Con i suoi 61mila ettari di vigneto – di cui 23mila certificati bio, il 17% del totale regionale – la Toscana si conferma motore trainante per il comparto vitivinicolo nazionale e contemporaneamente un territorio-brand molto forte, al punto da portare valore già in etichetta. Eppure la “toscanitudine” rischia di non essere abbastanza per fronteggiare la stagione complessa che il mondo del vino attraversa oggi. Se dal Prowein vengono segnali preoccupanti di scarso dinamismo, con qualche big score che a denti stretti ammette la preoccupazione per un rallentamento globale, lo si deve principalmente al fattore quantità. Sì, perché è tempo di dirlo chiaramente: c’è troppo vino in circolazione sui mercati mondiali. Lo sfuso australiano (ancora in panne per i blocchi cinesi) inizia ad approdare in Europa, i cileni vendono vino a mezzo mondo e con l’annata 2023 flagellata da peronospora e grandinate in Italia è andato forte lo shopping di prodotto spagnolo.
Cui prodest? Viene da chiedersi se davvero il vigneto-Italia e soprattutto la cantina-Italia debba giocare questa partita. Con Bordeaux che espianta e distilla, dopo aver invaso il mondo con un brand che ha perso smalto a causa degli eccessi quantitativi, e la Borgogna che continua a tirare proprio per aver tenuto sotto controllo la crescita, forse qualche suggerimento potrebbe venire dai cugini transalpini.
L’eleganza del Chianti Classico
Data questa premessa generale, le riflessioni che scaturiscono dall’approfondimento e dagli assaggi delle portano dritto al nocciolo del discorso. Oggi, nel 2024, il comparto vino toscano deve in fondo scegliere quale prospettiva adottare per costruire un nuovo progetto forte. Su un fronte c’è l’eccellenza che si consolida in terra di Chianti Classico. Il Consorzio (centenario) ha saputo stringere i ranghi, tenere a freno chi voleva giocare a spallate sulle quantità, incuneando invece tra i produttori un discorso centrato sulla qualità, sulla selezione in vigna, sullo slancio e sull’eleganza. E sugli autoctoni, si potrebbe aggiungere. Il risultato sono vini lineari eppure espressivi, flessuosi, sempre più godibili grazie a una piacevole tensione che non affatica il sorso. La lungimiranza che dieci anni fa ha portato all’avvio del progetto Gran Selezione vede oggi i frutti più compiuti, con un incremento significativo di valore della bottiglia e soprattutto un posizionamento delle etichette nettamente più elevato rispetto a prima. Nel contempo anche gli scettici si son ricreduti, perché la visione prospettica ha trainato verso l’alto tutta la denominazione, oltre a stimolare una qualità sempre più solida tra le Riserve.
Chianti Docg da ripensare?
Fuori dalla zona Classica, il Chianti Docg avrebbe le potenzialità per superare la tradizionale rincorsa ai volumi e diventare l’icona di un vino giovane, croccante e quasi “facile” – nel senso di spigliatezza e giocosità. Per riuscire a fare questo passo, però, servirebbe forse una maggiore accuratezza nella selezione in vigna e in cantina. Magari tagliando qualche bottiglia, ma portando sul mercato vini più compassati e meno frettolosi, non necessariamente complessi ma eleganti (o funky, ma per scelta e non per contrarietà). Gli assaggi alle Anteprime non hanno restituito il valore dell’en primeur – ha senso avere l’anticipazione di prove da vasca o da botte dal corto affinamento? – e forse le evoluzioni in Bordeaux potrebbero suggerire qualche mossa per alzare lo standing di un vino che ancora oggi è alfiere dell’italianità enoica, ma che potrebbe soffrire nel medio termine del mutamento di consumi e costumi.
Morellino di Scansano, spigliato ma frettoloso
Il Morellino di Scansano è invece un caso a sé. Se le Riserve hanno tutt’ora un problema di legno, utilizzato in maniera invasiva e talvolta scomposta, l’annata è briosa e croccante. Forse troppo, perché togliere l’appesantimento del legno – come hanno fatto in larga maggioranza i produttori – non significa dover per forza travasare dal tino alla bottiglia in tutta fretta. E magari far assaggiare in anteprima prove di vasca inevitabilmente scomposte, nelle quali il frutto è vivace ma il vino è ancora in fieri. Forse l’esercizio virtuoso della meravigliosa arte della pazienza permetterebbe a questo angolo di Maremma di giocare una partita più intrigante nel calice, soprattutto nelle etichette che valorizzano il Sangiovese.
Nobile in cerca di nobiltà
Spostandosi in terra senese, il Nobile di Montepulciano sta vivendo una fase di transizione che anno dopo anno non sembra arrivare al dunque. Ad ogni stagione sembra pronto a spiccare il volo per tornare agli antichi fasti che lo resero ufficialmente “Nobile” fin dai manoscritti del Settecento, eppure poi nel calice si scoprono vini poco eleganti, tannini sgarbati e lo slancio di un volo con le ali tarpate. Tutti bevibili, ma non stiamo parlando di un vino di prima fascia. In occasione dell’Anteprima – che forse potrebbe allinearsi a quella del Brunello di Montalcino, anziché portare in assaggio vini con molti (troppi) mesi di anticipo – il Master of Wine Andrea Lonardi, con una calibrata prolusione, ha messo in evidenza le potenzialità dell’area poliziana rispetto al cambio climatico per altitudine e posizione (tra laghi e montagna), per terreni e ampelografia. Viene da chiedersi allora cosa serva per consentire al vino Nobile di fare uno scarto deciso verso l’eccellenza. Nuove strade agronomiche ed enologiche, nuovi approcci in vigna e in cantina? Qualche bella espressione nel calice si trova e le indicazioni potrebbero venire da lì.
Toscana tra mare e montagna
Last but (definitely) not least, tra gli assaggi in terra di Toscana, sono le denominazioni “altre” ovvero sprovviste di un pedigree di anzianità. Se si tralascia per un momento l’eccessiva (opinione discutibile) presenza di vitigni internazionali, quello che emerge tra la costa e la montagna è davvero interessante. Ci sono denominazioni più o meno grandi che stanno crescendo, portando nel bicchiere espressioni nitide e consapevoli del territorio, con una plasticità che fa ben sperare. Ci sono contesti in cui si percepisce maggiore omogeneità – i Syrah di Cortona ne sono un esempio – e altre in cui la mano della vignaiola o del vignaiolo danno una caratterizzazione più marcatamente identitaria, ma quel che è certo è che certe bottiglie portate in tavola finirebbero per esser finite ben prima di qualche etichetta blasonata.
Nel panorama ampio spiccano molti Chianti Rufina Riserva nella versione Terraelectae, alcune intriganti espressioni di Ciliegiolo dalla Doc Maremma, un pugno di Montecucco capaci di svelare la bellezza di un Sangiovese tannico eppure elegante, un po’ come quelli (più scorrevoli) che vengono dall’Orcia Doc o quelli che respirano il mare tra Suvereto e la Val di Cornia. Peculiari e interessanti anche alcune etichette da vitigni autoctoni dalla Terra di Casole, dalle Terre di Pisa, dalla Valdarno e – come potrebbe esser altrimenti? – tra i variegati filari dell’Igt Toscana.
Assaggi dalla Cantina Toscana
In terra di Chianti Classico, l’annata 2022 risulta non ancora compiuta eppure si segnalano per eleganza gli assaggi di Castello di Ama, il Brolio di Ricasoli, Tenuta di Bibbiano, Mori Concetta e Tregole. Slanciata ed elegante, l’annata 2021 risulta invece complessivamente più equilibrata; spiccano per flessuosità Badia a Coltibuono, Baruffo di Cantalici, Castello di Radda, I Fabbri-Lamole, Il Classico de Il Poggiolino, Isole e Olena, La Montanina, La Sala del Torriano, Lanciola-Le Masse di Greve, Nittardi, Podere di Castellinuzza, Pomona, Pruneto, San Leonino e Tenuta Casenuove, mentre giocano bene in morbidezza Arillo in Terrabianca, Terreno e Vallepicciola.
I Gran Selezione tra 2021 e 2022 scontano (all’apparenza) un eccesso di legni nuovi e dunque richiedono tempo per (forse) assestarsi. Nel frattempo si segnalano per eleganza e frutto il Badiòla di Castello di Fonterutoli e Il Margone de Il Molino di Grace 2021, Casa Emma, San Lorenzo di Castello di Ama, Il Torriano de La Sala del Torriano, Le Fonti, Empathia di San Giorgio a Lapi e sopra tutti il Castello di Brolio di Ricasoli. Bene anche il Fonte della Selva di Banfi 2019.
Sono invece da mettere in cantina senza remore le Riserve 2021 – eleganti, composte, dal respiro davvero lungo – di Castello di Volpaia, Cigliano di Sopra (Vigneto Branca), Fèlsina (Rancia), Gagliole, Il Molino di Grace, Rocca delle Macìe. Ancora più convincente la Riserva 2020, davvero un vino da cercare e gustare oltre all’archivio in cantina, di Arillo in Terrabianca, Borgo Salcetino, Cafaggio, Castello di Ama, Castello di Monsanto, Cinciano ,Complicità-Assolo, Lamole di Lamole (Lareale), Ormanni (Borro del Diavolo), Pomona, Principa Corsini, Querciabella e Tenuta di Nozzole. Tra i campioni di botte del Chianti Docg 2023 (avete letto bene, sono in fase fetale) emergono Beconcini, Fattoria Uccelliera, Ruffino, Salcheto, oltre al Superiore.
Sul fronte Morellino di Scansano, tra le prove di vasca dell’annata 2023 (anche qui ancora in fase gestazionale) emergono Antonio Camillo, La Selva, Provveditore (con Irio e Sassato), Rocca delle Macìe e la Cantina Vignaioli di Scansano con il Roggiano. Tra le Riserve 2021 passa (appena imbottigliata) quella di Alberto Motta.
Tra i Nobile di Montepulciano annata 2021 – che andrebbero riassaggiati almeno a fine 2024 dopo un’adeguata permanenza in bottiglia – giocano abbastanza bene nel calice La Braccesca, Boscarelli, Fattoria la Talosa, Tenuta Trerose, Le Berne e Poggio alla Sala. L’interpretazione più convincente per slancio e coerenza stilistica è però quella de Il Molinaccio con La Spinosa. Va meglio con i Nobile in uscita “ritardata”, tra i quali convincono il 2020 di Podere Casanova, il 2019 di Contucci, la selezione Soraldo 2019 di De’ Ricci e la selezione Poldo 2016 di Villa S. Anna. Tra i Nobile Riserva 2020 si salvano dal legno Bindella e Boscarelli, oltre alla Riserva 2019 di La Combarbia.
Un assaggio a volo d’uccello tra le interpretazioni delle denominazioni più piccole, concentrandosi sui vitigni autoctoni e di territorio, permette di scoprire il Carmignano Santa Cristina in Pilli 2021 e la Riserva Montalbolo 2020 di Fattoria Ambra; i Chianti Rufina Riserva Terraelectae 2020 di Colognole, Fattoria Lavacchio, Frascole, Tenuta Inghirami e Tenuta Bossi dei Marchesi Gondi; il Fosso d’Amalia 2021 di Tenuta Armaiolo nelle Grance Senesi; in Maremma (tra i rossi) convince il Ciliegiolo già partendo dall’annata 2022 con le etichette di Alberto Motta, Le Lupinaie, Sassotondo, Vignaioli del Morellino e sopra tutti il Silio di Montauto, ma pure le 2021 di Cantina Laselva, Sequerciani, Tenuta Aquilaia, oltre alla 2020 di Sassotondo. Emerge il Ciliegiolo anche tra i Montescudaio – con Gianni Moscardini e Sorbiano – e nel Pisano con Fattorie Fibbiano. In terra di Chianti Rufina, convince (pur prova di botte) il 2022 di Borgo Macereto e colpisce per l’eleganza che poggia su un bel tannino della Riserva 2021 di Marchesi Gondi.
Dirimpetto a Montalcino, nel Montecucco il Sangiovese ha una culla confortevole e si legge bene nel Lavico 2015 di Amiata, nel pur giovane Montenero 2020, ma anche tra i tannini più bruschi di Podere Montale e Villa Patrizia 2019 ; miglior assaggio la Riserva 2018 Ad Agio di Basile, ma ha un bel portamento anche la Riserva 2018 di Collemassari. Rimanendo sul Sangiovese, nell’Orcia si segnalano le etichette di Bagnaia, Donatella Cinelli Colombini, Fabbrica Pienza e Poggio Grande; a Suvereto il Ciparisso de La Fralluca e Buca di Cleonte di Petricci e Del Pianta; in Terra di Casole l’Estevan di Casole d’Elsa e il Vinorosso di Podere Stebbi; nelle Terre di Pisa con il mix di eleganza e spinta di Beconcini, Badia di Morrona, Fattoria Fibbiano (bello il Ceppatella), Uccelliera, l’Opera in Rosso di Podere La Chiesa, Podere Pellicciano e il Veneroso di Tenuta di Ghizzato; nel Valdarno bene La Salceta, Nèmesi e Petrolo. Registrati tra gli Igt Toscana, emergono i Sangiovese di Campriano, Cincinelli, Salcheto e Tenuta Buon Tempo, oltre al Colorino 100% di Castello del Gabbiano. Nella terra che è votata al Syrah, convincono il Cortona Rosso di Stefania Mezzetti, Baldetti, Dal Cero e Stefano Amerighi.