Imperia

Week-end a Imperia, tra ulivi e mare

Mentre sulle colline di Oneglia si raccolgono le olive e i frantoi sono in piena attività, è ancora tempo per una passeggiata in spiaggia o lungo la costa. E ci si può spingere fino a Ventimiglia, per una grande cena firmata da Enrico Marmo.

Chi non è mai stato a Imperia, ultimo capoluogo di provincia italiano prima che il Ponente Ligure ricoperto di olivi ceda il passo alla Costa Azzurra e ai profumati limoni di Mentone, potrebbe trovarsi disorientato: se la città si chiama così – Impêia, dicono i liguri –, perché spesso si parla del porto di Oneglia? Il fatto è che Imperia, il cui nome riprende quello del torrente Impero, è stata creata solo un secolo fa, nel 1923, accorpando le due cittadine di Oneglia e Porto Maurizio separate dal corso d’acqua, un tempo rivali – la prima apparteneva ai Savoia, la seconda alla Repubblica di Genova – e ancora oggi ben distinte, geograficamente e culturalmente.

Oneglia è la parte “moderna” affacciata sul mare, da sempre dedita alla pesca e ai commerci; conserva un’ordinata urbanistica di stampo sabaudo e tra le case dei pescatori spiccano bei palazzi come quello in cui nacque, nel lontano 1466, l’ammiraglio Andrea Doria, e quello in cui qualche secolo più tardi visse lo scrittore Edmondo De Amicis (1846-1908), autore del libro Cuore. Anche Porto Maurizio è stato un centro commerciale fin dal Medioevo, e conserva il suo approdo vivace affiancato da spiagge e lidi come l’Altamarea, al piano inferiore dell’affascinante palazzina Liberty – un tempo nota come Spiaggia d’Oro – che oggi ospita il centro informazioni del porto. Anche in autunno, in una giornata di sole, vale la pena di sedersi ai tavoli esterni affacciati sulla spiaggia per gustare una superba frittura di pesce o altre valide proposte come i ravioli di branzino con burro, limone e bottarga o il baccalà in oliocottura con crema di patate e terra di olive taggiasche. Mentre percorrere a prima mattina l’incantevole Passeggiata degli Innamorati – tratto pedonale che fiancheggia il mare fino a raggiungere il moletto di Borgo Foce con le sue viuzze su cui affacciano case di pescatori e locali – è il modo ideale per immergersi nell’atmosfera locale.

Il vero cuore di Porto Maurizio, però, è alle spalle del mare, sul promontorio del Parasio. Si chiama così il centro antico della città, un intricato dedalo di caruggi, creuze, piazzette e antichi palazzi con le finestre murate sostituite da sbiadite pitture trompe l’oeil: ingegnoso trucco d’altri tempi per evitare il pagamento delle imposte sulle finestre. Dal Borgo Marina ci si inerpica lungo la strada principale o per le scale, oppure si prende l’ascensore, sistema a percorso inclinato in più tappe che porta fin su, a due passi dal grandioso Duomo: la basilica concattedrale dei Santi Maurizio e Compagni Martiri, progettata nel 1781 (ma terminata solo nel 1838) da Gaetano Cantoni in stile neoclassico ed eretta nella piazza dove un tempo sorgeva un mulino. Il punto sarebbe stato indicato da San Leonardo, frate francescano nato a Porto Maurizio e ideatore della Via Crucis, cui è dedicato il bell’oratorio affiancato da un piccolo museo in quella che fu la sua casa natale, per sostituire il più vecchio e angusto duomo situato in cima al Parasio.

La perlustrazione del borgo antico parte dalla piazzetta a pochi passi (in salita) dal Duomo; non prima di aver sbirciato nella bottega di “fotografia popolare” di Settimio Benedusi, fotografo e giornalista che con il suo progetto Ricordi Stampati immortala in bellissimi ritratti in bianco e nero i volti degli abitanti della città, che oggi tappezzano il suo studio dal pavimento al soffitto. E non può terminare senza aver percorso il tratto coperto e panoramico delle Logge di Santa Chiara, dal nome dell’attiguo monastero che ospita un piccolo gruppo di suore di clausura clarisse: è loro la ricetta della deliziosa marmellata di arance prodotta dal Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia, l’azienda della famiglia Mela che dal 1827 produce olio dalle olive taggiasche di queste colline. E non è un caso, visto che la sorella di Cristiana e Serena Mela – oggi alla guida dell’’azienda sempre supervisionata dal padre Antonio, che nel 1987 diede la svolta all’attività creando insieme alla moglie il marchio per l’imbottigliamento e la vendita in proprio – è tra le consorelle, mentre il quarto fratello ha scelto la carriera da musicista.

Questa infatti è soprattutto terra di ulivi, che crescono sulle alture subito a ridosso della costa: Taggia, cittadina della Valle Argentina dal cui convento, oggi scomparso, avrebbe preso il via la tradizione locale della coltivazione dell’olivo e da cui deriva anche il nome della varietà protagonista assoluta degli oli locali, è poco distante. Mentre proprio alle spalle di Imperia, nel piccolo borgo arroccato di Sant’Agata, si trovano l’antico frantoio della famiglia Mela, con la mola in pietra che un tempo era il fulcro del paese, e anche quello “vecchio”, in uso fino a qualche decennio fa.

Gli oliveti sono disseminati nei dintorni, da quelli vicino alla costa, da cui si ottiene il delicato Cru Da Mare, dedicato alla vela e alla cucina di pesce, fino a quello a circa 600 metri di altitudine, dove nasce il più deciso Cru di Montagna. Ma sono molti altri gli extravergine prodotti nel moderno frantoio –che affianca la bella sede aziendale con negozio e terrazza per degustazioni – poco più in basso del borgo, giocando con le sfumature della taggiasca date da differenti altitudini, esposizioni e stadi di maturazione (ma in linea di massima sempre precoci, per trarre il meglio da questa varietà a tendenza dolce ma con un suo carattere), come l’elegante La Cuvée o Agata, Riviera Ligure Dop Riviera dei Fiori dal caratteristico profilo rotondo e mandorlato. L’ultima novità, voluta da Antonio Mela che seleziona ancora le olive per integrare le coltivazioni proprie (e in questo caso, gli oli), sono i tre blend in cui le cultivar extraregionali coratina, frantoio e peranzana affiancano la taggiasca armonizzando con le loro note decise e i profumi intensi la leggiadria della cultivar ligure.

Poi ci sono i tanti prodotti gastronomici: dalle olive taggiasche – anche nella azzeccatissima versione croccante frutto di lunga essiccazione, e in quella intrigante caramellata, da abbinare a formaggi o gelati – ai paté e al pesto, dalle conserve di mare a base di pesce di ottima qualità lavorato da diverse aziende italiane e l’extravergine del frantoio, alle verdure sottolio: deliziosi i carciofini, anche nella versione all’arancia e spezie realizzata da uno spunto dello chef Antonio Guida. Grazie soprattutto al lavoro di Serena – che segue il mercato italiano, mentre Cristiana supervisiona l’estero che rappresenta una parte molto importante del volume d’affari dell’azienda – sono infatti numerosi gli chef con cui il Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia ha stretto bei rapporti di collaborazione e di scambio di idee.

Tra questi anche il piemontese Enrico Marmo, classe 1987, che dopo diverse esperienze tra il suo Piemonte (dove è stato souschef di Davide Palluda al ristorante All’Enoteca di Canale, ed executive chef del ristorante Osteria Arborina a La Morra) e Toscana è tornato a Ventimiglia, a due passi dal confine francese, a guidare la cucina dei Balzi Rossi. Parliamo di ritorno perché Marmo aveva già lavorato dal 2016 al 2019 nello storico ristorante ligure, all’epoca ancora presidiato dalla fondatrice Giuseppina Beglia, di cui Palluda era stato allievo. Ora torna da Executive, affiancato da una bella brigata e dalla compagna Eleonora Revello in sala, portando la propria impronta a cominciare dalla passione evidente per la panificazione, dalla squisita focaccia alle pizzette alla sardenaira reinterpretate in una versione contemporanea e irresistibile.

Anche l’olio extravergine, naturalmente, gioca un ruolo importante nella sua cucina e nella costruzione dei tre menu degustazione composti con i piatti della carta: Liguria, dedicato all’entroterra regionale, Riviera, incentrato sul pesce, e Momento che si declina in base all’ispirazione dello chef. Molte ricette, anzi, nascono proprio dalla collaborazione e dal confronto con il Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia e quasi tutti vedono un uso accorto dell’extravergine o degli altri frutti dell’ulivo: dalle croccanti “foglie d’olivo” con paté di olive nere all’elegante tartelletta che riprende la torta verde di zucchine trombetta, dalla strepitosa Tartare di pomodori liguri, maionese di latte di soia alla bottarga e semi di girasole (perfetta da accompagnare con l’extravergine Dop Riviera dei Fiori) agli ottimi Bottoni ripieni di melanzana alla parmigiana, scampi all’origano e colatura di pomodoro in insalata; fino alla poderosa testa di ricciola alla brace d’ulivo, spolpata e servita nel piatto in una sorta di cacciucco suddivisa tra guance e resto. Ma c’è spazio per l’olio e per le olive anche nel dessert (vegano e senza glutine): l’Unexpected chocolate vede il cioccolato Chuno Ecuador 78% trasformato in una mousse leggera con meringa all’aquafaba di ceci, completata da polvere di olive taggiasche, croccantino al cioccolato, acqua di cioccolato e un filo di olio extravergine di olive taggiasche.

 

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