Fra le distese di vigne che si rincorrono a perdita d’occhio sulle colline delle Langhe si trova un’oasi coltivata di fiori eduli, vegetali ed erbe aromatiche che rappresenta un caso del tutto eccezionale in Piemonte – e non solo. Un caso perfetto di integrazione tra pratica agricola e ristorativa. Benvenuti nell’esclusivo spazio di coltivazione di proprietà della famiglia Ceretto – a uso del ristorante Piazza Duomo di Alba – interamente cucito attorno alla figura dello chef Enrico Crippa: una serra di 500mq, una decina di serre in polietilene e due orti, concepiti e mantenuti per supportare il fabbisogno dell’insegna tristellata. Un progetto complesso, nato e cresciuto gradualmente dal 2005 in poi, quando Crippa, con il totale appoggio dei Ceretto, ha pensato di cominciare a coltivare una serie di piante e ortaggi difficilmente reperibili al mercato locale, concedendosi il lusso di un accesso diretto e costante alle materie prime di cui aveva bisogno, nelle giuste quantità – ed evitando rapporti complicati con i fornitori. Sei, a oggi, i giardinieri/ortolani (o, come è più appropriato definirli, culinary gardeners) che collaborano con lo chef al funzionamento di questa macchina di coltura protetta. Enrico Costanza è il coordinatore del gruppo: laureato in Lettere e Filosofia, fino ai 30 anni scrive di arte contemporanea, teatro e cultura per diverse testate giornalistiche, finché la sua passione per il giardinaggio non lo porta a Firenze, dove approfondisce la materia ai giardini di Boboli, per poi lavorare fra Inghilterra, Svizzera e Stati Uniti. A seguito di queste esperienze si trasferisce a Bologna per affiancare lo chef Simone Salvini nella sua collaborazione con Alce Nero, ed è proprio lui a suggerirgli una carriera come “giardiniere culinario”.
Risponde a un annuncio dello chef Enrico Crippa, e il resto è storia. Oggi Costanza è entusiasta del suo lavoro, nonostante la sveglia alle 5:15 e le difficoltà che lavorare con la terra (con una dedizione e meticolosità davvero rari) comporta. L’arrivo in serra è rigorosamente alle 6 di mattina per le prime operazioni e controlli, in attesa dell’arrivo dello chef, previsto alle 8, con il quale si definiscono i dettagli degli ordini per la giornata; a seguire, il lavoro di coltivazione vero e proprio, assieme agli altri sei colleghi. Si recapita anche 3/4 volte al giorno al ristorante; alle 12 è prevista la consegna dei fiori (appena raccolti), in modo da garantirne la durata fino a sera: i fiori appassiscono rapidamente. «Anche se volessimo conservarli in frigorifero – spiega Enrico Costanza – il giorno dopo sarebbero impresentabili». Ogni mattina si riparte da zero, perché molte delle piante in questo sistema di coltivazione hanno una shelf-life praticamente nulla, e non possono essere conservate. «Ogni sera, quando il ristorante sta per chiudere, compiliamo un foglio Excel con l’elenco di tutte le piante, i fiori e gli ortaggi di cui lo chef ha bisogno per il giorno successivo. Non conserviamo nulla, tutto viene colto e portato al ristorante per garantire freschezza massima… perfino un “semplice” broccolo staccato della pianta e mangiato crudo è un’esplosione di gusto, quindi, la nostra mission è recapitare freschezza al ristorante, quotidianamente».
Per quanto riguarda la scelta degli ortaggi da utilizzare e lo studio dei piatti, qual è il processo? «Una volta a settimana, il giardiniere manda allo chef una lista con le disponibilità dell’orto e, in base a questa, lo chef “cuce” su misura il menu». Tutto comincia però nei mesi di novembre e dicembre, con la selezione delle piante da coltivare nei mesi successivi: Crippa e Costanza studiano e decidono quali semi acquistare in tutto il mondo, e lo chef comincia a impartire una precisa cifra stilistica al menu dell’anno in entrata. Il punto forte di questo progetto, l’identità di questo modus operandi, è proprio questo essere “surfisti” – come piace ripetere a Enrico Costanza. «Oltre alla coltivazione, facciamo anche foraging, ovvero raccolta di erbe spontanee. Quindi per circa un’ora, tutti i giorni, abbiamo anche una schedule molto divertente, che inizia con la raccolta delle primule selvatiche, poi va avanti con i fiori di sambuco, con i fiori di acacia e così via, piante via via diverse a seconda del momento dell’anno». In serra, invece, la metodologia utilizzata per la coltivazione controllata prevede la semina e la separazione di “piantine” in piccoli cubetti di terra, che vengono successivamente inseriti in cubetti più grandi: dandole poco spazio, la pianta produce poco apparato radicale e molta foglia. «Per il mantenimento – continua Enrico – ci avvaliamo dei composti biodinamici preparati in vigna: quando vengono preparati i 500 e 501 (Cornoletame e Cornosilice, rispettivamente) nell’apposita stazione di compostaggio della proprietà Ceretto, una parte viene distribuita anche a noi. Perché noi siamo una realtà organicamente integrata all’interno della proprietà Ceretto».
Tutte le erbe e i fiori in serra hanno un sapore molto concentrato, per cui i profili gustativi sono forti e netti. Costanza spiega che lo chef Crippa non usa mai termini come “vegano” o “vegetariano”. Nutre però, effettivamente, una vera e propria passione per il vegetale, e dunque sperimenta e gioca con tutto ciò che produce: con alcune piante, per esempio, sarebbe perfettamente in grado di creare un’insalata a tutti gli effetti “di mare”, senza utilizzare il pesce. «Per farvi capire di cosa stiamo parlando, abbiamo una pianta si chiama Mesembryanthemum crystallinum, o Ficoide glaciale, una succulenta del Sud Africa che sa di mare, molto croccante e sapida. Oppure la Mertensia maritima, che sa di ostrica, della famiglia delle Boraginaceae, pianta di scogliera. Ce n’è un’altra che sa di Camembert: solo annusandola si fa riconoscere, si chiama Hondbesseion lanuginosum, in virtù della specie di lanugine che la ricopre, ed è originaria del bacino asiatico. L’Artemisia abrotanum, invece, sa di Coca-Cola: noi la utilizziamo a piccole dosi, estraendone l’essenza, che viene utilizzata per preparazioni dolci. Un’altra pianta che usiamo con parsimonia è il Pepe di Sichuan, dal profumo inebriante, agrumato – molto utilizzata nell’industria profumiera – di cui solitamente si utilizzano i grani, ma noi ne utilizziamo le foglie». Nell’orto di Crippa non si coltivano certo solo erbe esotiche, ma anche varietà antiche locali, come il cavolfiore di Moncalieri e la carotina delle Langhe. «Però poi ci divertiamo a spaziare: chi coltiva deve sempre essere completamente aperto a sperimentare qualsiasi cosa, quindi non ci imponiamo regimi operativi restrittivi. Le piante che coltiviamo vengono da tutte le parti del mondo. Orazio per esempio ci teneva a precisare che i cipressi, così rappresentativi del paesaggio dell’antica Roma, erano di provenienza mediorientale. Quindi, è tutto relativo… alla fine tutto viene acquisito come parte di un’identità culinaria e culturale. Come le patate e i pomodori».
Fotografie di Lido Vannucchi, Bruno Murialdo, Nicoletta De Rose
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