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Uno sguardo all’estero: Attica, Melbourne

Come hanno affrontato la pandemia i grandi ristoranti del mondo? In Australia lo chef Ben Shewry ha realizzato pienamente la definizione di “ristorante di comunità”

Attica delivery

È un tratto ricorrente della più recente retorica – senza per forza accezione negativa – della ristorazione contemporanea, attenta al proprio ruolo sociale quanto alla qualità delle materie prime o alla presentazione dei piatti: i ristoranti, anche quelli decisamente gourmet, vogliono riconquistare quel legame “di prossimità” con quartieri e città che in passato avevano talvolta perso correndo dietro a stelle, riconoscimenti e turisti danarosi, e sempre più si mostrano parte attiva della propria comunità.

In un momento di crisi su scala totale (e totalmente inattesa) come quella creata dal diffondersi del Coronavirus, alcuni hanno avuto modo di provare come questa non fosse solo un’etichetta appiccicata addosso un po’ velocemente da giornalisti o uffici stampa. Abbiamo visto moltissimi chef, pizzaioli e pasticceri nostrani offrire supporto concreto – sotto forma di cibo o raccolta fondi – a famiglie in difficoltà e personale ospedaliero, di pari passo alle iniziative in cui chiedevano supporto economico alle proprie attività. Naturalmente, qualcosa di simile è successo in tutto il mondo e ha riguardato tutti i livelli della ristorazione.

In Australia, l’esempio più efficace è venuto dal ristorante di Melbourne Attica, dello chef (di origini neozelandesi) Ben Shewry. Il locale di fine dining, considerato facilmente il migliore della nazione-continente, si era fatto apprezzare per la raffinata cucina attenta agli ingredienti, e alla cultura, nativi. Per assaggiarla, l’unica via – se si riusciva a prenotare un tavolo – era il menu degustazione alla non proprio modica cifra di 310 dollari. Con il lockdown, però, Shewry – che ha festeggiato i suoi 43 anni il 15 marzo, qualche giorno prima di dover chiudere il locale che ancora non ha potuto riaprire – ha dovuto forzatamente cambiare proposta, e piani. Cosa che ha fatto in maniera rapida ed efficace, supportato dalla compagna (e operation manager di Attica) Kylie Staddon, con un chiaro obiettivo in mente: tutelare non solo il suo lavoro (e il conto in banca del locale) ma quello dello staff del ristorante, 37 persone a tempo pieno. Cercando, nel contempo, di continuare ad offrire ai clienti locali il conforto di un cibo ben fatto, o anche straordinario.

Il primo passo è stato, naturalmente, quello del delivery: non senza qualche difficoltà iniziale, con Attica at home il ristorante ha continuato a cucinare e consegnare alcuni dei piatti del suo menu, dalla spalla d’agnello speziata (“The Dish That Saved Attica”) al sedano rapa al sale con mandorle, timo nativo e formaggio cremoso, parte delle proposte Attica Classics at Home o Attica Modern, (entrambe a 95 dollari per due persone).

Ma pure comfort food più semplice e accessibile, dalle lasagne – protagoniste del Ben Shewry’s Family Meal, al prezzo di 60 dollari per due persone al kebab (in Australia chiamato souva) di pollo marinato con pita, salse e accompagnamenti vari del menu Stay Home Souva (35 dollari a persona), fino ai gelati, ai dessert della bakery e alla dolce combinazione di miele dal favo, formaggio di capra e pane. Per chi può permetterselo, e non vuole rinunciare a un’esperienza gourmet pur se a casa propria, al venerdì e sabato c’è anche l’Attica Tasting Menu, dieci piatti pronti da mangiare e non modificabili con cocktail, vino e sake di accompagnamento al prezzo di 380 dollari per due persone.

La proposta si è ampliata man mano che il delivery prendeva piede e lo staff prendeva confidenza con le nuove modalità di interazione con i clienti: sono loro (incluso lo chef in persona) a consegnare i pasti, e Shewry è riuscito perfino ad assumere degli “extra” rimasti senza lavoro per la chiusura di altri ristoranti. Non solo: con l’Attica Soup Project – nato dalla collaborazione con la food writer Dani Valent – ha fornito da mangiare (zuppe, appunto, ma anche provviste) pure a circa 1200 lavoratori della ristorazione provenienti da altri Paesi, con visto temporaneo, rimasti senza lavoro e senza tutele nonostante il loro contributo lavorativo all’economia, fino a poco tempo prima florida, del settore. Acquistando la zuppa – ispirata alla cucina thai, come il brodo aromatico di pollo, shiitake e cocco con pepperberry (pepe di montagna) – al costo di 25 dollari, si finanzia la preparazione dei pasti per chi ne fa richiesta; in alternativa, si possono acquistare delle “gift card” per la spesa alimentare o donare direttamente gli ingredienti per preparare le zuppe.

Sulla homepage del sito di Attica campeggia una frase: “Be good to each other. Stay grateful for the small things. Keep on doing what you love. Never give up”.
E non è retorica.

foto: L’Attica Tasting Menu, dal sito www.attica.com.au