È ufficiale: la cucina italiana è stata candidata dal governo come patrimonio immateriale dell’Umanità Unesco per il 2023.
Su proposta dei ministri dell’Agricoltura e sovranità alimentare Francesco Lollobrigida e della Cultura Gennaro Sangiuliano, la commissione nazionale ha approvato la candidatura all’unanimità, alla presenza del sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi: «Ci aspettano due anni in cui dovremo promuovere il nostro cibo in Italia e nel mondo. Ci auguriamo che possa vedere una partecipazione collettiva». Serviranno infatti due anni per ottenere questo riconoscimento, già conseguito dalla tavola francese nel 2010 (fu la prima volta che l’Unesco inserì nella lista del patrimonio immateriale dell’Umanità un patrimonio legato alla gastronomia), nello stesso anno fu la volta del Messico e tre anni dopo toccò invece alla tradizionale cultura alimentare giapponese e a quella coreana.
Il dossier – redatto dal professore della Luiss, Pier Luigi Petrillo, che già in passato aveva curato altre candidature come la Dieta Mediterranea e “l’arte dei pizzaiuoli” napoletani – verrà ora trasmesso dal ministero degli Esteri all’Unesco e inizierà l’iter di valutazione che dovrebbe concludersi, al più tardi, a fine 2025. Questo percorso è in realtà iniziato nel luglio 2020 e ha potuto contare sul supporto di cuochi e imprenditori nel ruolo di ambasciatori della cultura gastronomica nazionale. Da Massimo Bottura a Davide Oldani, da Antonia Klugmann a Carlo Cracco, ma anche Niko Romito e Antonino Cannavacciuolo sono diverse le personalità di rilievo che hanno contribuito a promuovere pratiche sociali, riti e gestualità della tavola Made in Italy, un sostengo che può ovviamente contare su un comitato scientifico di rilievo, che include, tra gli altri, Massimo Montanari, professore di storia dell’alimentazione all’Università di Bologna, Laila Tentoni, presidente Fondazione Casa Artusi e il professor Paolo Petroni, presidente dell’Accademia Italiana di Cucina.