Un nome austero, Wildbacher, che però non deve trarre in inganno. Sulla collina trevigiana, il vitigno autoctono dell’Austria acquista profumi di frutti di bosco e more, di fiori di campo ed erbe aromatiche, e l’interpretazione in cantina che ne restituisce Col Sandago non può che essere votata alla convivialità e all’incontro, che del resto è il tema fondante della storia del Wildbacher in territorio veneto.
“Il vitigno detto Wildbacher è uno di quei pochi, pochissimi, nati in terre straniere ad aver trovato un luogo, così elettivo – Col Sandago – da non poterne uscire…”, scriveva Luigi Veronelli a riguardo, rivolgendosi a Martino Zanetti, che l’azienda trevigiana l’acquistò nel 1996 e per primo volle scommettere su alcuni rari filari presenti nella tenuta.
Per arrivare nella Marca Trevigiana, il vitigno mitteleuropeo ha compiuto un viaggio che dalla Stiria Occidentale – nelle campagne di Deutsch-Landberg – l’ha portato a Susegana, dove circa due secoli fa ha iniziato una vita nuova, lottando per conquistare il suo spazio tra espressioni vitivinicole più diffuse e già conosciute in zona. Quasi destinato a sparire, per il carattere rustico che lo allontanava – nell’idea dei più – da ambizioni di gloria, proprio Zanetti saprà intuirne le potenzialità, innamorandosi di queste uve così fiere e tenaci ma bisognose di una cura certosina, a partire dalla progettazione scrupolosa dei filari per arrivare alla vendemmia di piccoli grappoli, con acini compatti e poco polposi, condotta rigorosamente a mano.
In cantina, il Wildbacher trascorre almeno due anni in botti di rovere, e poi riposa ancora, lungamente, in bottiglia, prima di esprimersi al meglio in bicchiere. Oggi, l’etichetta disegnata per regalare una nuova immagine alle bottiglie di Wildbacher Col Sandago riassume questa storia fatta di conquiste e scoperte, rivisitando in chiave contemporanea il motivo decorativo della cartagloria: il nome, inciso in rosso, si staglia fiero sulla fascetta dorata, cui volutamente è stata conferita l’allure di una carta invecchiata.
Le bottiglie, prodotte ogni anno in numero limitato, sono poi avvolte in una velina color porpora, e confezionate in cofanetti di legno, accompagnate ciascuna dal pendaglio che reca traccia della numerazione. Il progetto di restyling dell’immagine di Wildbacher ha richiesto tre anni di lavoro e ora incarna i valori di un’idea di vinificazione che vuole raccontare al mondo l’anima di un mestiere – quello del viticoltore – che contempla rischi, innamoramenti e intuizioni. Proprio come è stato per Martino Zanetti nell’incontro col vitigno inquieto, ma sincero arrivato dalla Stiria.
Carattere inquieto, vocazione alla qualità
In lingua tedesca, wildbacher significa “torrentello selvaggio, non imbrigliato”. Etimologia che rivela il carattere inquieto del vitigno originario della Stiria Occidentale e precisamente di una zona chiamata Schilchergegend, ossia: “del vino brillante”. Nella Marca Trevigiana ha trovato una situazione pedoclimatica congeniale, protetto a Nord dalle Prealpi Trevigiane, con esposizione ottimale a Sud e altitudine attestata tra i 250 e i 300 metri di quota. Da Col Sandago, il Wildbacher ha a disposizione tre ettari e mezzo di vigna (su 20 ettari complessivi di vigneto aziendale), sistemata a 6mila ceppi per ettaro. Puntando sulla qualità, gli agronomi dell’azienda limitano la produzione d’uva a 65 quintali per ettaro che rende, al massimo, 35 ettolitri di vino.