando la stupefacente biodiversità sviluppata soprattutto in Sardegna e poi diffusa nel Mediterraneo – sull’isola sono registrati tre biotipi di Cannonau, a fronte di un unico biotipo di Grenache tra Francia e Spagna – ci sono storie da raccontare capaci di affiancare calici che possono stupire i winelover.