Tutta pepe (e olio)

Isabella De Cham riscrive la tradizione partenopea guardando al futuro

Povera ma bella (e buonissima), unta e opulenta nella sua semplicità, la pizza fritta nasce nel Dopoguerra tra i vicoli di Napoli. E nasce, essenzialmente, legata al mondo femminile: erano le donne partenopee, non necessariamente affascinanti quanto Sofia Loren ne L’Oro di Napoli ma altrettanto volitive, a sistemare banchetti, pentoloni e fornelli improvvisati fuori agli usci per vendere quanto di più semplice, economico e godurioso si potesse pensare: un impasto di acqua, farina e lievito, olio (o anche strutto) per friggere, un po’ di formaggio e cicoli di maiale nel ripieno, pepe a dare sapore. Un marchio di umiltà che questa “cugina” della Margherita si è portata dietro per decenni, restando nell’ombra – o comunque in panchina – anche quando la pizza tonda ha conquistato la ribalta gastronomica internazionale.

Fino a quando qualcuno non ha iniziato a dedicarle la stessa attenzione, mettendone in evidenza la potenzialità. E se ciò si deve senz’altro a nomi come quelli di Gino Sorbillo – con il format dedicato “Zia Esterina” – o di Enzo e Cristiano Piccirillo – padre e figlio, eredi di quell’Anna Manfredi detta La Masardona che diede il via all’omonima attività –, il ruolo da protagonista nel nuovo corso della pizza fritta spetta di diritto proprio a una donna, e al suo team tutto al femminile: Isabella De Cham.

Classe 1993, napoletana Doc – il cognome francese si deve alla storia d’amore transnazionale tra i suoi trisnonni –, ha iniziato da giovanissima a lavorare in sala da Concettina ai Tre Santi di Ciro Oliva, sempre alla Sanità. Innamoratasi della pizza fritta e della gestualità che ne è alla base – l’impasto, la stesura insieme decisa e delicata, la frittura accorta – ha iniziato a imparare dai maestri, a cominciare proprio dalla famiglia Piccirillo. Fino a quando, nel 2017, si è sentita pronta a sparigliare le carte in tavola aprendo il suo Isabella De Cham Pizza Fritta nel Rione Sanità, il quartiere di Totò e delle commedie di Eduardo: per la prima volta, la pizza fritta ha avuto un palco tutto per sé, non più (o meglio non solo) da street food popolare ma da “main course” gastronomico: servita al tavolo, farcita o condita in maniera classica o elaborata, presentata con cura e accompagnata da vini selezionati da Imma Verde, amica inseparabile e suo braccio destro anche nel pensare abbinamenti e scovare materie prime. Mentre Alessandra Ferriero è il braccio sinistro, al banco delle pizze insieme a Debora Fiscale e la giovanissima Francesca Zito. La squadra è completata da Susanna Di Pasquale e Ilaria De Stefano alle fritture di antipasto (mai banali, vedi il nuovo tris che rivede il repertorio classico napoletano con ricette marinare: dal crocché di polpo e patate all’arancino di risotto alla pescatora con cozze e mandarino).

Partita dalla pizza fritta tradizionale – quella farcita con cicoli, ricotta, provola e pomodoro, facendo attenzione a usare latticini ben asciutti e a chiuderla con cura per evitarne la fuoriuscita – Isabella ha iniziato man mano a sperimentare con gli ingredienti: la pizza che la fece conoscere e che porta il suo nome (la Donna Isabella) è con provola affumicata, caciocavallo, rucola selvatica, zeste di limone, pepe e basilico. Ma da quando ha aperto il locale alla Sanità – e poi anche alla Pignasecca, solo da asporto – la sua creatività non ha conosciuto limiti, fino ad arrivare alle ultime proposte spesso a base di pesce.

«La mia idea di pizza fritta evolve – racconta –. Ora stiamo lavorando molto sulla pizza aperta: una base piana da condire con elementi più vari. Da quando il mondo della cucina e gli chef ci hanno aperto nuove frontiere, noi pizzaioli non ci fermiamo più alla semplice composizione di gusti già conosciuti. A me piace mettere in pratica nuove tecniche e conoscenze, apprese parlando con chi ne sa più di me su qualcosa: dalla nonna fino allo chef rinomato. La pizza è cresciuta molto grazie alla ricerca di qualità, equilibrio, eleganza. Nella mia proposta la tradizione napoletana si mescola a spunti internazionali e sono fiera di rappresentare questa evoluzione». Ma alla base del suo successo, oltre alla determinazione e all’inventiva, c’è soprattutto una grande padronanza tecnica, sempre tesa al risultato.

«Tutto parte da un buon impasto. Che, nel caso della pizza fritta, non vuol dire un’altissima idratazione come va di moda sbandierare per la pizza tonda. Anzi, al momento della frittura ne comprometterebbe la buona riuscita! Bisogna però saper capire quando è arrivato al punto ottimale di maturazione. Altro elemento fondamentale è l’olio: io preferisco quello di girasole a quello di arachidi, che pure raggiunge un punto di fumo in maggior tempo, perché contiene meno grassi saturi e dunque nel complesso è più sano».

Tutti i nomi della pizza fritta
La classica è formata da due panetti stesi in forma tonda e sovrapposti uno sull’altro – disponendo su quello inferiore il ripieno –, poi sigillati con cura per non far entrare olio e fritti, gonfiandosi notevolmente. Se si usa un solo panetto, steso e farcito al centro prima di essere ripiegato su sé stesso formando una mezzaluna, si ottiene un battilocchio (o altro nome a seconda del posto). Le montanare sono invece delle soffici pizzette stese e farcite sulla superficie, solitamente rigonfia oppure tenuta bassa come nel caso della pizza aperta.

Maggiori informazioni

Ricetta: Pizza fritta con polpo, scarola e Stilton

Foto di Giovanni Di Palma

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